• Non ci sono risultati.

Prima di Antonio La formazione dei notai trentin

La formazione di Antonio da Borgonuovo

2. Prima di Antonio La formazione dei notai trentin

Piuttosto limitate sono le informazioni relative alla formazione dei notai trentini in età medievale; soltanto con gli statuti emanati dal vescovo Alessandro di Masovia nel 1425-1427 e, dal 1459, con l’inizio delle verbalizzazioni delle sedute del Collegio dei notai e giudici di Trento10 si inizia ad avere qualche dato più preciso in merito

alle modalità di accesso alla matricola. Per quanto riguarda i secoli precedenti, ci si deve basare essenzialmente sul confronto con quanto avvenuto altrove e sull’esame della documentazione prodotta dagli stessi notai. Se infatti si verifi ca l’esistenza di norme in merito all’accesso alla professione notarile negli statuti roveretani del 1425 che, come noto, furono redatti ricalcando sostanzialmente gli statuti trentini (antiqua e vetera) del XIV secolo11, anche la redazione normativa del borgo lagarino

tace sulla materia, pur dedicando specifi ci capitoli ai notai.

Questa analisi inizierà quindi dagli statuti masoviani del 1425-1427 i quali, al Liber I, De civilibus, presentano gli statuti del Collegio dei notai di Trento; tre norme, in particolare, regolavano l’ammissione alla matricola:

Nullus advocatus, procurator seu tabellio possit scribere, advocare seu procurare in civitate Tridenti nisi fuerit descriptus in collegio predicto, sub pena decem librarum pro quolibet et qualibet vice.

Item quod nullus qui non sit descriptus in collegio seu matricula collegii predicti possit vel audeat scribere instrumenta vel ultimas voluntates vel acta aliqua iuditialia, vel offi (t)ium notarie aut procuratoris vel advocati exercere aliqualiter in civitate

9 Varanini, Il Collegio notarile di Trento, p. 489.

10 M.V. Ceraolo, Il collegio notarile di Trento nella seconda metà del Quattrocento, tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, a.a. 2001-2002, rel. G.M. Varanini e Varanini, Il Collegio notarile di

Trento, cit., pp. 483-514.

11 Statuti di Rovereto del 1425, cit. In particolare, sull’aderenza degli statuti roveretani alle redazioni statutarie di Trento del XIV secolo, cfr. i saggi di M. Bellabarba, Rovereto castrobarcense,

veneziana, asburgica: identità ed equilibri istituzionali, ivi, p. 18 e G. Ortalli, Percorsi statutari trentini,

Stefano Malfatti

55 54

una copia databile al 1457 del Flos ultimarum voluntatum di Rolandino2. È anche

su questi testi che probabilmente i giovani aspiranti notai trentini si formarono a partire dalla fi ne del Duecento, è a partire da questi exempla che i professionisti improntarono i loro formulari, traendone formule specifi che per ciascuna tipologia documentaria da adattare alle particolari necessità del luogo. Gli esempi raccolti nella Summa rolandiniana fi nirono così, col tempo, per «regionalizzarsi»3, armo-

nizzandosi con il sistema giuridico locale.

L’adesione alle formule della scuola notarile bolognese può essere effi cacemente rilevata mettendo a confronto il formulario adottato da ser Antonio per redigere, ad esempio, una semplice compravendita con quello utilizzato da altri colleghi trentini, fra cui ad esempio Venturino de Trechis4, notaio del Capitolo fra gli anni Venti e

Quaranta del Trecento, e Alberto da Sacco5, attivo alla fi ne del XIV secolo. I testi

delle compravendite ricalcano, praticamente de verbo ad verbum, il formulario della venditio simplex contenuta nella Summa di Rolandino Passeggeri6, tanto da

far ipotizzare che, in tutti i casi, i notai abbiano avuto davanti agli occhi proprio il formulario del notaio bolognese nel momento in cui redassero tali negozi.

Un secondo importante dato che emerge dall’esame sulla documentazione pro- dotta da Antonio è il fatto che egli non si defi nisce mai, né in sottoscrizione né altrove, doctor o iuris peritus, né lo fanno gli altri notai a lui coevi o successivi, quando menzionano il professionista del Borgonuovo. Antonio è semplicemente

publicus imperiali auctoritate notarius, come buona parte dei colleghi del tempo.

Se è vero che non molti tabellioni dell’epoca ricordano in sottoscrizione il titolo acquisito presso una qualsiasi università dell’epoca, va detto comunque che costoro, o i loro colleghi, non scordano di farne menzione altrove, fuori dall’escatocollo. È il caso, ad esempio, del notaio Gioacchino Mezzasoma, che in sottoscrizione si chiama imperiali auctoritate notarius7, ma che dalla documentazione coeva sap-

piamo essere uno iuris peritus8. Queste considerazioni relative alla sottoscrizione

e alle ‘defi nizioni’ attribuite a ser Antonio, unitamente alle informazioni tratte dal suo formulario contribuiscono a rendere plausibile, seppur non dimostrabile con certezza, una formazione locale del notaio trentino.

L’affermazione, come detto, non può che rimanere al livello della semplice ipo- tesi; il notariato trentino di fi ne Trecento e inizio Quattrocento è ben lontano dalle

2 Il manoscritto presenta inoltre la particolarità di recare, sul primo foglio di guarda, una serie di citazioni tratte dal De amicitia di Cicerone, vergate da una mano databile alla metà del Quattrocento. Il fondo diplomatico (BCT2) della Biblioteca comunale di Trento conserva inoltre alcuni frammenti di testi scolastici e di diritto con glosse (BCTn, BCT2, n. 1087, testo di diritto con glossa del XIV-XV secolo, frammento di 2 cc.; ivi, n. 1088, testo scolastico con glossa del XIV-XV secolo, frammento di 1 c.; ivi, n. 1085, frammento pergamenaceo di coperta che reca l’iscrizione, solo parzialmente de- cifrabile, Formulare instrumen(torum) (...) Stilus Romane curie. | De arte notariatus (...).

3 L. Sinisi, Formulari e cultura giuridica notarile nell’età moderna: l’esperienza genovese, Giuffrè, Milano 1997 (Fonti e strumenti per la storia del notariato italiano, 8), p. 176.

4 S. Malfatti, Il registro del notaio Venturino de Trechis nell’archivio del Capitolo della cattedrale di Trento - Instrumenta capitularia 3 (1324-1347). Edizione e commento, tesi di laurea, Università degli

Studi di Trento, a.a. 2011-2012, rel. A. Giorgi, n. 178.

5 Zamboni, Economia e società in una piccola città alpina, cit., n. 40.

6 Rolandini Passaggerii Summa totius artis notariae, Forni, Sala Bolognese (Bo) 1977 (rist. anastatica a cura del Consiglio nazionale del notariato).

7 Cfr., ad esempio, BCTn, BCT3, capsa 29, mazzo 1, n. 26.

8 Cfr., ad esempio, ADTn, ACap, Instrumenta capitularia 8bis, c. 62r, n. 168.

55

forme organizzative dei collegi notarili di altre città dell’Italia centro-settentrionale; come recentemente ha avuto modo di sottolineare Gian Maria Varanini, infatti,

quello del Collegio notarile trentino è … semplicemente l’esito in ritardo di un processo di consolidamento e di affermazione che risaliva a due secoli prima: l’associazione professionale si consolida e si assesta in ritardo, in armonia con lo sviluppo lento e contrastato delle istituzioni comunali, e in condizioni di ineliminabile subalternità rispetto al potere vescovile, che resta la fonte di legittimità tanto per l’amministrazione cittadina quanto per la publica  des dei notai9.

Questa «subalternità» non poteva che rispecchiarsi nella mancanza di norme ben defi nite per la regolazione dell’accesso alla professione, sulle quali si deve atten- dere ben oltre la metà del secolo per avere notizie un po’ più precise. Prima non si possono che formulare ipotesi, il che dimostra – anche in questo settore – come Trento si trovasse ad inizio Quattrocento in una fase ancora pienamente transitoria e dai contorni non ben defi niti.

2. Prima di Antonio. La formazione dei notai trentini

Piuttosto limitate sono le informazioni relative alla formazione dei notai trentini in età medievale; soltanto con gli statuti emanati dal vescovo Alessandro di Masovia nel 1425-1427 e, dal 1459, con l’inizio delle verbalizzazioni delle sedute del Collegio dei notai e giudici di Trento10 si inizia ad avere qualche dato più preciso in merito

alle modalità di accesso alla matricola. Per quanto riguarda i secoli precedenti, ci si deve basare essenzialmente sul confronto con quanto avvenuto altrove e sull’esame della documentazione prodotta dagli stessi notai. Se infatti si verifi ca l’esistenza di norme in merito all’accesso alla professione notarile negli statuti roveretani del 1425 che, come noto, furono redatti ricalcando sostanzialmente gli statuti trentini (antiqua e vetera) del XIV secolo11, anche la redazione normativa del borgo lagarino

tace sulla materia, pur dedicando specifi ci capitoli ai notai.

Questa analisi inizierà quindi dagli statuti masoviani del 1425-1427 i quali, al Liber I, De civilibus, presentano gli statuti del Collegio dei notai di Trento; tre norme, in particolare, regolavano l’ammissione alla matricola:

Nullus advocatus, procurator seu tabellio possit scribere, advocare seu procurare in civitate Tridenti nisi fuerit descriptus in collegio predicto, sub pena decem librarum pro quolibet et qualibet vice.

Item quod nullus qui non sit descriptus in collegio seu matricula collegii predicti possit vel audeat scribere instrumenta vel ultimas voluntates vel acta aliqua iuditialia, vel offi (t)ium notarie aut procuratoris vel advocati exercere aliqualiter in civitate

9 Varanini, Il Collegio notarile di Trento, p. 489.

10 M.V. Ceraolo, Il collegio notarile di Trento nella seconda metà del Quattrocento, tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, a.a. 2001-2002, rel. G.M. Varanini e Varanini, Il Collegio notarile di

Trento, cit., pp. 483-514.

11 Statuti di Rovereto del 1425, cit. In particolare, sull’aderenza degli statuti roveretani alle redazioni statutarie di Trento del XIV secolo, cfr. i saggi di M. Bellabarba, Rovereto castrobarcense,

veneziana, asburgica: identità ed equilibri istituzionali, ivi, p. 18 e G. Ortalli, Percorsi statutari trentini,

ivi, p. 35.

La formazione di Antonio da Borgonuovo

Tridenti et aliis locis pertinentibus ad curiam Tridentinam, sub pena decem librarum denariorum Tridentinorum pro quolibet et qualibet vice.

Et nichilominus instrumenta et ultime voluntates et acta scripta et notata per eos vel aliquod eorum careat iuris effectu12.

Il divieto ai notai di esercitare l’arte se non precedentemente iscritti al Collegio di Trento sembra riprendere un precedente capitolo degli statuti trecenteschi che oggi si legge attraverso la redazione roveretana del 1425, pur leggermente modifi cata rispetto all’originale. In particolare il capitolo 42 degli Statuta nova, intitolato «De tabellionibus forensibus instrumenta scribere non debentibus» prescriveva

quod aliquis notarius forensis, qui non fuerit naccione vel habitacione terre vel di- strictu Roveredi, non audeat vel prosumat seu debeat scribere in civitate vel districtu Roveredi aliqua instrumenta publica vel ultimas voluntates, nisi illud instrumentum publicum fuerit conceptum in presencia boni et legalis notarii nati et habitacionis in terra et districtu Roveredi et per eum publice subscriptum. Quod si secus factum fuerit per aliquem notarium forensem, illud vel illa quod seu que scripta fuerint sine suprascriptis solemnitatibus in civitate et districtu Roveredi ‹corretto su Tridenti

parzialmente eraso› non valeat ipso iure, nisi de comissione et licencia data dicto

notario forensi per nos vel successores nostros13.

Tali disposizioni, assenti negli statuti antichi (di inizio XIV secolo) di Trento, vietano dunque ai notai forestieri nati e abitanti nell’episcopato di redigere instru-

menta, a meno che questo non avvenisse in presenza d’altro notaio del luogo. Si

specifi ca, tuttavia, alla fi ne del capitolo, che la norma può essere superata attraver- so specifi ca licenza conferita al notaio forestiero, sottointeso, almeno per quanto riguarda Trento, dall’autorità vescovile.

Ciò avvenne, ad esempio, il 20 aprile 1390 quando il vescovo Georg Liechten- stein concesse al notaio Martino di Giovanni Ceraduce dal Tesino la licenza di rogare a Trento «non obstantibus legibus et statuto municipalibus ... ut valeat in civitate Tridentina et diocesi tabellionatus sive notarie offi cium publice exercere»14.

Una seconda disposizione, inserita negli statuti masoviani, riguardava invece l’ammissione al Collegio notarile di Trento, normando il procedimento che regolava l’ingresso nella matricola:

Item quod nullus admittatur in matricula et collegio prefato nisi fuerit examinatus et approbatus pro suffi cienti per examinatores dicti collegii deputatos15.

Vita onesta e buona fama costituivano poi ulteriori prerequisiti richiesti ai candidati che, superato l’esame dinanzi alla commissione presieduta dal rettore del Collegio, procedevano al giuramento e al pagamento della tassa d’ingresso, fi ssata 12 Cfr. B. Chemotti, La legislazione statutaria nel Principato vescovile di Trento: gli Statuti alessandrini (1425), tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, a.a. 1989-1990, rel. D. Quaglioni,

pp. 192-203 e, più recentemente, Bortoli, Per un’edizione dei testi statutari del Comune di Trento, cit. 13 Statuti di Rovereto del 1425, cit., p. 170. Roveredi corretta su un precedente Tridenti è ul- teriore prova del fatto che gli statuti roveretani vennero esemplati, de verbo ad verbum, sul modello trecentesco trentino.

14 Codicis clesiani, cit. p. 176 (II, c. 227b); documento redatto dal notaio Marco del fu Odorico da Trento.

15 Chemotti, La legislazione statutaria nel Principato vescovile di Trento, cit., p. 198.

nel 1425 in dieci lire di denari trentini16. Si tratta di norme che si ritroveranno,

sostanzialmente immutate, anche nelle successive redazioni statutarie e che saranno messe in pratica dal Collegio notarile di Trento, come si legge nei verbali della matricola della seconda metà del XV secolo.

Per quanto concerne, invece, le ‘tappe’ precedenti che l’aspirante notaio trentino doveva affrontare, come per le altre città dell’Italia centro-settentrionale17, anche a

Trento per esercitare la professione era necessaria anzitutto l’investitura da parte dell’imperatore o di un suo delegato, il conte palatino. Fra XII e XIII secolo tuttavia a Trento anche i vescovi si arrogarono la prerogativa di nominare notai18; tale pra-

tica fu in seguito scarsamente praticata, tanto più che se è vero che alcuni vescovi (Adelpreto, Salomone, Alberto da Campo e Corrado da Beseno) crearono notai, essi scelsero poi «coscientemente e costantemente di non servirsene, … come se la legittimazione che un “notarius N. episcopi” poteva garantire alla documentazione non fosse del tutto adeguata»19.

Un qualche interesse desta invece la facoltà di creare notai rilasciata «ex speciali gratia», nel 1432, ad Alessandro di Masovia da parte dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Il vescovo ottenne l’autorizzazione a creare venti nuovi tabellioni«ac ab iis nomine Romano regio recipere fi delitatis iuramentum»20; la concessione al

principe e vescovo di Trento, defi nito nel diploma ‘consigliere’ dell’imperatore, può essere letta alla luce del particolare rapporto di fi ducia fra Alessandro e Sigismondo; ma si tratta, come le fonti coeve sembrano dimostrare, di un caso piuttosto isolato considerato che, per gran parte del medioevo, anche nell’episcopato tridentino la via più usuale per diventare notai fu quella della nomina da parte dei conti palatini che agivano per conto dell’autorità imperiale21. Ne danno testimonianza un paio di

documenti registrati rispettivamente nel 142622 e nel 142723 da Antonio da Borgo-

nuovo, che consentono di ricostruire l’intero iter procedurale.

Il 10 novembre 1426, presso il convento degli Eremitani di San Marco in Trento, fu letto pubblicamente un privilegio, attraverso il quale Antonio da Molve- no, e insieme a lui tutti i suoi discendenti maschi, veniva nominato conte palatino dall’imperatore Sigismondo:

16 L’intratica fu successivamente aumentata a 20 lire e, nel XVI secolo, fu portata a 8 fi orini renani.

17 G. Tamba, Formazione professionale del notaio, Relazione tenuta presso il Centro G. Costamagna (Genova, 18 aprile 2007) (http://www.centrostudicostamagna.it/testi/GiorgioTAMBAGenova163KB.pdf; ultimo accesso 1° dicembre 2018), senza dimenticare i riferimenti contenuti nel ‘classico’ P. Torelli,

Studi e Ricerche di Diplomatica Comunale, Consiglio Nazionale del Notariato, Roma 1980 (Studi storici sul notariato italiano, 5), su cui D. Puncuh, La diplomatica comunale in Italia dal saggio del Torelli ai nostri giorni, in W. Prevenier, Th. De Hemptinne (a cura di), La diplomatique urbaine en Europe au moyen âge, Actes du congrès de la Commission internationale de Diplomatique (Gand, 25-29 août

1998), Garant, Leuvein-Apeldoom 2000, pp. 383-406.

18 Cfr. E. Curzel, Notai di nomina vescovile a Trento tra XII e XIII secolo, in Giorgi, Moscadelli, Quaglioni, Varanini (a cura di), Il notariato nell’arco alpino, cit., pp. 461-482.

19 Ivi, p. 474.

20 ASTn, APV, Sezione latina, capsa 39, n. 28 (il documento è datato Parma, 1432 aprile 7). 21 Nel 1459 il vescovo Iohannes Hinderbach fu creato conte del sacro palazzo lateranense con la facoltà di creare notai imperiali auctoritate: ivi, n. 36.

22 ADTn, ACap, Instrumenta capitularia 8bis, c. 74r, n. 210.

23 Ivi, c. 73v, n. 209; si prenderà ad esempio il documento del 1426 poiché la nomina del 1427 è stata registrata solo nella sua forma abbreviata.

Stefano Malfatti

57 56

Tridenti et aliis locis pertinentibus ad curiam Tridentinam, sub pena decem librarum denariorum Tridentinorum pro quolibet et qualibet vice.

Et nichilominus instrumenta et ultime voluntates et acta scripta et notata per eos vel aliquod eorum careat iuris effectu12.

Il divieto ai notai di esercitare l’arte se non precedentemente iscritti al Collegio di Trento sembra riprendere un precedente capitolo degli statuti trecenteschi che oggi si legge attraverso la redazione roveretana del 1425, pur leggermente modifi cata rispetto all’originale. In particolare il capitolo 42 degli Statuta nova, intitolato «De tabellionibus forensibus instrumenta scribere non debentibus» prescriveva

quod aliquis notarius forensis, qui non fuerit naccione vel habitacione terre vel di- strictu Roveredi, non audeat vel prosumat seu debeat scribere in civitate vel districtu Roveredi aliqua instrumenta publica vel ultimas voluntates, nisi illud instrumentum publicum fuerit conceptum in presencia boni et legalis notarii nati et habitacionis in terra et districtu Roveredi et per eum publice subscriptum. Quod si secus factum fuerit per aliquem notarium forensem, illud vel illa quod seu que scripta fuerint sine suprascriptis solemnitatibus in civitate et districtu Roveredi ‹corretto su Tridenti

parzialmente eraso› non valeat ipso iure, nisi de comissione et licencia data dicto

notario forensi per nos vel successores nostros13.

Tali disposizioni, assenti negli statuti antichi (di inizio XIV secolo) di Trento, vietano dunque ai notai forestieri nati e abitanti nell’episcopato di redigere instru-

menta, a meno che questo non avvenisse in presenza d’altro notaio del luogo. Si

specifi ca, tuttavia, alla fi ne del capitolo, che la norma può essere superata attraver- so specifi ca licenza conferita al notaio forestiero, sottointeso, almeno per quanto riguarda Trento, dall’autorità vescovile.

Ciò avvenne, ad esempio, il 20 aprile 1390 quando il vescovo Georg Liechten- stein concesse al notaio Martino di Giovanni Ceraduce dal Tesino la licenza di rogare a Trento «non obstantibus legibus et statuto municipalibus ... ut valeat in civitate Tridentina et diocesi tabellionatus sive notarie offi cium publice exercere»14.

Una seconda disposizione, inserita negli statuti masoviani, riguardava invece l’ammissione al Collegio notarile di Trento, normando il procedimento che regolava l’ingresso nella matricola:

Item quod nullus admittatur in matricula et collegio prefato nisi fuerit examinatus et approbatus pro suffi cienti per examinatores dicti collegii deputatos15.

Vita onesta e buona fama costituivano poi ulteriori prerequisiti richiesti ai candidati che, superato l’esame dinanzi alla commissione presieduta dal rettore del Collegio, procedevano al giuramento e al pagamento della tassa d’ingresso, fi ssata 12 Cfr. B. Chemotti, La legislazione statutaria nel Principato vescovile di Trento: gli Statuti alessandrini (1425), tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, a.a. 1989-1990, rel. D. Quaglioni,

pp. 192-203 e, più recentemente, Bortoli, Per un’edizione dei testi statutari del Comune di Trento, cit. 13 Statuti di Rovereto del 1425, cit., p. 170. Roveredi corretta su un precedente Tridenti è ul- teriore prova del fatto che gli statuti roveretani vennero esemplati, de verbo ad verbum, sul modello trecentesco trentino.

14 Codicis clesiani, cit. p. 176 (II, c. 227b); documento redatto dal notaio Marco del fu Odorico da Trento.

15 Chemotti, La legislazione statutaria nel Principato vescovile di Trento, cit., p. 198.

57

nel 1425 in dieci lire di denari trentini16. Si tratta di norme che si ritroveranno,

sostanzialmente immutate, anche nelle successive redazioni statutarie e che saranno messe in pratica dal Collegio notarile di Trento, come si legge nei verbali della matricola della seconda metà del XV secolo.

Per quanto concerne, invece, le ‘tappe’ precedenti che l’aspirante notaio trentino doveva affrontare, come per le altre città dell’Italia centro-settentrionale17, anche a

Trento per esercitare la professione era necessaria anzitutto l’investitura da parte dell’imperatore o di un suo delegato, il conte palatino. Fra XII e XIII secolo tuttavia a Trento anche i vescovi si arrogarono la prerogativa di nominare notai18; tale pra-

tica fu in seguito scarsamente praticata, tanto più che se è vero che alcuni vescovi (Adelpreto, Salomone, Alberto da Campo e Corrado da Beseno) crearono notai, essi scelsero poi «coscientemente e costantemente di non servirsene, … come se la legittimazione che un “notarius N. episcopi” poteva garantire alla documentazione non fosse del tutto adeguata»19.

Un qualche interesse desta invece la facoltà di creare notai rilasciata «ex speciali gratia», nel 1432, ad Alessandro di Masovia da parte dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Il vescovo ottenne l’autorizzazione a creare venti nuovi tabellioni«ac ab iis nomine Romano regio recipere fi delitatis iuramentum»20; la concessione al

principe e vescovo di Trento, defi nito nel diploma ‘consigliere’ dell’imperatore, può essere letta alla luce del particolare rapporto di fi ducia fra Alessandro e Sigismondo; ma si tratta, come le fonti coeve sembrano dimostrare, di un caso piuttosto isolato considerato che, per gran parte del medioevo, anche nell’episcopato tridentino la via più usuale per diventare notai fu quella della nomina da parte dei conti palatini

Outline

Documenti correlati