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Per approfondire altri aspetti e sperimentare nuove strade per l’analisi dell’esperienza ho introdotto uno strumento ad approccio marcatamente narrativo.

Volutamente è stato chiesto di lasciare passare del tempo, di far lavorare i metabolismi della memoria, di scrivere dopo non meno di una settimana dall’ultimo incontro una riflessione che partisse dai ricordi rimasti in maniera più marcata nella mente. Consapevoli che non è solo nella coscienza che si muove il processo di consolidamento dell’apprendimento, possiamo ritenere che ciò che emerge nella memoria a distanza di tempo sia segni di un investimento avvenuto, di segno emotivo, cognitivo o simbolico, apici di movimenti di assestamento e consolidamento degli apprendimenti, che a sua volta l’attività di scrittura del ricordo consente di alimentare. Diventa interessante anche mettere a confronto quanto colto con il questionario con quanto riportato nei racconti.

Nel giro di un mese mi giungono tutti gli scritti. Sono stili diversi. In tutti però si sente una maggiore presenza riflessiva rispetto al questionario.

I contenuti confermano le interpretazioni emerse dalla lettura dei due strumenti precedenti. A parte le sensazioni, che ritornano delle atmosfere viste in precedenza (scoperta, rispetto, libertà, interiorità) diventa interessante raccogliere i ricordi e i significati ad essi legati. Gli scritti, visto il tempo a disposizione e la tranquillità per redigerli, appaino – rispetto alle domande aperte del questionario – più meditati, più riflessivi. Questi racconti, permetto di scavare maggiormente nell’esperienza e danno informazioni preziosissime per il docente e al tempo stesso consolidano il processo formativo nel discente.

Compaiono ad esempio i timori rispetto all’esperienza e il cambiamento di questi. Ecco le preoccupazioni di Vanessa e Giuseppe:

Vanessa: Il primo giorno di corso mi è rimasto impresso, anche se è passato più di un mese. Mi sono presentata insieme alle mie paure e ai miei dubbi. Il mio timore più grande era quello di dover esternare ciò che sentivo dentro, ciò che ero, per forza, anche quando magari non ne avevo voglia o non ne sentivo il bisogno.

Giuseppe: Ricordo lo scetticismo iniziale, mi domandavo che cosa mai si sarebbe potuto imparare, a livello di animazione, dalla scrittura.

Entrambi confermano la scelta dell’attività di avvio, con del disegno del nome.

Vanessa: Vedere gessetti colorati e cartoncini in bella mostra sul banco, mi ha molto rassicurata e rincuorata. Scrivere il mio nome, esprimendo la mia creatività, raccontare ciò che sono in un modo nuovo, senza parole profonde, né esternazioni inutili, mi ha permesso di lasciarmi andare e di mollare il freno che tenevo premuto sulle mie emozioni.

Giuseppe: Già la prima lezione sono stato subito smentito nei miei dubbi. L’esercitazione dello scrivere–disegnare il proprio nome ha portato con sé dei significati che a primo impatto non sono stati così evidenti. Mettersi fuori in terrazza, in un bel pomeriggio soleggiato, tornare ad impugnare dei pastelli e sbizzarrirsi con i giochi di forme e colori è stato parecchio divertente, ha dato proprio animo alla situazione. Per di più l’idea di interpretare il nome di un compagno in base a come l’aveva disegnato e colorato ha dato degli ottimi feedback sia a me sia alla compagna Claudia che si era prestata alla mia interpretazione.

Anche Vasco e Martina ricordano i loro timori, che si allentano di fronte alla concreta esperienza.

Vasco: Dopo aver scoperto che avrei frequentato il seminario non ero molto contento e dentro di me protestavo. Credo che questi sentimenti oppositivi derivassero principalmente dalla seconda parola che ho proposto per definire questo corso, ovvero sconosciuto. Penso che il seminario di scrittura creativa, non conoscendolo, m’ispirasse meno degli altri proposti, dei quali più facilmente ero riuscito a farmi un’idea. Già dalle prime lezioni però, e qui entra in gioco la terza parola, sono rimasto sorpreso. Come ci è stato presentato il seminario ha catturato il mio interesse.

Marina: Inizialmente sono partita un po’ prevenuta su questo corso, in quanto non mi ritengo una persona molto creativa e fare un atelier sulla scrittura creativa mi spaventava parecchio. Durante queste cinque lezioni però mi sono ricreduta, ho capito che non serve essere degli artisti con chissà che doti per poterci esprimere attraverso la scrittura,

Il primo giorno di corso, caratterizzato dall’attività di disegno, è per tutti attraversato da curiosità e ansia è presente in moltissimi testi. Elemento che ci ricorda l’importanza di curare i dettagli dell’incontro, momento in cui si gioca molto per la costruzione della relazione pedagogica.

Gessica: Il primo lavoro che abbiamo fatto è stato quello di scrivere il nostro nome e lasciarci andare nel decorarlo, senza troppi pensieri. Quello che ne è uscito è stato straordinario, perché ogni lettera conteneva una parte della mia vita. Il mio nome mi rappresenta.

Joana: Esco in terrazza, ho in mano un foglio colorato e un compito: scrivere il mio nome con i pastelli. Mi siedo insieme ai miei compagni e inizio a colorare. In quell’istante torno bambina perché in quel foglio non esistono regole, posso disegnare un albero blu e un sole rosso.

Vanessa: Mi ricordo la sensazione di sentire le mie mani scorrere veloci sul foglio, di scavare dolcemente dentro di me, di trovare ciò che sono e di esprimerlo su di un foglio. Quel momento per me è stato magico, un momento tutto per me.

Nicola: Il percorso è iniziato da noi stessi: dal nostro nome. Nonostante tutti fossero molto sorpresi dalla prima consegna, scrivere il proprio nome con i pastelli su dei fogli colorati, i risultati sono stati sorprendenti! Quella che inizialmente poteva sembrare un’attività banale e infantile si è trasformata in un divertente e rilassante viaggio dentro di noi.

Sara G.: Materiale: gessetti colorati, cartoncini colorati, fantasia, creatività. Consegna: usarli per scrivere il proprio nome. Cominciammo così il nostro breve percorso di scrittura creativa, con il nostro nome. L’ambiente divenne subito giocoso, allegro e qualcuno aveva gli occhi illuminati per aver visto la scatola con i colori. Chi aveva il mal di testa si rilassò; gli passò senza nemmeno dover prendere un antidolorifico

Diana: il momento in cui abbiamo dovuto scrivere il nostro nome con i gessetti. È stato un momento per me molto rilassante, quasi meditativo, dove i pensieri sono fuggiti via, insieme al mal di testa che mi affliggeva, lasciando una leggerezza mentale che non provavo da parecchio

Gaia: La prima esperienza che porto come ricordo è il disegno del mio nome, lasciarsi andare con la musica è stato bellissimo la mano passava con naturalezza sul foglio, ma la cosa che più mi ha sorpresa è stata l’interpretazione del mio disegno da parte di Diana. Mi ha davvero colpito.

Claudia V.: Quando ci ha dato il compito di scrivere il nostro nome con i pastelli, inizialmente non avevo idee e mi sembrava qualcosa di banale. Alla fine si è rivelata un’esperienza molto divertente! Mi è quasi sembrato di tornar bambina. Anche se, a dir la verità, non ho mai abbandonato il mio piacere nel disegnare.

I testi ci parlano della piacevole regressione in atto, di serenità e fiducia che costruiscono un fondo sui cui poggiare gli apprendimenti. L’altro grande protagonista dei ricordi è l’universo di sensazioni che ha accompagnato il cammino sul sentiero di Gandria: la giornata all’aperto, gli haiku, la concentrazione, il kimono.

Gessica: quello che mi ha emozionato moltissimo è stata l’uscita fatta al sentiero di Gandria, è stato bellissimo vedere il professore farci assaporare un po’ della cultura giapponese, con i suoi haiku e il suo modo di vestirsi. Durante il percorso del sentiero, in cui non potevo parlare con i miei compagni è stato fantastico assaporare il silenzio e sentire i rumori della natura, i rumori della vita, il sole.

Giuseppe: Infine, ma personalmente il ricordo più sereno e più importante di questa esperienza viene dall’attività al sentiero di Gandria. […] L’armonia di quel posto, la meditazione, il camminare coi propri pensieri e qui e là buttare giù su un foglio i “quasi haiku”, prendere il caffè in terrazza e condividere ciò che si era scritto tutti insieme al porticciolo, è stato semplicemente fantastico.

Joana: Ricorderò il sentiero di Gandria e il suo silenzio, così difficile da mantenere per una persona come me. […] Mi sono presa un momento per ascoltare ciò che mi circondava, il rumore dell’acqua, il cinguettio degli uccelli, i miei passi.

Vanessa: Un’ultima cosa che mi ha lasciato un piacevole ricordo, è l’uscita che abbiamo fatto sul sentiero di Gandria. Il paesaggio, il sole, l’entusiasmo del nostro professore, così contagioso, mi ha permesso di godere delle bellezze e della pace di questo posto, passando un pomeriggio all’insegna della poesia.

Nicola: Tornando alla strada che stavamo percorrendo, il nostro gruppo ha fatto una breve sosta, un pomeriggio, in Giappone, più precisamente a Gandria, paesino in riva al lago poco distante da Tokio. In questa magnifica località, sotto un sole primaverile, […]ci ha consegnato dei doni: gli Haiku. Dopodiché abbiamo avuto un’ora per entrare in contatto con la natura e scrivere alcuni versi

Jason; Abbiamo inoltre avuto l’occasione di sperimentare all’aperto alcune forme di poesia, potendoci così immergere a pieno nel silenzio e nella natura. Si è trattato di un momento che difficilmente si sperimenta nella vita di tutti i giorni. A me personalmente non è mai capitato di fermarmi ed osservare ciò che mi circonda, cercando di descriverlo con parole rappresentative. Questo momento mi ha inoltre permesso di conoscere, se pur in piccolissima parte, un aspetto della cultura giapponese che non conoscevo, cioè la realtà degli Haiku. Questo momento passato a Gandria mi ha veramente colpito per la sua profondità e mi lascerà senza dubbio uno splendido ricordo dell’atelier.

Sara G.: Quando i raggi del sole sfioravano il suolo, quando sentivo i miei passi sui sassolini e quando con me portavo il mio zaino con i miei pensieri ho sentito una grande pace. Per una parte del pomeriggio il resto dei problemi era sparito e io ero dentro il sentiero di Gandria, pensando agli odori, ai colori e al vento che passava in quel luogo. Nel frattempo contavo le parole per i miei quasi Haiku, che sembravano arrivare uno dopo l’altro senza troppa fatica, stimolata dall’ambiente che mi circondava.

Diana: L’uscita a Gandria è stata l’esperienza che mi ha segnato maggiormente, in quanto quella passeggiata meditativa alla ricerca di elementi per formare i quasi haiku, è stata rivelatrice di tante piccole meraviglie. Un fiore che sta per sbocciare, il passaggio di una piccola farfalla blu, un riflesso di luce sul lago, un sorriso di un passante, il ronzio di un’ape, sono tutti attimi, che se saputi osservare con la giusta attenzione, si dilatano nel tempo fino ad arrivare nitidi al mio presente con la medesima forza vitale.

Martina: Una cosa che mi è piaciuta molto di questo seminario è stata la gita a Gandria, premetto che non ci ero mai stata, ma il paesaggio incantevole e la consegna di non parlare, ma solo camminare a osservare mi ha fatto travolgere in pieno dalla bellezza di questi luoghi e della sua natura.

Gaia: Ma la lezione che davvero mi ha aperto il cuore è stata quella svolta sul sentiero di Gandria. Una giornata bellissima con una vista mozzafiato che ci ha permesso durante una camminata silenziosa di far nascere sui nostri pezzi di foglio dei “quasi Haiku”, così come abbiamo deciso di definirli, piccoli componimenti poetici di tre versi composti da tre, cinque e ancora tre parole. Abbiamo poi potuto leggerli tutti assieme in un secondo momento. Ed è impressionante come ognuno di noi dentro in realtà porti un piccolo poeta nel cuore.

Vasco: La passeggiata di Gandria la ricordo come il momento più significativo del seminario, un momento dove poter approfittare del bel tempo, in buona compagnia, ma comunque guidando la nostra mente, oltre ai nostri passi, in un percorso che ricordo con piacere.

Claudia: Il ricordo più bello, però, di questi incontri è stato il giorno che siamo andati a Gandria. Siamo stati fortunati perché faceva caldo e il sole splendeva. A me piace molto camminare e scoprire posti nuovi. È stata una bella occasione anche per fare qualcosa di diverso dal solito. Trascorrete troppo tempo a scuola, nelle stesse aule, al chiuso, mi è difficile. La possibilità di andare a godere di una bella giornata all’aria aperta con i miei compagni è stato un bel momento per tutti quanti.

Nelle riflessioni, che confermano e approfondiscono quanto emerso nei precedenti strumenti di valutazione, compare un’esperienza, di cui viene colta l’importanza, che diventa spazio di consapevolezza e apprendimento: il silenzio525.

Eccolo ben rappresentato negli alterni vissuti di Monica:

Monica: Ricordo bene le sensazioni che provai durante la passeggiata a Gandria, quel giorno non avevo voglia di rimanere sola con i miei pensieri e speravo quindi di poter fare come ogni volta che sento di dovermi distrarre, speravo di poter passare del tempo con i miei compagni a parlare di argomenti futili per poter fuggire. La consegna, invece, prevedeva che il percorso venisse fatto in silenzio, iniziai ad incamminarmi, cercando di appropriarmi di qualsiasi cosa mi passasse davanti agli occhi e di immergermi nel paesaggio per annullarmi in esso. Per un lasso di tempo incalcolabile camminai come una macchina, come il vento, come per inerzia. Mi passò davanti agli occhi una piccola farfalla viola e provai invidia, per la grazia con cui sbatteva le ali, per la facilità con cui lo faceva. Poi si posò su un sasso per riposare e lì mi sembrò di poterla capire, aveva bisogno di respirare almeno tanto quanto ne avevo bisogno io. Proseguii il percorso lungo una scalinata in salita, quando arrivai in cima, riuscii a sentire la fatica. Mi sono fermata a guardare il lago, ad inspirare, poi, alzando gli occhi, mi sono accorta che la nuvola che mi faceva ombra fino a qualche momento prima adesso era ormai lontana “ti affido le mie preoccupazioni, per favore, portale via”, ho pensato. Poter credere che ciò fosse possibile, per quanto folle o ingenuo, mi ha fatto del bene. Proseguii, sentendo un peso in meno. Quella giornata, che tanto avevo temuto, si è rivelata essere un trampolino di lancio; avevo iniziato a camminare, ad andare avanti, perché ero io a volere che così fosse.

Questo lungo estratto, denso di immagini e simboli, ci mostra quanto si muova nell’animo del soggetto che ci troviamo di fronte in formazione, e come questi turbamenti si intreccino con gli accadimenti pedagogici; possono essere soffocati oppure ricevere respiro, prendere fiato e farsi ossigeno di cambiamento grazie anche a una esperienza di silenzio che prende senso.

Consapevolezza del silenzio che appare anche in altri momenti del percorso.

Giuseppe: in quei pochi secondi di silenzio tra un’esposizione e l’altra si percepiva un significato profondo di quello che la persona aveva esposto.

Joana: Mi sono sentita accolta, rispettata: come se il professore e i miei compagni, fossero riusciti a far rifiorire il mondo della poesia dentro me in punta di piedi, in silenzio, a piccole dosi […] Uno degli

525 Il tema del silenzio è ormai oggetto di approfonditi studi in chiave pedagogica, si vedano a questo proposito le pubblicazioni e le pratiche proposte dall’Accademia del Silenzio, all’Url, http://www.lua.it/accademiasilenzio.

insegnamenti importanti che mi ha trasmesso quest’esperienza è proprio il rispetto dell’altro, dei suoi tempi, dei suoi silenzi. […]

Sara: Grazie a questo corso ho trovato un’ altra Sara, ho trovato la mia poetessa preferita: la mia mente, a volte così confusa come ad un concerto, invece a volte così silenziosa da farne invidia al rumore.

Gessica: Durante il percorso del sentiero, in cui non potevo parlare con i miei compagni è stato fantastico assaporare il silenzio e sentire i rumori della natura, i rumori della vita, il sole.

In sintonia con ciò, emerge la consapevolezza dell’importanza di un clima di condivisione, di sospensione del giudizio, di naturalezza. Valore percepito e non solo teorizzato.

Joana: Ciò che non dimenticherò è la serenità che provavo immediatamente appena entravo nell’aula per cominciare la lezione e il senso di pace che mi accompagnava fino a casa una volta finita. […] Ricorderò quanto mi sono sentita capita dalle frasi semplici ma mai banali, scritte dai miei compagni: gli stessi che non ho mai sentito vicino come durante le ore di questo seminario. […]In questo seminario mi è stato dato il permesso di rimanere fedele alle mie sensazioni, alle mie emozioni: niente forzature, niente ingressi irruenti o porte spalancate ma leggere carezze, piacevoli, famigliari.

Vanessa: Mi sono stupita del piacere che ho tratto nell’ascoltare gli altri raccontare le proprie poesie, sentire la loro voce e sentire la mia, timida, condividere le mie creazioni.

Diana: La condivisione che c’è stata alla fine di ogni lavoro, è come se fosse servita a sprigionare energie fino ad allora intrappolate, perché non conoscevano la strada per uscire.

Sara: Non dovevo più controllarla in quei pomeriggi del giovedì, la mia mano e la mia mente si incontravano da sole, senza alcuna presentazione e danzavano un ballo che lasciava spazio solamente alle parole, a parole così belle e sincere che nessuno potrà mai contraddire o giudicare.

I ricordi raccontano parimenti della scoperta delle possibilità della scrittura, confermano il valore degli esercizi; mostrano riflessioni su capacità che vengono nutrite, che fioriscono, che ristorano, che incuriosiscono.

Gessica: mi sono resa conto di quanto una parola possa trasformarsi in un espressione meravigliosa come i petit onze e di quanto significato c’è in ogni singola emozione, o in ogni cosa che guardiamo.

Joana: scrivere delle frasi composte solamente da parole che inizino con la stessa lettera. I miei pensieri scorrono più veloci della mia mano. Inizialmente sembrano versi insensati, parole messe a caso senza alcuna logica. In realtà, ogni frase ha una parte di me. Rido tanto mentre scrivo e mi sento leggera. Ascolto interessata i lavori dei miei compagni, alcuni mi fanno sorridere, altri sembrano conoscermi.

Vanessa: il gioco dell’acrostico, dove ognuno di noi era chiamato a scriverlo con le lettere del proprio nome, ponendo alla fine un punto interrogativo, dopodichè a caso i fogli venivano ridistribuiti tra i compagni, che davano poi una risposta sempre seguendo le lettere del nome che c’era sul foglio ricevuto. Alla fine si leggevano e si ridistribuivano ai legittimi proprietari. Da questo gioco–esercizio sono emerse delle poesie bellissime, alcune divertenti e giocose, altre molto profonde e vere, che mi hanno fatto riflettere molto.

Sara G.: Penso che nessuno si dimenticherà più cosa significhi anafora, figura retorica che conoscevo ma avevo confuso con tutte le altre che fui costretta a studiare anni fa.

Diana: Un altro momento che mi ha lasciato un segno è stato la creazione dei tautogrammi. Forse la stessa scia di leggerezza della mente che ci ha permesso di scrivere a ruota libera, parole trovate un po’ a caso, con in comune solo la lettera iniziale, producendo un risultato a mio parere divertente e inaspettato! Mi stupisce ancora oggi, rileggendo anche i lavori dei miei compagni, quanta profondità e quanta bellezza emerge da poche parole poste l’una vicina all’ altra.

Gaia: La mia memoria salta poi ai “petite onze” che mi hanno incuriosita per la spontaneità con cui le parole sono fluite così semplicemente dalla mia testa.

Negli scritti, compare una postura volta verso il futuro professionale, che costruisce e coglie con l’immaginazione possibile riedizioni di quanto sperimentato con altri pubblici.

Gaia: Un’altra esperienza che mi ha divertito immensamente è stata la poesia dadaista. A casa mi sono divertita a comporre poesie con mia figlia, lei pescava le parole ritagliate da un sacchettino e io le