Il ‘destino’ delle carte
1. Tracce di trasmissione di documentazione notarile fra XIV e XV secolo
Carte, protocolli e registri prodotti dai notai nel corso della loro carriera rappre- sentavano non soltanto gli strumenti per la garanzia degli interessi di enti o privati che si erano rivolti ai professionisti per la registrazione dei propri negozi giuridici, ma anche un’importante fonte di reddito per quanti avevano redatto e conservato quelle registrazioni; ciò è vero sia per il notaio che aveva originariamente regi- strato le volontà dei contraenti sia per quanti – anche a distanza d’anni – furono autorizzati a trarre da quelle carte documenti in mundum pienamente validi sotto il profi lo giuridico.
Anche a Trento, come altrove nell’Italia medievale, i volumi di imbreviature e di estesi erano affi dati alla gestione e alla cura dei notai che li avevano prodotti, dopo la morte dei quali essi passavano quindi agli eredi, qualora questi avessero esercitato la medesima professione, o ad altri colleghi. Poiché, tuttavia, l’importan- za e l’interesse della documentazione redatta da un notaio andava diminuendo col tempo, calava progressivamente anche il vantaggio, per gli eredi o per altri notai, di conservare per più di un paio di generazioni gli atti del professionista defunto; accadde così, con una certa frequenza, che molti registri – prevalentemente con documentazione redatta per privati – andarono inesorabilmente persi, perché scartati dopo pochi decenni per volontà degli stessi notai che li avevano ereditati. Vennero sottratti a questo destino soltanto registri e carte che, per via del contenuto, furono ritenuti d’interesse da parte di enti laici e religiosi, tanto da essere ricondotti ai loro rispettivi archivi. Tali modalità operative si rifl ettono, oggi, nella scarsità – se non quasi totale assenza in alcuni periodi – di registri notarili almeno fi no al Quattrocento avanzato1.
È quanto si constata a Trento, dove il problema della salvaguardia e trasmissione delle carte dei notai defunti venne risolto soltanto in piena età moderna, con l’isti- tuzione, dal 1595, di un ‘archivio dei notai morti’ e un ‘archivio dei notai vivi’2.
Referenze fotogra che. Le fi gg. 27-32 sono pubblicate con l’autorizzazione dell’Archivio dioce-
sano tridentino.
1 Sulla trasmissione delle scritture dei notai trentini nei secoli XII e XIII cfr. Codex Wangianus, cit., in particolare le pp. 78-79 e Cagol, Il ruolo dei notai, cit., pp. 148-153. Come osserva Franco Cagol, «se oggi abbiamo a disposizione documentazione prodotta per committenti privati, lo dobbiamo spesso a operazioni di recupero messe in atto da alcuni notai attivi al servizio di episcopati e comuni al fi ne di avere a disposizione documentazione prodotta in ambito pubblico dai loro colleghi defunti» (ivi, p. 152).
189
Capitolo 5
Il ‘destino’ delle carte
1. Tracce di trasmissione di documentazione notarile fra XIV e XV secolo
Carte, protocolli e registri prodotti dai notai nel corso della loro carriera rappre- sentavano non soltanto gli strumenti per la garanzia degli interessi di enti o privati che si erano rivolti ai professionisti per la registrazione dei propri negozi giuridici, ma anche un’importante fonte di reddito per quanti avevano redatto e conservato quelle registrazioni; ciò è vero sia per il notaio che aveva originariamente regi- strato le volontà dei contraenti sia per quanti – anche a distanza d’anni – furono autorizzati a trarre da quelle carte documenti in mundum pienamente validi sotto il profi lo giuridico.
Anche a Trento, come altrove nell’Italia medievale, i volumi di imbreviature e di estesi erano affi dati alla gestione e alla cura dei notai che li avevano prodotti, dopo la morte dei quali essi passavano quindi agli eredi, qualora questi avessero esercitato la medesima professione, o ad altri colleghi. Poiché, tuttavia, l’importan- za e l’interesse della documentazione redatta da un notaio andava diminuendo col tempo, calava progressivamente anche il vantaggio, per gli eredi o per altri notai, di conservare per più di un paio di generazioni gli atti del professionista defunto; accadde così, con una certa frequenza, che molti registri – prevalentemente con documentazione redatta per privati – andarono inesorabilmente persi, perché scartati dopo pochi decenni per volontà degli stessi notai che li avevano ereditati. Vennero sottratti a questo destino soltanto registri e carte che, per via del contenuto, furono ritenuti d’interesse da parte di enti laici e religiosi, tanto da essere ricondotti ai loro rispettivi archivi. Tali modalità operative si rifl ettono, oggi, nella scarsità – se non quasi totale assenza in alcuni periodi – di registri notarili almeno fi no al Quattrocento avanzato1.
È quanto si constata a Trento, dove il problema della salvaguardia e trasmissione delle carte dei notai defunti venne risolto soltanto in piena età moderna, con l’isti- tuzione, dal 1595, di un ‘archivio dei notai morti’ e un ‘archivio dei notai vivi’2.
Referenze fotogra che. Le fi gg. 27-32 sono pubblicate con l’autorizzazione dell’Archivio dioce-
sano tridentino.
1 Sulla trasmissione delle scritture dei notai trentini nei secoli XII e XIII cfr. Codex Wangianus, cit., in particolare le pp. 78-79 e Cagol, Il ruolo dei notai, cit., pp. 148-153. Come osserva Franco Cagol, «se oggi abbiamo a disposizione documentazione prodotta per committenti privati, lo dobbiamo spesso a operazioni di recupero messe in atto da alcuni notai attivi al servizio di episcopati e comuni al fi ne di avere a disposizione documentazione prodotta in ambito pubblico dai loro colleghi defunti» (ivi, p. 152).
2 Cfr. Casetti, Il notariato trentino, cit.
Stefano Malfatti, Antonio da Borgonuovo. L’ascesa di un notaio a Trento fra Trecento e Quattrocento, ISBN 978-88-6453-820-4 (print), ISBN 978-88-6453-821-1 (online) CC BY 4.0, 2018, Firenze University Press
Il ‘destino’ delle carte
Ad inizio Quattrocento, Antonio da Borgonuovo opera dunque in una fase di piena transizione, con un collegio notarile ancora incapace di esercitare il pieno controllo sulla produzione documentaria dei propri notai e, di rifl esso, sui procedimenti di trasmissione delle carte dei notai defunti.
La fortunata conservazione di due documenti relativi alla trasmissione di atti di notai sul registro Instrumenta capitularia 8bis consente di ricostruire almeno parzialmente le pratiche di affi damento delle carte ad un nuovo professionista. Il 10 dicembre 14253 Cristina, moglie del defunto notaio Giacomino da Posina4, fu
chiamata in episcopali palatio, ad banchum iuris civilis, alla presenza del vicario per le cause civili e criminali Antonio de Zivolis da Ledro e dei notai Antonio
de Castro, Antonio da Nogaredo, Antonio da Fai, Guglielmo Saraceno, Nicolò de Capris e Vito da Dambel. Costei, rappresentata dal notaio Antonio da Molveno,
giurisperito e, soprattutto, priore e rettore del collegio notarile di Trento5, fu in-
vitata ad esibire a un membro del collegio «imbreviaturas et prothocola» lasciati dal marito defunto, affi nché potessero essere rilevati da un professionista ritenuto «ydoneum et suffi cientem». Ricevuta, dunque, «ad instantiam et petitionem quam plurium» la disponiblità di «rogationes et imbreviaturas» del defunto Giacomino, il rettore scelse quale notaio relevator Nicolò del fu ser Pietro Baldovini de Capris, il quale ricevette dal vicario vescovile
licentiam ... et plenam auctoritatem relevandi, transcribendi et in publicam formam reddigendi rogationes, imbreviaturas et prothocolla dicti condam Iacobini notarii ... mandans et decernes ipse dominus vicarius rogationes et imbreviaturas quas ipse Nicholaus relevabit ex imbreviaturis et rogationibus ipsius condam Iacobini nota- rii illam vim habere et obtinere qua(s) habuissent si ipse Iacobinus notarius dum viveret perfi cisset6.
Mentre nell’esempio qui preso in considerazione si è messo in luce uno dei casi forse più usuali, ovvero la comissio delle carte di un notaio defunto, il documento che si andrà ora ad esaminare, cronologicamente di poco successivo, mostra una circostanza meno attestata nelle fonti; è infatti il caso di un notaio, Vigilio del fu ser Enrico Rigaie da Trento, ancora vivente ma, «gravi infi rmitate oppressus», e dunque inabile a proseguire la propria attività.
Il 29 aprile 1426 ser Vigilio si presenta infatti dinanzi al già citato vicario vescovile Antonio de Zivolis da Ledro. Sede dell’atto, in quest’occasione, non è il
3 ADTn, ACap, Instrumenta capitularia 8bis, n. 142.
4 Cfr. Stenico, Notai che operarono nel Trentino, cit., sub voce Giacomino da Posina. Il notaio Giacomino era fi glio di Albertino, un tabernarius proveniente da Posina, nel vicentino, e fu attivo a Trento fra la fi ne del Trecento e la metà degli anni Venti del Quattrocento. All’inizio del XV secolo fu in più occasioni procuratore con il compito di refutare proprietà immobiliari al Capitolo della cattedrale di Trento: ADTn, ACap, capsa 22, n. 2; capsa 22, nn. 3 e 3.1; capsa anniversari, rotoli lunghi/b, n. 15; di mano di Giacomino si conservano due pergamene presso l’archivio della Prepositura: ADTn, AP, Tomo III, nn. 5 e 9.
5 Per quanto oggi è noto, il rettore o priore del collegio esercitava funzioni di rappresentanza dinanzi ad autorità esterne e coordinava le attività del collegio; veniva eletto dalla maggioranza dei votanti e restava in carica per un anno. Coadiuvavano il rettore quattro consiglieri, eletti secondo ana- loghe modalità, un massaro, che amministrava il patrimonio, un notaio e due bidelli che mantenevano la carica per la durata di quattro mesi. Poco altro si conosce, ad inizio XV secolo, relativamente al collegio e alla sua struttura (cfr. Varanini, Il Collegio notarile di Trento, cit.).
6 ADTn, ACap, Instrumenta capitularia 8bis, n. 142.
palazzo vescovile, ma la stazione delle bollette, poco distante; presenziano in qualità di testimoni i notai Antonio de Castro, Iosio del fu ser Francesco da Trento e Marco
domine Zinele dal Borgonuovo. In quell’occasione il notaio Vigilio:
asseruit et proposuit et dixit quod plurima et plurima instrumenta diversarum ma- nierarum et rogationes notavit et scripsit in suis prothocollis, que et quas tamen in publicam formam non redegit nec redigere potet propter eius gravem infi rmitatem, ex quo supplicavit et petivit ab ipso domino vicario ut dignaretur concedere licen- tiam et plenam auctoritatem Gasparino notario fi lio Antonii notarii de Nogaredo civi Tridentino relevandi et in publicam formam redigendi eius Vigilii notas et rogationes et imbreviaturas7.
Di fronte alla necessità di estrarre da questi protocolli numerosi documenti su pergamena, vista la grave infermità, ser Vigilio fu dunque costretto ad affi dare le proprie carte al notaio Gasparino, fi glio del notaio Antonio da Nogaredo. La petizione fu rivolta direttamente al vicario vescovile8, senza alcuna apparente ‘mediazione’
da parte del collegio notarile. Udita la richiesta e ritenuto Gasparino adeguato al compito, il vicario concesse a quest’ultimo la licenza e la piena autorità di rilevare, trascrivere e redigere in forma pubblica «rogationes et imbreviaturas». L’atto si concluse con l’usuale giuramento prestato dal notaio relevator dinanzi al vicario, al notaio rogante e a ser Vigilio. L’autorizzazione concessa a Gasparino diede a quest’ultimo la possibilità di rilevare le carte del notaio Vigilio, dalle quali – su richiesta dei committenti – poté trascrivere pergamene in mundum9.