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La metafora viva: Dalla retorica alla poetica, per un linguaggio di rivelazione, apparso nel 1975, è il lavoro di Ricœur che vuole dare avvio all’elaborazione di una Poetica della volontà. Questo studio sul linguaggio è una ricerca sul modo in cui il soggetto “abita il mondo”, modo in cui l’esperienza è incontrata e letta, e precede l’indagine sul mutuo condizionamento fra tempo e narrazione che porterà alla proposta teoeretica della nozione di identità narrativa. Il punto di partenza dell’opera è un approfondimento della proprietà linguistica della polisemia, il “nome con parecchi sensi”, che evolve in una riflessione sulla metafora e sul linguaggio poetico. L’indagine spingerà Ricœur a

228 Ricœur P., Finitudine e colpa, (1960), Bologna, Il Mulino, 1979, p. 633.

229 Ricœur R., L'antinomie del la rèalité humane et le probleme de l'Antrophologie philosophique, in, Pensiero, 5, 1960a, n. 3, p. 286.

estendere la riflessione dalla parola alla frase e, infine, alla narrazione, tramite le successive ricerche raccolte in particolare in Tempo e racconto231 e Sè come un altro232.

Il concetto di simbolo rimanda a significati molto differenti, pensiamo ad esempio alla nozione di simbolo nella logica formale e in contesti, come quello dell’Interpretazione dei sogni di Freud. Nel primo caso si tratta di un segno univoco, che rimanda a una cosa, sostituibile da un altro segno, nel secondo la polisemia è la qualità che contraddistingue il segno, che non rinvia solo ad un’altra cosa, ma a tante cose e tanti sensi, un segno che non può essere sostituito meccanicamente, che ha una sorta di identità propria, pulsante e vitale. La polisemia, che caratterizza molte parole, è un caso di segno molto particolare che ci presenta una caratteristica evidente del simbolo. I segni, hanno un rapporto di referenza con altre cose, la caratteristica del simbolo che interessa Ricœur è quella della referenza “multivoca”, portatrice di una pluralità.

La referenza "è la capacità di riferirsi a una realtà esterna al linguaggio"233: un termine linguistico, un segno, si riferisce a una cosa esterna a sé. Nella polisemia, non è solo questione di "doppio senso" del termine, ma di "referenza sdoppiata", espressione che Ricœur mutua dalle riflessioni di Jakobson sulla poetica: "Il predominio della funzione poetica rispetto a quello referenziale non annulla il riferimento, ma lo rende ambiguo. Ad un messaggio disemico corrisponde un mittente sdoppiato, un destinatario sdoppiato, un riferimento sdoppiato"234. Per Ricœur, questa caratteristica di “referenza sdoppiata”, ci dice che il simbolo non è rivolto solo alle cose, ma anche ai significati e trova una delle più evidenti espressioni linguistiche nella metafora.

Come abbiamo anticipato nel capitolo precedente, la metafora non va intesa come un artificio retorico, come una decorazione del discorso: la funzione della metafora è di creare una relazione non scontata fra le cose235. Il valore linguistico e semantico della metafora può essere compreso solo quando “viene collocata nell'ambito della frase e trattata come un caso di predicazione impertinente e non di denominazione deviante"236. La metafora è una strategia del discorso che preserva e sviluppa la "capacità creatrice del linguaggio" e, il che è lo stesso, "la capacità euristica della finzione".

Attraverso la metafora il discorso ridescrive la realtà, tramite la funzione della finzione. Ricœur nota che in questo modo sono connesse "finzione" e "ridescrizione", intuizione già presente nella poetica di Aristotele per cui "la poiêsis del linguaggio procede dalla connessione di mythos e mimêsis"237. Ci troviamo in presenza di una capacità di "innovazione semantica", cioè creazione di una nuova pertinenza semantica, insita nel linguaggio.

Lo studio dell'enunciazione metaforica deve prendere in considerazione l'intera produzione di senso metaforico, non solo la semplice denominazione (posizione che porterà Ricœur ad allargare il suo sguardo verso la più generale funzione narrativa). La parola, nel senso di “nome”, resta "il veicolo del senso metaforico", è il centro focale anche se deve essere preso in considerazione l'intero ambito della frase. Una unità linguistica trova il senso solo se identificata in un unità di grado superiore, così il fonema nella parola e la parola nella frase. Le parole non sono i semplici segmenti della frase. La frase è un tutto che non è riconducibile alla somma della sue parti. Il significato scaturisce dall'insieme238. Sulla base di queste argomentazioni Ricœur ridisegnerà, fra l’altro, la definizione dei rapporti di significato nella lingua – il modo in cui si combinano i segni – proposta da Saussure con il binomio sintagmatico–paradigmatico. Per Saussure il rapporto sintagmatico determina il significato dei segni in una sequenza lineare di tipo temporale, il significato emerge dalla

231 Ricœur P., Tempo e racconto, Voll. 1, (1983), 2, (1984), 3, (1985), Milano, Jaca Book, 2007.

232 Ricœur P. , Sé come un altro, (1990), Milano Jaca book, 1993.

233 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 5.

234 Jakobson R., Saggi di linguistica generale, (1963), Milano, Feltrinelli, 2002, p. 209.

235 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 47.

236 Idem, p. 2.

237 Idem, p. 5.

distribuzione di segni differenti in sequenze, quello paradigmatico (o, in Saussure, associativo) definisce il significato sulla base della presenza del segno nel sistema in relazione a termini assenti, che sono con lo stesso in un rapporto di somiglianza239: "da una parte, nel discorso, le parole contraggono fra loro, in virtù del lodo concatenarsi, dei rapporti fondati sul carattere lineare della lingua", combinazioni che possono essere chiamate "sintagmi". "D'altra parte, fuori dal discorso, le parole offrenti qualcosa di comune si associano nella memoria, e si formano dei gruppi [...] Noi li chiameremo rapporti associativi". Questi rapporti associativi, detti anche paradigmatici, si caratterizzano per essere in absentia, nel senso che sono legami che la mente crea sul segno che non appaiono nel discorso. "Così la parola enseignement farà sorgere inconsciamente nello spirito una folla d'altre parole (enseigner, rensegner ecc., oppure armement, changement ecc., o ancora èducation, apprentissage ecc.) per qualche aspetto, tutti hanno qualche cosa di comune tra loro."240.

Per Ricœur, se il segno è l’unità semiotica, la frase è l'unità semantica: "Dire, con Saussure che la lingua è un sistema di segni, è qualificare il linguaggio secondo uno solo dei suoi aspetti e non secondo la sua realtà totale"241.

“La distinzione fra semiotico e semantico, comporta una nuova distinzione fra paradigmatico e sintagmatico”242. La metafora in forma di discorso è un sorta di sintagma. Ricœur giunge così a porre in discussione il principio di Jakobson243, e di tutti gli strutturalisti, per cui il processo metaforico è dell’ordine del paradigmatico. A questo scopo propone il punto di vista del linguista francese Émile Benveniste: “È a seguito dell’esser messe insieme che le parole contraggono dei valori che non possiedono in se stesse e che sono anzi contraddittori rispetto a quelli che già possiedono”244. Per Ricœur, l’analisi di Jakobson, “elude la distinzione, introdotta da Benveniste, tra la semiotica e la semantica, fra i segni e le frasi. Questo monismo del segno è caratteristico di una linguistica puramente semiotica”245 , questa è una teoria della metafora che assume la parola e non la frase come unità di base della tropologia, il significato di un termine dipende dal significato della frase.

Ciò appare chiaro quando non si prende in considerazione la parola singola in astratto, ma si osserva il suo funzionamento. La parola singola ha un significato “potenziale”, una somma di sensi parziali, definiti dai vari tipi di contesti in relazione ai quali possono apparire: “La dipendenza del significato di un termine dal significato della frase risulta ancor più chiara quando, abbandonando la considerazione della parola isolata, si passa al suo effettivo funzionamento, attuale, nel discorso. Presa isolatamente, la parola non ha che un significato potenziale, risultante dalla somma dei suoi sensi parziali, a loro volta definiti mediante i tipi di contesti nei quali possono comparire. È solo entro una frase data, vale a dire entro una situazione di discorso […] che hanno un significato attuale. […] Notava Benveniste: «Il senso di una frase è la sua idea, il senso di una parola è il suo impiego (sempre nell'accezione semantica). A partire dall'idea ogni volta particolare, il locutore raccoglie delle parole che, in questo impiego, hanno un «senso particolare»”246.

Lo stesso Saussure, ricorda Ricœur , vedeva un termine dato come il centro di una costellazione, “il punto in cui convergono altri termini coordinati, la cui somma è indefinita”247.

239 Saussure F., Corso di linguistica generale, (1922), Roma, Laterza, 2003, pp. 149 e sgg.

240 Idem, p.150.

241 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 94.

242 Idem, p.102.

243 Per la riflessione sulla metafora in Jakobson, si veda il saggio, Due aspetti del linguaggio e due tipi di afasia, in Jakobson R.,

Saggi di linguistica generale, Op. cit., pp. 22 e sgg., e in particolare I poli metaforico e metonimico (pp. 39 e sgg), dove si afferma

che "lo sviluppo di un discorso può aver luogo secondo due direttrici semantiche: un tema conduce ad un altro sia per similarità [Asse paradigmatico, N.d.R.] sia per contiguità [Asse sintagmatico, N.d.R.]. La denominazione più appropriata per il primo caso sarebbe direttrice metaforica, per il secondo direttrice metonimica" (p. 40).

244 Benveniste E., Le forme e le sens, p. 38, cit. in, Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 103.

245 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 232.

246 Idem, p. 172.

Questa tensione metaforica sempre presente nel linguaggio, sempre attiva nel soggetto, estende il vocabolario, fornisce una traccia per dare nomi a nuovi oggetti e offre a concetti astratti delle nozioni di comprensione concrete. Un esempio riportato da Ricœur è quello dalla parola Cosmos che "dopo aver significato la pettinatura dei capelli o la bardatura di un cavallo, successivamente si trovò a designare l’ordine di un esercito e quindi l’ordine dell’universo.”248.

Ne consegue anche un rilevante paradosso di ogni discorso sulla metafora: quello dell'autoimplicazione. Non esiste un discorso sulla metafora che possa essere fatto al di fuori della rete concettuale della metafora. Non esiste un luogo linguistico o mentale non metaforico che possa cogliere l’ordine della metafora: “La metafora si dice metaforicamente”249.

Prova ne è l'abbondante presenza nel linguaggio di "metafore morte", termini ed espressioni che hanno subito un processo di lessicalizzazione e hanno perso la loro immediata riconoscibilità metaforica, congelati nel loro significato d'uso. Si pensi ad esempio al verbo "arrivare", di cui pochi ormai notano l'evocazione nautica da cui ha origine, cioé “giungere a riva”. Ma la metafora morta, non comporta quasi mai la scomparsa totale dell’immagine e la sua rivitalizzazione mostra “l’antico splendore”.

Tutto quanto detto, ci conduce verso la nozione di testo aperto250.

Il carattere vago della parola, l'incertezza dei suoi confini, il gioco combinato della polisemia che dissemina il senso della parola e della sinonimia che discrimina la polisemia, e soprattutto il potere di accumulo della parola che consente di acquisire un nuovo senso senza perdere i precedenti sensi – tutti questi aspetti fanno dire che il vocabolario di una lingua è una «struttura instabile nella quale le parole singole possono acquisire e perdere dei significati con la massima facilità». Questa struttura instabile fa sì che il significato sia «di tutti gli elementi linguistici... quello che con tutta probabilità offre minori resistenze al mutamento»251

L'apertura del testo, la vitalità della lingua, diventa chiara quando si osserva fenomenologicamente il discorso e si comprende come “La lingua esista solo quando un locutore se ne appropria e l'attualizza”252. La lingua esiste solo quando un soggetto, locutore o lettore, elabora il significato e spinge sempre più lontano la frontiera del senso.

“Il punto importante da sottolineare per la discussione ulteriore, riguarda quella che chiamerei la produzione del senso: è in effetti il lettore colui che elabora (work out) le connotazioni del modificatore suscettibili di produrre senso; a questo proposito, una caratteristica significativa del linguaggio vivo è quella di poter spingere sempre più lontano la frontiera del non senso; non esistono, forse, parole tanto incompatibili da impedire ad un poeta di gettare tra esse un ponte; il potere di creare dei significati contestuali nuovi sembra esser davvero illimitato; certi tributi apparentemente «senza senso» (non–

sensical) possono aver senso in un contesto inatteso; l'uomo che parla non ha mai finito d’esaurire la

possibilità connotativa delle sue parole.”253.

Il discorso poetico, la forma più evidente della metafora viva, ci mostra lo slancio dell'immaginazione che si inscrive in quel "«pensar di più» a livello del concetto”254, aspetto che ci riporta a Kant, laddove egli distingue fra immaginazione (Einbildungskraft) produttiva e riproduttiva255, attribuendo un particolare valore di immaginazione produttiva alle idee estetiche. Nota Kant, "per idee estetiche intendo quelle rappresentazioni dell'immaginazione, che danno occasione a pensare molto (viel zu denken), senza che però un qualunque pensiero o un concetto possa

248 Idem, p. 250. 249 Idem, p. 381. 250 Idem, p. 168. 251 Idem, p.169. 252 Idem, p. 95. 253 Idem, p. 127. 254 Idem, p. 401. 255 Idem, p. 250.

esser loro adeguato, e, per conseguenza, nessuna lingua possa perfettamente esprimerle e farle sensibili [...] L'immaginazione (come facoltà del conoscere produttiva) ha una grande potenza nella creazione di un’altra natura tratta dalla materia che le fornisce il reale."256.

L'immaginazione produttiva, muove dal reale ma lo trascende, per creare un'altra natura. L'immagine poetica non è il sostituto di un oggetto. Il linguaggio va oltre il rapporto nome–cosa, animato da una natura, che non potrà mai esprimere completamente, uno spirito che lo muove, che è "il principio vivificante dell'animo"257.

Ricœur nell'indagine sull'immaginazione produttiva si ricongiunge a Bachelard258 e concorda con lui sul fatto che nel linguaggio l'essere è sempre attraversato da una tensione poetica che genera l'immagine. L'immagine poetica, immagine produttiva, è "un essere del nostro linguaggio"259. La sua novità essenziale "pone il problema della creatività dell'essere parlante"260. Tale immagine non è un residuo dell'impressione, ma "un annuncio aurorale della parola"261, essa è nello stesso tempo "un divenire espressivo e un divenire del nostro essere", ci riporta all'"origine dell'essere parlante"262.

Quindi se la fenomenologia dell'immaginazione si estende al di là della psico–linguistica ed anche della descrizione del vedere «come», è perche essa segue il filo della «ritenzione»263 dell'immagine poetica nella profondità dell'esistenza. L'immagine poetica diviene «origine psichica». Ciò che era un nuovo essere del linguaggio diviene un «aumento di coscienza» o meglio, una «crescita d'essere».264

La metafora è una strategia attraverso cui il linguaggio, allentata la funzione di descrizione diretta e libera invece la sua funzione di scoperta. Sospendendo la "referenza letterale" appare una "referenza di secondo grado", che è tipica della referenza poetica.

La poesia, sostiene Ricœur, rivela le numerose forme di "tensione" presenti nel linguaggio: "tra soggetto e predicato, tra interpretazione letterale e interpretazione metaforica, tra identità e differenza"265, tensioni che conducono alla teoria della "referenza sdoppiata". Inoltre nel cuore della metafora agisce una tensione che trasforma il verbo essere. È "il paradosso della copula", che modifica il verbo essere nella funzione di relazione (o referenziale) e lo modifica anche in senso esistenziale. Il senso metaforico del verbo "Essere", significa sempre "Essere–come"266. L'Essere come, che caratterizza la metafora, è parte della copula, e significa al tempo stesso "essere e non essere". Attraverso questa serie di tensioni, "la poesia articola e preserva, in rapporto con altri modi di discorso l'esperienza di appartenenza che comprende l'uomo nel discorso e il discorso nell'essere."267.

Quello che il discorso poetico porta al linguaggio, è un mondo pre–oggettivo entro il quale ci troviamo già radicati, ma anche un mondo nel quale noi progettiamo i nostri possibili più propri. Bisogna dunque spezzare il regno dell'oggetto, perche possa esistere e possa dirsi la nostra primordiale appartenenza a un mondo che noi abitiamo, vale a dire un mondo che, ad un tempo ci precede e

256 Kant I., Critica del giudizio, (1790), Sez. I, Libro secondo, Deduzione dei giudizi estetici puri, § 49, 314.

257 Idem, § 49, 313.

258 Bachelard G., La poetica dello spazio, (1957), Bari, Dedalo, 1975.

259 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 284.

260 Bachelard G., La poetica dello spazio, Op. cit., p. 15.

261 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit., p. 28.

262 Bachelard G., La poetica dello spazio, Op. cit., p. 15.

263 Termine ripreso da Minkowski, Le altre citazioni fra caporali sono tratte da Bachelard G., La poetica della rêverie, (1960), Bari Dedalo, 1972.

264 Ricœur P., La metafora viva, Op. cit. 284.

265 Idem, p. 417.

266 Idem, Op. cit. 326.

riceve l'impronta delle nostre opere. In una parola, bisogna restituire al bel termine «inventare» il suo senso, a sua volta, sdoppiato, che vuol dire, a un tempo, scoprire e creare268.

"Scoprire" e "creare" è questa verità del linguaggio che per Ricœur ci viene rivelata dalla metafora e dalla poesia. La poesia viene così ricondotta al suo originario significato di Póiēsis, quel fare produttivo e creativo umano. È ciò che Ricœur intende con l'espressione "linguaggio in festa", al centro della teoria dell'identità narrativa, che è fonte di «aumento di coscienza» e di «crescita d'essere», e invita il pensiero speculativo a mettersi in risonanza con il "dire poetico", alla ricerca di "quel luogo ove apparire significa generazione di ciò che cresce"269.

Il pensiero poetico, – di cui la metafora e la polisemia del simbolo sono i fenomeni evidenti – è dunque il cuore vivo dell'identità narrativa; principio pulsante, linguaggio in festa, che Ricœur metterà in relazione con la temporalità per proseguire nella sua indagine ontologica della narrazione, come abbiamo mostrato nel capitolo precedente.