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Nel capitolo precedente abbiamo voluto rendere evidente all’interno del panorama degli studi concernenti l’educazione in età adulta, l’attenzione sempre più ampia verso quella che possiamo definire, in termini generali, come la “questione narrativa”: un fecondo rinnovamento di pratiche e di metodiche pedagogiche, accompagnato e alimentato da una intensa preoccupazione teoretica, di cui abbiamo delineato, per sommi capi, la pluralità di motivazioni e ne abbiamo articolato le principali posizioni. Ai fini del nostro lavoro diventa importante prendere atto delle convergenze, pur consapevoli delle differenze, che si stanno manifestando e consolidando.

Su questo sfondo pensiamo utile prendere in attento esame quello che riteniamo sia uno degli aspetti per noi cruciale e largamente condiviso dai diversi studi, che rappresenta un elemento di forte novità, nonché di evoluzione e a volte rottura con il passato, la cui comprensione diventa essenziale per lo sviluppo di coerenti approcci educativi in età adulta: la nozione di identità narrativa.

L’identità narrativa costituisce un elemento di novità paradigmatico per le scienze umane, verso il quale gli studi sull’educazione degli adulti che abbiamo preso in considerazione tendono a convergere. Riteniamo dunque doveroso un approfondimento di questa nozione in riferimento agli interessi dell’indagine che andiamo svolgendo.

Dobbiamo il concetto di "identità narrativa" principalmente alle argomentazioni del filosofo francese Paul Ricœur elaborate nel quadro della teoria fenomenologica, per affrontare il tema dell’identità personale in relazione alla questione della temporalità.

Gli studi che abbiamo presentato sono accomunati da una nuova concezione dell’adulto la cui condizione, come abbiamo più volte accennato, è caratterizzata dalla dissoluzione dei riferimenti identitari136, dalla precarietà e dalla fragilità137, dal venir meno degli habitus convenzionali138; condizione esistenziale immersa nei più generali cambiamenti di un’epoca contemporanea definita, a seconda dello sguardo, ora “tarda modernità”139, ora “surmodernità”140, ora “modernità liquida”141, ora “postmodernità142. Una sequela di impressionanti e imprevedibili mutazioni

136 Alheit P., et al. (Eds.), The Biographical Approach in European Adult Education, Op. cit.

137 Castiglioni M., (a cura di), L'educazione degli adulti tra crisi e ricerca di senso, Op. cit.

138 Demetrio D., Alberici A., Istituzioni di educazione degli adulti, Op. cit.

139 Giddens A., Le conseguenze della modernità: Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, (1990), Bologna, Il Mulino, 1994.

140 Augé M., Nonluoghi: Introduzione a una antropologia della surmodernità, (1992), Milano, Elèuthera, 2009.

141 Bauman Z., Modernità liquida, (2000), Roma, Laterza, 2011.

economiche e sociali accompagnate da nuove prospettive culturali, fra queste una nuova visione della soggettività.

L’Io di concezione cartesiana, la sostanza che appare salda anche nell’ipotesi che “io mi inganni su ogni cosa, la cui essenza o natura sta solo nel pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né dipende da qualcosa di materiale"143, perde la sua consistenza. La res cogitans lascia il posto a un Io insicuro anche della percezione di se stesso. L’individuo (in–dividuum), non è più tale, non è più indivisibile, ma appare scisso, composto da più parti, anche in contraddizione fra loro, un Io plurale caratterizzato da una molteplicità in continuo mutamento.

Di fronte a tale consapevolezza si corre il rischio di pensare la soggettività in termini puramente frammentati, come una serie di eventi senza coerenza; espressione di forze eterogenee in un continuo fluire di condizioni e percezioni del mondo sensibile.

Per superare quella che appare come un’antinomia inconciliabile fra la visione di una soggettività concepita come una sostanza che rimane inalterata nel tempo, identità assoluta e immutabile (concezione fondata sulla centralità del cogito, entrata in crisi nella contemporaneità) e quella di un’incoerente sequenza di percezioni (tesi sostenuta nelle posizioni radicali di stampo empirista o nietzschiano), ha trovato larga eco il concetto di “identità narrativa”, una visione che vuole trovare un elemento di mediazione fra puro cambiamento e identità assoluta.

Per il filosofo francese l’identità non deve essere pensata come un oggetto, le somiglianze con il fenomeno umano del racconto possono aiutare a comprenderne la natura.

Senza il soccorso della narrazione, il problema dell’identità personale è in effetti votato a una antinomia senza soluzione: o si pone un soggetto identico a se stesso nella diversità dei suoi stati, oppure si ritiene, seguendo Hume e Nietzsche, che questo soggetto identico non è altro che una illusione sostanzialista, la cui eliminazione lascia apparire un puro diverso di cognizioni, di emozioni, di volizioni. Il dilemma scompare se, all’identità compresa nel senso di un medesimo (idem) si sostituisce l’identità compresa nel senso di un se stesso (ipse); la differenza tra idem e ipse non è altro che la differenza tra una identità sostanziale o formale e l’identità narrativa144.

Il fenomeno dell’identità personale, implica la domanda: “per quale motivo posso dire che una persona è la stessa nel tempo?”; un concetto che può essere compreso solo in relazione alla dimensione della temporalità. L’identità è più simile a una storia, a una narrazione, che a un oggetto. Essa è un’opera di costruzione di sé che si dispiega per tutta la vita; a essa sono essenziali sia il cambiamento sia la permanenza.

Per comprendere appieno la nozione d’identità narrativa – e per coglierne le novità innovative per gli studi sull’educazione – è importante non perdere di vista la dimensione di azione che vi soggiace, implicata anche strettamente nell’elemento di autorialità che appartiene alla logica narrativa, una dimensione che colloca, secondo l’elaborazione di Ricœur, l’identità nella pratica, cioè nell’agire concreto e nella responsabilità.

«Identità» è qui presa nel senso di una categoria della pratica. Dire l'identità di un individuo o di una comunità, vuol dire risponderà domanda: chi ha fatto questa azione? chi ne è l'agente, l'autore?145

Un “chi” agente, dunque, che si dispiega nel tempo, che parla e agisce. Un soggetto che riconosce se stesso (ipse), perché racconta il proprio agire e si attribuisce la responsabilità delle proprie azioni: l'ipse è l'uomo capace di. L'identità dell'idem resta sempre uguale nello spazio e nel tempo, mentre l'ipse esprime individuazione, singolarità e imprevedibilità; è attesa di permanenza nel mutamento. Rappresenta l'essere come atto: enèrgheia e dinamis.

Alla moderna crisi del soggetto Ricœur reagisce proponendo un soggetto che trova fondamento nella testimonianza. La testimonianza non è una verità debole o una non–verità, la natura della sua

143 Cartesio, Discorso sul metodo, Parte IV.

144 Ricœur P., Tempo e racconto: Il tempo raccontato, (1985), Vol 3, Milano, Jaca Book, 1994, pp. 375-6.

verità risiede nel desiderio di esistere: l’autore del racconto è mosso dal desiderio di perseverare nel proprio essere.

Per le sue caratteristiche di ipse, il concetto d’identità narrativa implica un'attenta riflessione sul linguaggio.

Che cosa significa che si tenga il soggetto dell'azione così designato attraverso il suo nome, come il medesimo lungo il corso di una vita che si distende dalla nascita alla morte? La risposta non può essere che narrativa. Rispondere alla domanda 'chi?', Come ha detto con forza Hannah Arendt146, vuol dire raccontare la storia di una vita. La storia raccontata dice il chi dell'azione. L'identità del chi è a sua volta

un'identità narrativa.147

Il “chi” dell’autore, l’agente implicato nell’identità evoca un nome, che non è in un banale rapporto di designazione – per capirci, quello che esiste fra un “oggetto cosa” e il termine con cui viene nominato – ma è un nome proprio, cioè un nome implicato in una sequenza di relazioni storiche, che presuppone la storia della vita nel quale s’inscrive.

L’attenzione verso il linguaggio si risolve anche in una minuziosa indagine su quella che è una delle principali caratteristiche dell’essere umano, cioè la produzione simbolica e con essa il mito. Un percorso che si conclude con la formula “Le symbole donne à penser”148 diventata poi famosa.

Il simbolo nella dimensione narrativa, trova la sua forza – e la sua logica di verità – nell’essere polisemantico, nel contenere un’energia metaforica, che genera diverse possibilità di senso.

«[...] invece di filtrare una sola dimensione di senso, il contesto ne lascia passare di più, anzi ne rafforza parecchie ed esse vanno avanti insieme, come i testi sovrapposti di un palinsesto. Allora si sprigiona la polisemia delle nostre parole. In questo modo la poesia lascia che tutti i valori semantici si rinforzino vicendevolmente. Allora la struttura di un discorso che permette a molteplici dimensioni di senso di realizzarsi insieme, giustifica anche più di una interpretazione. Insomma il linguaggio è in festa [corsivo nostro, Ndr]»149

Nel cuore dell’identità narrativa si rivela dunque un “linguaggio in festa”, la cui potenza creativa va messa in evidenza e protetta dai rischi di soffocamento e umiliazione che giungono dalla esigenze di rigore del linguaggio meticoloso e protocollare. La metafora non è un semplice artificio retorico, una decorazione tecnica che abbellisce il discorso. Essa contiene una verità, che è anche di tipo pedagogico: “Ora, funzione della metafora, e appunto quello di istruire attraverso l'accostamento improvviso tra due cose che sembrava del tutto estraneo”150; una caratteristica già notata da Aristotele.

L’imparare facilmente, infatti, per natura risulta piacevole a tutti, e i nomi significano qualcosa, di conseguenza tutti nomi che ci procurano un apprendimento sono i più piacevoli […] soprattutto la metafora produce questo effetto151.

Saper creare belle metafore significa sapere trovare “relazioni fra le cose”152. La metafora mostra un linguaggio che esplode verso l’altro da sé: “fornisce un'informazione per il fatto che essa ri– descrive la realtà"153. Essa non si rivolge all’essere come semplice “dato”, ma all’essere come “poter

146 Si veda, Arendt H.,Vita activa: la condizione umana, (1958), Milano, Bompiani, 1991.

147 Ricœur P. , Tempo e racconto: Il tempo raccontato, Op. cit., p. 375.

148 Ricœur P., Finitudine e colpa, (1960), Bologna, Il Mulino, 1970, pp. 623 e sgg.

149 Ricœur, P., Il conflitto delle interpretazioni, Milano, Jaca Book, 1977, p. 109

150 Ricœur P., La metafora viva: dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione, (1975), Milano, Jaca Book, 1997, p. 47.

151 Aristotele, Retorica, III, 10, 1410 b 10-15.

152 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 31.

essere”. Nota quindi legittimamente Ricœur: “Ne possiamo ricavare una suggestione: non dobbiamo, allora, dire che la metafora distrugge un ordine solo per ricostruirne un altro?"154.

Ritorneremo oltre sulla metafora in Ricœur e sul concetto di linguaggio in festa, che è di estremo interesse per il nostro studio, poiché "il senso metaforico in quanto tale, si nutre della densità dell'immaginario liberato dalla poesia"155. Per ora ci limitiamo a sottolineare l’aspetto di “poetica del possibile” (nel senso letterale di poièsis, "creazione" del possibile) che il paradigma narrativo porta con sé. L’identità narrativa implica un soggetto agente che crea se stesso (ipse) nella narrazione della propria esperienza della realtà, grazie alle proprietà metaforiche (proprietà di creare legami fra le cose) del proprio linguaggio svela le possibilità dell’esperienza, forma se stesso, modifica la visione della realtà. La metafora e più in generale la creazione culturale, che di questa fonte simbolica si nutre, consentono al soggetto di comprendere e trasformare se stesso grazie alla sperimentazione di “variazioni immaginative” del proprio ego e della propria realtà.

[...] la vita è vissuta e la storia raccontata. Sussiste una differenza insuperabile, ma questa in parte è abolita dal potere che abbiamo di applicare a noi stessi gli intrecci che abbiamo ricevuto dalla nostra cultura e di provare così i diversi ruoli assunti dai personaggi preferiti delle storie che ci sono più care. In tal modo è grazie alle variazioni immaginative condotte sul nostro proprio ego che proviamo a ricavare una comprensione narrativa di noi stessi, la sola che sfugga all'alternativa apparente tra puro cambiamento e identità assoluta. L’identità narrativa si trova nel mezzo.156

Nel paradigma che genera la nozione d'identità narrativa confluiscono numerosi e autorevoli percorsi, che vengono alimenti dalla proposta concettuale di Ricœur, vi trovano sintesi e vi corrono paralleli.

Abbiamo già visto, più sopra, Ricœur evocare Hanna Arendt, con la cui opera instaura un profondo dialogo. La Arendt affida alla narrazione il compito di “salvare gli atti umani dall’oblio che li fa labili”157; propone una visione dell’identità personale che implica sempre l’altro158. Per la Arent la narrazione rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo159.

Nella nozione di identità narrativa, Ricœur, trovano una sintesi gli autori della tradizione fenomenologica, a partire da Husserl, che inaugura la scoperta della Spachlichkeit, della “linguisticità” di ogni esperienza, ma anche Heidegger, Merleau Ponty e soprattutto Jaspers.

Parimenti, è cruciale il contributo dell’ermeneutica. La riappropriazione di sé attraverso la riflessione speculare nei propri gesti, atti e oggetti è sempre sfuggente e contradditoria, per cui la via ermeneutica non solo è necessaria, ma è un momento di autenticità, rispetto al desiderio di essere, allo sforzo per esistere. Ricœur è un interprete dell’indagine sul circolo ermeneutico che il soggetto instaura con se stesso, oltre che con il mondo incontrato attraverso il linguaggio e la cultura.

L’identità narrativa porta con sé la lezione di chi – come Schleiermacher e Dilthey – ha inaugurato l’approccio comprendente dell’ermeneutica nelle scienze dello spirito, così come quella di Heidegger, che vuole farne uno strumento di analisi dell’esistenza, ma il pensiero corre soprattutto a Hans–Georg Gadamer, capace di rinnovare criticamente l’ermeneutica e farne una riflessione rivolta a ogni atto del pensare. Gadamer propone una dialettica dinamica del conoscere, che, a differenza di quella hegeliana, non trova compimento in un assoluto, ma si rinnova e rinasce in un’incessante “fusione di orizzonti” (Horizontverschmelzung), storici e linguistici. Ogni pensiero, ogni

154 Idem, p. 29.

155 Idem, p. 283.

156 Ricœur P., “La vita, un racconto in cerca di una narratore”, (conferenza tenuta a Napoli nel 1984), in, Filosofia e

linguaggio, Milano, Guerini, 1994.

157 Arendt H., Fra passato e futuro, (1961), Milano, Garzanti, 1993, p. 70.

158 Si veda, Arendt H.,Vita activa, Op. cit.

atto del conoscere comporta implicazioni storiche (pre–comprensione) ma al tempo stesso dialogiche (faccia a faccia) 160.

Grazie all’ermeneutica, l’identità (personale e collettiva) diventa un testo – fatto di parole, ma anche gesti, desideri, oggetti, atti – da interrogare e da disvelare, nei suoi orizzonti culturali e storico–linguistici, attraverso un racconto di sé, in cui l’alterità è sempre implicata, che non giunge a conclusione ultima ma si apre continuamente alle possibilità dell’esistenza: "Allo stesso modo non si finisce mai di reinterpretare l'identità narrativa che ci costituisce, alla luce dei racconti proposti dalla nostra cultura. In tal senso la comprensione di noi stessi presenta gli stessi tratti di tradizionalità della comprensione di un'opera letteraria."161.

L’essere umano appare dunque come un essere caratterizzato dalla narrazione. Questa consapevolezza trova eco, in maniera diversa ma inequivocabile, nei vari ambiti delle scienze umane e sociali con cui l'educazione degli adulti dialoga, e vede la formulazione di nuovi concetti teoretici. Di seguito presentiamo alcuni momenti esemplari dell’influenza del paradigma narrativo nelle scienze dell’essere umano e della società, per coglierne le articolate e feconde implicazioni.