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L’incontro inizia con la condivisione delle sensazione della giornata sul sentiero. Gli interventi sono entusiasti. Molti riportano che qualcosa cambia in meglio nelle relazioni e nella concentrazione, quando si fa “lezione” in un paesaggio del genere”. Nascono riflessioni sull’influenza dell’ambiente sulla formazione. Anche gli haiku hanno lasciato il segno. I partecipanti sono sorpresi della qualità e dell’intensità dei risultati. Via posta elettronica sono arrivati diversi haiku, che hanno dato un tocco di delicatezza alle giornate. Sono arrivate anche i componimenti con le anafore e ne leggiamo alcuni.

Di seguito una selezione:

Dimenticare di ricordare e ricordare di dimenticare.

Ricordo la mano di mio padre che accarezza il viso di mia madre, e i loro sorrisi complici.

Ricordo le volte che dicevo "mamma pendi Luna?" Ricordo l’odore dell’Africa,

e i colori vivi, come la terra rossa.

Ricordo la volta che ho stretto a me il mio cane, e mi è crollato il mondo addosso,

perché sapevo che quella sarebbe stata l’ultima volta, sapevo che non l’avrei più rivisto,

ricordo di essergli restata accanto fino alla fine, fino all’ultimo battito del suo cuore.

E poi ricordo lui, che mi ha distrutta.

Ricordo ancora di ricordarmi di non smettere di credere nella vita, negli attimi che mi hanno fatta sentire viva.

Ricordo gli errori, le gioie e i sorrisi. Ricordo.

Ricordo il passato. Ricordo la vita.

Nessuno può negarmi di ricordare,

sappiate però che la vita è fatta anche di ricordi dimenticati. Ricordi dimenticati per sempre,

rimasti chiusi dentro un cassetto dell’ anima, che non riesco più ad aprire.

Dimenticare il passato è come rinnegare ciò che sono,

ma in certi momenti, dimenticare diventa l’unico modo di andare avanti e superare il dolore diventato ormai insopportabile.

Scelgo quello che voglio dimenticare, ma non dimentico come si sogna, come si vive,

come si ama.

Non fuggo dalla vita, perché la vita sfugge ai mortali.

Dimentico.

A volte dimenticare è vantaggioso quanto ricordare. Gessica

E sia E sia

del più folle sentire il più grande successo questo fremer di versi in un tempo sospeso. E sia,

al muto sfumare di un giorno inerte, la brama smaniosa che di vita s’accende. E sia,

al soccombere tacito di un sogno sgraziato, il ridestarsi di un futuro da sempre avuto in grembo. E sia allora

la più fiera speranza, che sia torto o ragione, a confortare il mio Poi con un’altra promessa. Ilaria C.

Ho voluto credere alle tue parole, dolci pillole d’amore Ho voluto credere nei tuoi sguardi per sentire le e mozioni

Ho voluto credere nell’amore che dolce illusione Ho voluto credere in te, ma aimè pensavi solo a te Gaia Continua silenziosa la foglia a galleggiar sulla corrente sospinta dal vento. Continua

a specchiarsi nell'acqua spettinato dall' aria. Continua

laboriosa la gente a parlar nelle strade indaffarata di faccende. Continua

sorniona la gatta a dormire sull'uscio scaldata dal sole. Continua

imprevedibile la vita a organizzar sorprese illuminata dall'Alto. Claudia E.

Sogni d'oro Tommy

Sono le ventuno, fra 30 minuti inizia il turno di lavoro. Karin sistema le ultime cose in cucina, poi si dirige spedita in bagno dove, senza prestare troppa attenzione, si veste e si trucca. Infine, si spruzza un po’ di profumo.

È pronta. Da un bacio a Tommy che sta giocando alle macchinine in camera sua, ed esce da casa. Arrivata al primo incrocio della Kreupelsteeg, saluta le sue colleghe di lavoro e poi entra nel suo acquario. Ore ventuno e ventiquattro minuti. “Bene, ho ancora tempo per fumarmi una sigaretta”. Estrae dal suo pacchetto giallo l’ultima sigaretta. “Merda, stasera sono senza!” Accende la sigaretta. Pensa a Tommy. Sono le ventuno e trentadue minuti. Comincia un’altra serata di lavoro.

Karin si sistema i capelli, apre le tende e inizia a battere con il dito indice sul vetro.

Di fronte al suo viso, una marea di persone, guardando prima a destra poi a sinistra. La fissano un attimo, sorridono, poi vanno avanti.

Dopo una decina di minuti Karin vede passare un gruppo di amici ben vestiti. “Questi non posso farmeli scappare, sono pesci grossi” pensa. Inizia, quindi, a cercare un contatto visivo con uno dei tre. Abbocca. L’uomo sembra interessato. Si ferma un attimo di fronte alla vetrina, la guarda dall’alto al basso, dopodiché saluta gli amici ed entra. Sono le ventuno e cinquantatré. Karin chiude le tende.

“Ti do al massimo 60 euro, non un centesimo di più” dice l’uomo con tono molto arrogante. “Sotto gli 80 euro non posso scendere. Se il prezzo non ti va bene cambia compagna!” risponde seccata Karin. Ormai è abituata a questo genere di conversazione. “Va bene, te ne darò 80. Ma se mi deludi giuro che ti carico di botte. Io li ho sudati quegli ottanta euro!!” Ribatte l’uomo con il solito tono.

Terminato il lavoro, l’uomo se ne andò senza nemmeno salutare. Li conosceva bene i tipi come lui. Uomini d’affari che approfittano di essere in trasferta per colmare la monotonia dei rapporti con la moglie.

Karin si sistema i capelli, apre le tende e inizia a battere con il dito indice sul vetro.

Siamo agli inizi del mese di gennaio. La gente sulle strade è poca. Non è periodo di grandi guadagni. Sono le ventidue e trentadue minuti.

Fra poco dovrebbe arrivare Paolo, l’abituale cliente del lunedì sera. Di solito arriva alla mezza. È strano questo suo ritardo. Forse avrà avuto un qualche imprevisto, magari si è trasferito, o più semplicemente ha trovato un’altra con cui passare la serata.

Eccolo che arriva. Solita camicia rossa a righe, il berretto grigio, e un paio di jeans strappati. I due incrociano lo sguardo, un accenno, poi entra. Che freddo! Scusa il ritardo piccola, ho finito adesso il turno al bar” racconta Paolo, mentre si sfrega le mani.

Karin lo conosce da circa sei mesi. Puntualmente, il primo giorno della settimana, lui si presenta. Il loro rapporto è diventato abitudinale, si sentono per messaggio durante la settimana. Paolo è un tipo molto gentile, la rispetta. Finito il rapporto, i due parlano spesso di ciò che hanno fatto durante la settimana. “Bene, ora vado. Ci vediamo lunedì prossimo.”

Karin si sistema i capelli, apre le tende e inizia a battere con il dito indice sul vetro. Avevano conversato per un bel po’. Karin guarda il cellulare. Sono le ventiquattro.

Rimane in piedi per circa due ore e mezzo, ma nessuno entra più dalla porta. Non è un buon periodo.

Karin esce dalla camera, chiude a chiave e si dirige verso casa. A quell’ora Amsterdam è completamente deserta. Si sentono solamente delle voci in lontananza, sono dei ragazzi fuori da una bar. Incontra una sola persona durante il tragitto fino a casa. Riesce a farsi dare una sigaretta. È un turista, italiano o spagnolo. Ha un accento molto strano, poco famigliare.

Aspira a pieni polmoni. Karin sente il fumo che le scorre dentro. Dopodiché lo vede uscire e dissolversi. Poi entra nel suo appartamento. Tommy a quest’ora della notte sta dormendo. Chissà cosa sta sognando, forse un’altra madre. Una madre migliore.

Rimane un attimo in piedi a fissarlo. È il bambino più bello del mondo. Lo bacia sulla fronte e poi si siede affianco a lui. Non è questa la vita che sognava da piccola.

Mentre fissa la sua piccola creatura le scende una lacrima sul viso. Poi sussurra: “Sogni d’oro Tommy.”

Nicola

Sono testi più complessi dei precedenti. Emergono sentimenti intimi e personali che prendono forma grazie al contenitore dell’anafora. Al di là della qualità estetica, hanno una qualità esistenziale, che si traduce anche nel silenzio commosso o nelle espressioni di approvazione con cui sono accolti durante la lettura. L’ultimo scritto sembra abbandonare l’anafora e il linguaggio poetico, per espandersi nella prosa. L’anafora però è fragilmente presente, affidata al nome della protagonista “Karin”, che s’impone nella sua vulnerabilità, frammentariamente e sommessamente, all’inizio di alcune frasi e nel ritorno dell’immagine “Karin si sistema i capelli”, presentandosi come richiamo al soggetto, testimonianza della propria umanità violata.

Il testo si sposta in direzione prosaica, allenta cioè l'ambito ritmico e fonetico della poesia per enfatizzare la dimensione del racconto. Cosa largamente concessa nel verso contemporaneo e nella tendenza a contaminare gli stili di tutta l'arte di oggi. Nel leggerla mi è apparsa alla mente un’altra poesia prosaica, dove compare similmente il richiamo sottilmente anaforico del nome. Sorprendentemente il tema è simile. Si tratta dei pensieri di Deola di Cesare Pavese, che condivido con tutti.

Deola passa il mattino seduta al caffè

e nessuno la guarda. A quest’ora in città corron tutti sotto il sole ancor fresco dell’alba. Non cerca nessuno neanche Deola, ma fuma pacata e respira il mattino. Fin che è stata in pensione, ha dovuto dormire a quest’ora per rifarsi le forze: la stuoia sul letto

la sporcavano con le scarpacce soldati e operai, i clienti che fiaccan la schiena. Ma, sole, è diverso: si può fare un lavoro più fine, con poca fatica.

Il signore di ieri, svegliandola presto, l’ha baciata e condotta (mi fermerei, cara, a Torino con te, se potessi) con sè alla stazione a augurargli buon viaggio.

È intontita ma fresca stavolta,

e le piace esser libera, Deola, e bere il suo latte e mangiare brioches. Stamattina è una mezza signora e, se guarda i passanti, lo fa solo per non annoiarsi. A quest’ora in pensione si dorme e c’è puzzo di chiuso – la padrona va a spasso – è da stupide stare lì dentro. Per girare la sera i locali, ci vuole presenza

e in pensione, a trent’anni, quel po’ che ne resta, si è perso. Deola siede mostrando il profilo a uno specchio

e si guarda nel fresco del vetro. Un po’ pallida in faccia: non è il fumo che stagni. Corruga le ciglia.

Ci vorrebbe la voglia che aveva Marì, per durare in pensione (perchè, cara donna, gli uomini vengon qui per cavarsi capricci che non glieli toglie nè la moglie nè l’innamorata) e Marì lavorava instancabile, piena di brio e godeva salute. I passanti davanti al caffè non distraggono Deola che lavora soltanto la sera, con lente conquiste nella musica del suo locale. Gettando le occhiate

a un cliente o cercandogli il piede, le piaccion le orchestre che la fanno parere un’attrice alla scena d’amore

con un giovane ricco. Le basta un cliente ogni sera e ha da vivere. (Forse il signore di ieri mi portava davvero con sè). Stare sola, se vuole, al mattino, e sedere al caffè. Non cercare nessuno. Pensieri di Deola di Cesare Pavese

(da "Lavorare stanca", Einaudi, 1943)

È toccante veder rivivere, entro generazioni distanti, queste comuni sensibilità umane.

L’incontro prosegue con le presentazioni degli approfondimenti che alcuni partecipanti hanno svolto a casa su diverse esperienze di animazione e scrittura poetica. Ognuno presenta il proprio breve studio e li commentiamo insieme, notando la diversità e le molteplici possibilità educative della scrittura creativa e poetica.

Colpisce molto l’esperienza delle madri di Plaza de Mayo. Gli scritti poetici di quelle donne sono un commovente coro di affetti, un canto collettivo contro la barbarie e di speranza nell’umanità. Anche il racconto del lavoro di Marie Thérèse Schins sul lutto negli adolescenti viene seguito con commozione. Insieme a tutte le altre esperienze, ne esce un quadro multiforme e multicolore, pieno di possibilità, dove leggerezza, allegria e condivisione si intrecciano in modo armonioso con le fatiche del vivere, coi grandi dolori umani, senza entrare in collisione, scorrendo sui binari comuni della scrittura espressiva. Lasciamo per ultima l’esperienza del festival Le pied à l’encrier, poiché oggi è anche prevista l’intervista via web a Rose–Marie Souler, animatrice francese dell’associazione Tia Paula di Tolosa. Dopo aver preparato alcune domande ci colleghiamo con Rose–Marie.

Rose–Marie presenta le sue attività di scrittura. Parla del suo atelier di calligrafia, disegno e scrittura. Ne presenta i principi pedagogici. Lavora sulla grafia dei caratteri latini, ebraici, arabi, cinesi, tibetani. La regola è cercare un piacere nel posare la mano e il pennino o il pennello sul foglio. Si lavora sul respiro, sul corpo. Il segno si traccia sul foglio nell’espirazione. Negli atelier le persone coltivano il piacere di incontrarsi e di comunicare. Tia Paula si dedica soprattutto a quest’attività, propone un percorso di conoscenza e di lavoro su di sé tramite il disegno del carattere calligrafico. Sono attività diffuse in tutta la Francia. Collabora anche con altre associazioni che

fanno altre attività di scrittura. Esiste un principio comune: la scrittura permette a tutti, a bambini e adulti, di esprimere ciò che è importante nella loro testa e nel loro cuore. Gli atelier sono realizzati anche nel quadro dell’alfabetizzazione e nella formazione professionale dove le persone vogliono seguire dei corsi per migliorare la scrittura. I pubblici delle attività di scrittura sono tantissimi: bambini, adulti, immigrati, giovani in situazione di disagio, ecc.

Rose–Marie parla poi del festival Le printemps de poètes, che permette agli allievi di scrivere poesie. Tutte le forme di scrittura sono possibili. Ha visto i giovani implicarsi molto nei progetti. Ha sentito nel periodo di violenze terroristiche in Francia come la scrittura canalizzasse sentimenti speranza e la lotta per la pace. Ci parla poi di Le pied à l’encrier, che consente a ogni tipo di popolazione di scrivere e di vedere valorizzati i propri scritti. È molto bella la festa finale, racconta, dove i testi vengono letti in pubblico, sono presenti anche traduttori in lingua dei segni. È un approccio solidale, intergenerazionale. È un approccio federatore di tutti gli atelier e le attività che favoriscono la scrittura.

Domando a Rose–Marie di approfondire quel legame da lei evocato fra scrittura e cultura della pace, legame importante in questi terribili momenti di violenza. Tutte le azioni che fanno, racconta Rose–Marie, anche le più piccole sono portatrici di speranza. A suo parere, di fronte alla violenza non possiamo rispondere con la violenza. Serve un altro approccio. Ognuno si deve impegnare. L’impegno sociale e umanitario consente di riconoscere nell’altro la sua ricchezza e rinvia e consente di riconoscere anche la nostra ricchezza; ricchezze che non abbiamo facilmente occasione di incontrare. Questo – continua Rose–Marie – è il contributo che offrono questi atelier di scrittura: riconoscersi mentre riconosciamo l’altro. Permettono di “osare essere”, di “osare comunicare”. Permettono al lavoro sociale di progredire nell’uguaglianza e nel rispetto della persona che incontriamo. Permettono un cammino in cui ci si può esprimere in maniera positiva, sincera, serena. La vita ci propone momenti oscuri e duri da vivere, ma dentro di noi ci sono delle forze e delle capacità che sono da risvegliare di fronte a questi avvenimenti drammatici. Questi avvenimenti che accadono a livello planetario, come in Francia e in Belgio, fanno toccare con mano la solidarietà che può essere messa in campo. La scritta “Io sono Bruxelles”, prosegue, è un “portatore di senso”, è uno scrittura di solidarietà che va al di là delle nostre azioni individuali e personali.

Rose–Marie, rispondendo a una domanda di un partecipante, ci parla della sua storia. È nata in una famiglia di agricoltori, dove le donne era tutte impegnate in azioni umanitarie. Azioni

silenziose. Portavano consigli e beni alimentari a persone in difficoltà. Sua madre era molto dinamica e il giorno in cui Rose–Marie ha voluto creare un’associazione per l’aiuto alle donne è stata da lei sostenuta. Fondata nel 2009 Tia Paula è nata accompagnando in Asia un gruppo di donne per creare iniziative di lavoro e di microcredito rivolto al mondo femminile; per creare contesti di rispetto e emancipazione della donna tramite il lavoro. In seguito Rose–Marie si è impegnata nella progettazione europea diventando un importante riferimento per molte

organizzazioni. Nel corso di queste esperienze, ha scoperto la calligrafia che ha risuonato in lei. Ha capito che il gesto e la respirazione sono essenziali per la comprensione di sé. Da qui ha sviluppato il suo approccio di conoscenza di sé tramite il gesto calligrafico. Ogni atelier è per lei un’occasione di nuovi apprendimenti.

Un partecipante le chiede di approfondire il legame fra respirazione e scrittura. Rose–Marie risponde che si tratta di una delle regole del gioco. Ha lavorato con grandi calligrafi, ci sono strumenti per la calligrafia ma anche dei metodi, ma i metodi e gli strumenti non sono niente se il calligrafo stesso non ha rispetto del suo corpo e del suo gesto. C’è un principio fondamentale alla base di tutte le calligrafie, ed è che tracciamo il segno durante l’espirazione. Perché nell’espirazione lasciamo le tensioni ed è questo rilassamento che si produce anche nella mano che permette una traccia morbida. L’inspirazione è una contrazione, l’espirazione un rilassamento. Principio che ci avvicina allo yoga. La calligrafia permette dunque di centrarci su quello che facciamo per ricevere il gesto che va a tradurre il proprio pensiero.

Rose–Marie ci parla anche dell’esperienza coi bambini dove ogni lettera genera storie e accompagna un apprendimento alla scrittura manuale che si carica di interesse. Rose–Marie risponde poi a una domanda sulle sue esperienze con bambini con disabilità. È un pubblico con cui ama particolarmente lavorare. Ci sono degli ostacoli ma c’è anche molta spontaneità. Pedagogicamente bisogna cogliere l’istante. Non bisogna assolutamente cercare di riprodurre. Nel progetto Le Pied a l’encrier lavora con programmi per l’inserimento professionale di giovani con disabilità; con persone con disabilità fisica o con disabilità psichica.

La conversazione finisce ancora con qualche battuta e con le lodi di Rose–Marie verso il progetto europeo Ethap. Molto arricchente perché ha permesso lo scambio e la conoscenza di nuove esperienze, invita a continuare le relazioni e ideare nuovi progetti.L’intervista a Rose– Marie ha preso più del dovuto. Ma l’intensità della comunicazione e l’attenzione dei partecipanti meritavano la deviazione dal previsto.

Concludo l’incontro presentando una bibliografia di testi di scrittura creativa e poetica che possono essere utili per chi volesse proseguire il cammino è trasformare questa esperienza in un strumento di lavoro.

La chiusura del percorso prevede un momento di valutazione dell’atelier. A questo proposito ho preparato diversi strumenti. Divisi in gruppi discutono l’Inventario per un atelier quasi perfetto realizzato dal progetto Ethap, cercando insieme di leggere il processo e i vari elementi del nostro atelier. Una valutazione che restituiranno nelle linee essenziali verbalmente in aula e poi sintetizzeranno per iscritto. Ogni partecipante è poi invitato a compilare un semplice scheda di rilevazione (che presento di seguito) tramite un questionario su alcune aree di interesse. Oltre a questo strumento di valutazione più tradizionale, introduco una strumento narrativo. Chiedo loro di lasciare passar del tempo, almeno una settimana dalla conclusione dell’atelier per concentrarsi su quello che rimane alla mente, sui ricordi più nitidi e le cose che ancora risuonano nella memoria per inviarmi un testo che racconti il loro punto di vista sul corso.

Tutte queste operazioni conclusive prendono diverso tempo e ci congediamo quindi un po’ di fretta. Una pecca che avverto nel percorso, a cui non è possibile, in quella situazione, porre rimedio.