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Il 6 maggio del 2015, mi presento all’appuntamento. Ho un leggero ritardo. Suono a un palazzo della buona borghesia, situato nei quartieri sotto cui giace la Milano romana, nei pressi del

536 Sartre J. P., Che cos'è la letteratura?, (1948), Milano, Mondadori, 1990. È il tema legato alla nozione di “semiosi infinita o illimitata”, già presente in Charles Peirce e affrontato anche da Umberto Eco (Si veda, Eco U., Opera aperta. Forma e

indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, 1962; Eco U., Lector in fabula: La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979) e da Jacques Derrida (Si veda, Derrida J., La scrittura e la differenza, (1967) Torino,

Einaudi, 1982), che abbiamo trattato in alcuni momenti di Paul Ricœr. Tema tangente questo lavoro, la cui consapevolezza guida alcune delle scelte.

Carrobbio. Fiorella, la padrona di casa, mi accoglie gentile ma con pochi preamboli. Sei persone, cinque donne e un uomo, sono già sedute intorno a un grande tavolo, coperto da una tovaglia candida e pesante. Collocato al centro del tavolo, un vaso con un allegro mazzo di fiori colorati. Mi viene assegnata una sedia e la consegna implicita di partecipare, ma non disturbare ciò che è già in corso. Fra i presenti, riconosco il mio amico, Stefano, e lo saluto. Il gruppo, evidentemente avvertito delle ragioni della mia presenza, è caloroso. Mi scambiano sorrisi, premure per farmi posto intorno al tavolo. Il tutto con molta parsimonia, attenti a non alterare troppo l’atmosfera generata dalla lettura già in corso. A capo tavola, Marina, una partecipante con l’aria dolce e mite, sentori che trasmette anche nella voce, conduce la conversazione, sotto lo sguardo di Fiorella, dal lato opposto del tavolo, preparatissima su tutto. Anche Marina, che conduce le letture, appare molto preparata. Sono seduto accanto a Fiorella che, rivolgendosi a me, dice, “Stasera Marina ci presenta Amelia Rosselli. La conosci vero?”. È un attimo, il timore mi genera una sottile tentazione di mentire, ma scelgo la via della verità, il contrario sarebbe stato un pessimo viatico. “No”, dico sommessamente e sinteticamente, un timido no, rafforzato da un diniego del capo. Fiorella, tace. Fa poi cenno a Marina di continuare ciò che stavano facendo. Mi distribuiscono copie di un articolo sulla Rosselli e di sue poesie.

Marina parla di Amelia Rosselli, dei drammi della sua vita. Introduce Sleep, la raccolta scritta in inglese, Rosselli era plurilingue. Racconta come Sleep sia legata all’insonnia che ha afflitto la poeta. Ne parla con voce pacata, allunga leggermente le vocali, dando all’eloquio un forte e gradevole carattere. È una presentazione colta e appassionata. Le voci dei presenti si alternano, puntualizzano, chiedono, contraddicono. I toni restano sempre pacati ma coinvolti. Fiorella ha un evidente ruolo di riferimento. Quando parla lei, quasi sempre le altre voci tacciono. Racconta del termine “Cangiante” presente in una poesia della Rosselli e ne sviluppa una serie di colti riferimenti.

Sento di essere fra persone dotate di preparazione sulla poesia; lo si vede dai rimandi, dalle associazioni che intrecciano fra episodi della vita della poetessa e le sue opere e fra queste e opere e vite di altri poeti, che mostrano di conoscere approfonditamente.

A un tratto, viene pronunciata la parola “Leggiamo!”. Sembra un richiamo, un invito a non andare troppo oltre con le speculazioni e lo sfoggio di cultura, a ritornare al cuore del rito, per il quale ci troviamo in questo momento insieme. A questo invito, segue una breve sommessa sequenza corale di “Si leggiamo... Dai leggiamo…”, come se non si stesse aspettando che quel momento. Gli occhi scorrono rapidamente verso Fiorella per ottenere una conferma e poi, insieme a lei, verso Marina, che, ricevuto l'assenso, si china su un libro e ci segnala la pagina da ritrovare nelle fotocopie. La prima poesia che ascoltai in quel raro convivio fu questa:

Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi dalla tua nascita e l'importanza del nuovo giorno non è che notte per la tua distanza. Cieca sono chè tu cammini ancora! Cieca sono che tu cammini e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.

(Amelia Rosselli, da Variazioni Belliche, 1964)

Nella lettura, la voce di Marina è molto partecipe, quasi esposta. Non è una voce attorale. Nessun tecnicismo, solo enfasi leggerissime dovute alla commozione. Scandisce un ritmo, la cantilena non regolare del testo, accentuando alcune sillabe, soprattutto le parole "vero", "che tu", gli inizi di frase "tutto" e "cieca". I restanti sono in silenzio, seguono il testo che hanno davanti, si percepisce la lettura interiore, la concentrazione. La voce di Marina sembra la risultante di una

lettura corale. Come se il respiro di ognuno si movesse al tempo scandito dalla lettrice. L'atmosfera evoca in me situazioni religiose, esperienze teatrali, rituali.

Tutto ciò mi fa incontrare la poesia della Rosselli in maniera indelebile. Non posso dire che effetto mi avrebbe fatto quel testo, se l’avessi letto, la prima volta, da solo. Quella poesia è ora legata alla voce di Marina e a quelle persone in silenzio intorno al tavolo. Ma al tempo stesso quel testo, in sé, mi parla. Ascoltandolo nella voce di Marina, risuona con le mie emozioni esistenziali. Provo commozione. Vedo il buio della parola "vedovo", la vastità della parola "mondo", la flebile luce della parola "lanterna", la vertigine dell'apertura verso un altrove con l'espressione: "occhi celestiali".

Sono toccato e sorpreso. Sento un forte richiamo verso quella poesia e quell'autrice. In queste emozioni, sento, so, di non essere solo. Le persone intorno a me, i loro volti, la loro concentrazione e tensione, me lo confermano.

Alla lettura segue una breve conversazione che aiuta anche ad alleggerire i turbamenti. Si approfondiscono i significati, si fanno associazioni con altre poesie della Rosselli e di altri poeti. Si evoca la figura di Rocco Scotellaro, quella di Sylvia Plath, la tremenda morte del padre Carlo Rosselli, e quella della madre. Ci sono pareri condivisi e disaccordi. La conversazione è garbata. Su di essa vigila Fiorella, che prende posizione, alzando leggermente il tono di voce, in caso di eccessiva discordia. I contenuti non sono quasi mai di tipo autobiografico. I vissuti personali vengono esposti raramente, più facilmente quando consentono evocazioni e associazioni colte o un'interpretazione aggiuntiva alle parole della poesia.

L'incontro prosegue in questo stile. Letture concentrate di testi della Rosselli – momenti densi, emotivi, che appaiono come il cuore del rito – si alternano a commenti e conversazioni che aprono l'esperienza della lettura verso aneddoti della biografia della poetessa, verso l'universo culturale (l'extratesto e la semiosfera, direbbe Lotman, l'ipertesto, direbbe la Corti) che gravita dentro e intorno alla poesia. Si cercano assonanze con altre poesie e poeti, si discutono atmosfere presenti nei versi, ci si sofferma su una parola o un'espressione. I testi della Rosselli non sono semplici. È una poetessa sperimentale. La sua metrica è una ricerca personale che si ispira anche alla dodecafonia musicale. I suoi versi trasgrediscono la grammatica. Si abbandonano al lapsus, alle associazione libere fra significati, così come fra suoni e significati.

È davvero difficile dire che rapporto avrei instaurato con lei se avessi affrontato da solo, senza nessuna conduzione, quei testi difficili, a volte duri. In quel contesto, accanto a quelle guide appassionate, accompagnato dalle informazioni, ma anche dalle emozioni condivise, si è instaurato con naturalezza un rapporto di affetto con l’autrice. La sua vita drammatica, raccontata dai presenti, risuona nelle sue parole e nelle sue radicali scelte stilistiche. Grazie alla condivisione del gruppo, si è creata una via d’accesso alla poesia che ha facilitato l’empatia con il testo e la poetessa.

Dopo circa un’ora e mezzo di questa attività intensa, il gruppo di distende. Fiorella porta in tavola dei pasticcini e delle bevande. Si chiacchiera serenamente. Racconto qualcosa di più su di me e sul mio studio. Chiedo la disponibilità a intervistare qualcuno di loro. In primo luogo la padrona di casa, che però garbatamente declina. Alcuni si dichiarano disponibili a raccontarmi la storia del gruppo e sul loro rapporto con la poesia. Ma sembra però che la via migliore sia un’intervista collettiva, un focus group, per non perdere quella dimensione di condivisione che è così marcata.

Nella conversazione, decidono di proseguire anche nel prossimo incontro con letture della Rosselli, e, mentre fissano la nuova data, invitano Marina a prepararsi allo scopo di continuare la presentazione.

Mi è chiaro che, almeno per un secondo incontro, ritornerò; vuoi per desiderio di approfondire la conoscenza di questa strana compagnia, vuoi per il fascino che ormai esercita su di me Amelia Rosselli.

Nell’accommiatarmi, mi rendo conto delle premure che esercitano gli uni verso gli altri. Si preoccupano dei rientri, dello stato di salute dei famigliari di alcuni fra loro. Emanano un tangibile sentimento di affetto reciproco. Con mia sorpresa mi rendo conto che una giovane donna seduta accanto a me, ha le gambe paralizzate, l’aiutano ad alzarsi e ad accedere alle stampelle. Ha una

grave patologia neurologica. Per tutta la sera non avevo minimamente avvertito la cosa. Sono davvero un pessimo osservatore, penso fra me.

Sono le otto di sera passate. Sono trascorse quasi tre ore dall'inizio dell'incontro. Scendiamo tutti insieme le scale e percorriamo l’androne, per salutarci ancora, prima di consegnarci alla notte della città.