L'abbandono della visione sostanzialista dell'identità e la svolta verso una visione narrativa e ermeneutica può essere rintracciato anche negli studi sull'identità collettiva; a questo proposito una disciplina come l'antropologia offre un contributo critico decisivo.
La tendenza interpretativa dell'antropologia può essere già fatta risalire ai lavori di Margaret Mead, in particolare a Mente, sé e società190. Ma è certamente con Clifford Geertz che avviene il più radicale mutamento di prospettiva, che nasce dalla consapevolezza che il discorso occidentale è una narrazione fra le tante. Lo studio della cultura non può essere di tipo meramente osservativo, ma deve confrontarsi con le ambiguità del proprio sguardo e con il punto di vista degli altri. La cultura è un fenomeno non "dato" ma fondato su azioni riflessive, che richiedono un costante esercizio interpretativo sempre esposto al conflitto dei diversi punti di vista, oltre che ai mutamenti sociali e storici. Si inaugura in questo modo un approccio scientifico dialogico che decostruisce l'idea stessa di cultura.
La definizione di cultura proposta da Edward Burnett Tylor191, dalla quale ha preso le mosse l'antropologia, viene considerata teoreticamente confusa e foriera di "secche concettuali". Geertz propone di sostituirla con un concetto di cultura essenzialmente di tipo semiotico, seguendo Max Weber l'uomo è visto come "un animale impigliato in una rete di significati che lui stesso ha tessuto [...] la cultura consiste in queste reti"192. Pertanto l'analisi di queste reti di significato non è "una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa in cerca di significato"193.
Geertz porta l'attenzione sulla pratica dell'etnografia per mostrare che l'attività intellettuale degli antropologici consiste in una "descrizione densa” (thick description), termine che riprende da Gilbert Ryle194. L'oggetto dell'etnografia risiede in una "gerarchia stratificata di strutture di significati". Già al momento dell'esposizione dei fatti, si stanno dando spiegazioni che spesso sono addirittura spiegazioni di spiegazioni.
L'analisi etnografica consiste nella scelta delle strutture di significazione e nell’identificazione della loro base sociale e della loro importanza.
187 Idem, p. 64.
188 Idem, p. 67.
189 Idem, p. 68.
190 Bruner ritiene però la Mead legata alla concezione dell'interazione fra organismo e ambiente tipica del secolo scorso, per cui la sua visione generale dovrebbe essere considerata più come "un capitolo conclusivo sul concettualismo, alla fine del positivismo, che come un capitolo iniziale della posizione interpretava" (Bruner J., La ricerca del significato, Op. cit. p. 148).
191 Si veda, Tylor E. B., Alle origini della cultura, (1871), Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1985.
192 Geertz C., Interpretazione di culture, (1973), Bologna, Il Mulino, 1988, p. 11.
193 Ibidem.
La cultura ha le caratteristiche di testo che deve essere letto e interpretato: "Fare etnografia è come cerca di leggere (nel senso di «costruire una lettura di») un manoscritto – straniero, sbiadito, pieno di ellissi, di incongruenze, di emendamenti sospetti e di commenti tendenziosi, ma scritto non in convenzionali caratteri alfabetici, bensì con fugaci esempi di comportamento strutturato"195.
Il comportamento umano è visto in una logica semiotica, come un'azione simbolica. La cultura non viene reificata, non è una realtà autonoma dotata di forze o scopi propri, non si trova neppure "nella mente o nel cuore degli uomini"196. La cultura consiste in "strutture di significato socialmente stabilite", è pubblica come pubblico è il significato.
Gli scritti antropologici sono interpretazioni, spesso di secondo o terzo grado. Nel senso che di primo grado è l'interpretazione che il "nativo" fa del significato di ogni azione attraverso la "sua" cultura. Geertz insiste sul carattere finzionale di queste interpretazioni, nel senso di "fictio": costruzione. Le descrizioni orientate agli attori, atto tipico dell'etnografia, sono di fatto delle ipotesi, dei "come se". Anche se nascono da attori veri, sono della stessa natura del romanzo. "La condizioni e lo scopo della loro versione (per non parlare dello stile e della qualità) sono diverse, ma l'una è una fictio, una costruzione tanto quanto l'altra"197.
Nell'analisi culturale, come nella pittura o nell'arte, ”non si può tracciare il confine fra i modi di rappresentare e il contenuto effettivo."198. La forza delle descrizioni antropologica densa, non nasce da una massa di dati, "ma dalla capacità dell'immaginazione scientifica di metterci in contatto con le vite delle persone estranee."199.
Proprio come una buona interpretazione di un testo, di una poesia, di un quadro, un'interpretazione antropologica ci porta nel cuore del "detto". Scrive o meglio "inscrive" il discorso sociale. Lo annota, e nel farlo "lo trasforma da avvenimento fugace, che esiste solo nell'attimo in cui si verifica, in un resoconto che esiste nei suoi scritti e si può consultare".
Geertz riprende da Ricœur il concetto dell'iscrizione dell'azione. "Che cosa fissa la scrittura?", non certo l'evento del parlare, ma il suo "detto". Ciò che scriviamo è il significato dell'evento, del discorso sociale, non l'evento come tale. La descrizione etnografica interpreta il flusso del discorso sociale e consiste nel tentativo di preservare il "detto" di questo discorso, esposto alla sparizione, e di fissarlo in modo da consentire una lettura.
La posizione di Geertz coincide con un aumento di interesse nelle scienze sociali verso il ruolo delle forme simboliche nella vita umana. I simboli, così come la cultura che è un fenomeno simbolico, sono un tentativo di dare una struttura comprensibile e significativa a realtà quali l'identità, la natura umana, le gerarchie, la morte ecc. Osservare le dimensioni simboliche dell'azione sociale significa immergersi in mezzo ad esse. La sua forza nasce dalla finezza delle sue distinzioni non dalle astrazioni e generalizzazioni: "La vocazione essenziale dell'antropologia interpretativa non è di rispondere alla nostre domande più profonde, ma di mettere a disposizione risposte che altri (badando ad altre pecore in altre vallate) hanno dato e includerle così nell'archivio consultabile di ciò che l'uomo ha detto"200.
Come nel caso della risposta narrativa data all'identità da Paul Ricœur, anche Geertz mira a uscire dall'impasse creato al concetto di cultura da una visione sostanzialista da un lato e una visione radicalmente relativista dall’altro. L'uomo per Geertz è un animale dipendente da meccanismi extragenetici che hanno lo scopo di dare ordine al suo comportantamento, tali meccanismi sono l'origine della cultura. "Veniamo al mondo con l'equipaggiamento adatto a vivere mille tipi di civiltà, ma finiamo con l'averne vissuta una sola "201.
195 Idem, p. 17. 196 Idem, p. 18. 197 Idem, p. 24. 198 Idem, p. 25. 199Idem, p. 25. 200 Idem, p. 42. 201 Idem, p. 59.
Pensare è un atto complesso, che non è costituito da "avvenimenti nella testa", nella testa accadono certo avvenimenti, ma il cuore del pensare è il traffico di quelli che possiamo chiamare i simboli significanti (parole, segni, gesti, suoni, congegni...), cose il cui uso va oltre la loro mera realtà, ma vengono usate per dare significato all'esperienza. Questi simboli sono già dati, dalle generazioni che ci hanno preceduto. I singoli li arricchiscono, li mutano, li fanno evolvere, li fanno scomparire. Vengono usati allo scopo di "fornire un'interpretazione degli avvenimenti” che costituiscono la vita, "L'uomo ha bisogno di queste fonti simboliche di illuminazione per trovare la sua strada nel mondo, perché quelle di tipo non simbolico, inserite nel suo corpo, costituzionalmente gettano una luce troppo soffusa"202.
La cultura, evolutivamente parlando, non è un’aggiunta, per così dire, a un animale completo, ma un ingrediente, il più importate, nell'evoluzione di questo animale. Non esiste una natura umana, indipendente dalla cultura. Siamo animali incompleti che si perfezionano attraverso la cultura: "Diventare umani è diventare individui, e noi lo diventiamo sotto la guida di modelli culturali, sistemi di significato creati storicamente, nei cui termini noi diamo forma, ordine, scopo e direzione alla nostra vita”203.
A seguito della proposta di Geertz matura in una visione antropologica sempre più consapevole dello spazio globale, e dell’identità come frutto di connessioni e dissoluzioni culturali. Il concetto di autenticità e identità locale diventa fortemente ambiguo, in un mondo di migrazione e di scambio, dove culture d'origine diverse si incontrano e si mescolano, dove proliferano agglomerati urbani multiculturali. Il "noi" diventa un'affermazione di una scelta, di un'interpretazione, più che un dato di fatto. Si sviluppa così un'antropologia che dà voce anche alle narrazioni dei popoli che hanno fatto il loro ingresso nello spazio etnografico creato dall'immaginario occidentale. Fra le voci più interessanti della nuova antropologia c'è certamente quella di James Clifford che riconosce come "Dopo il 1950 popoli in nome dei quali avevano parlato etnografi, funzionari e missionari occidentali comincino a parlare e a agire efficacemente per conto proprio su una scena planetaria. Era sempre più difficile tenerli ai loro (tradizionali) posti"204.
Vengono così messe in discussione le narrazioni dominanti, per cercare di costruire nuove storie e nuove traiettorie del futuro, in uno mondo dove "in misura crescente persone e cose sono fuori posto"205. Gli studi di Clifford si rivolgono alle strategie di scrittura e di rappresentazione presenti nelle narrazioni antropologiche. Strategie che mutano nel passaggio dal colonialismo al post colonialismo e al neocolonialismo. Egli mostra come i testi etnografici "siano orchestrazioni di scambi plurivoci che avvengono in situazioni politicamente cariche. Le soggettività che si producono in questi scambi spesso ineguali – non importa se di «nativi» o di osservatori partecipanti esterni – sono ambiti di verità costruiti, finzioni serie."206. Ricostruendo la formazione e il disfacimento dell'autorità etnografica e dell'antropologia sociale del XX secolo, mette anche in evidenza le possibilità creative presenti nella rappresentazione etnografica. La pratica etnografica mantiene il suo statuto esemplare di pratica per produrre conoscenza "a partire da un intenso impegno intersoggettivo"207.
Egli propone l'idea che l'etnografia mette in campo procedimenti che possono essere accomunati alle tecniche della critica culturale, o ai procedimenti di giustapposizione, collage e estraniazione delle tecniche moderniste e dell'arte di avanguardia. L'etnografia è "un'esplicita forma di critica culturale che condivide le prospettive radicali del Dada e del surrealismo "208.
202 Idem, p. 59.
203 Idem, p. 67.
204 Clifford J., I frutti puri impazziscono: etnografia, letteratura e arte nel secolo ventesimo, (1988), Torino Bollati Boringhieri, 2010, p. 18.
205 Idem, p. 18.
206 Idem, p. 22.
207 Idem, p. 38.
La sua tesi è che "l'identità, in senso etnografico, non possa essere che mista, relazionale e inventiva [...] un processo inventivo e spesso discontinuo."209.
Non bisogna neppure perdere di vista che l'etnografia è "avviluppata nella scrittura". A questo proposito illuminanti sono gli studi di Clifford sulle figure di Joseph Conrad e Bronislaw Malinowski, espatriati polacchi, poliglotti, approdati all'Inghilterra e all'inglese. La loro identità soggettiva appare come un "problema culturale complesso". Essi abbracciano la "finzione seria della cultura" e elaborano riflessioni fondate sulle "finzioni locali di vita collettiva"210.
Le moderne etnografie oscillano fra due metanarrazioni, una di omologazione e di perdita, l'altra di emergenza e invenzione; ciascuna ostacola la pretesa dell'altra di raccontare "tutta la storia"211.
L'evocazione del processo narrativo, per cogliere le complesse caratteristiche del processo identitario, vale sia per l'identità individuale che per l'identità collettiva, come aveva mostrato già Ricœur nelle sue indagini fenomenologiche.