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La protezione dall’azione revocatoria come riflesso dell’appetibilità delle soluzioni stragiudizial

4. Le esenzioni civili e penal

4.1 La protezione dall’azione revocatoria come riflesso dell’appetibilità delle soluzioni stragiudizial

La nuova disciplina dell’azione revocatoria fallimentare costituisce senza dubbio uno degli aspetti più rilevanti in relazione agli effetti della riforma della legge del ‘42.

Le modifiche operate dal d.l. del 2005 riducono a metà il c.d. periodo sospetto, portandolo da due anni ad un anno per gli atti anormali di cui ai n. 1, 2, 3 del comma 1 e da un anno a sei mesi per gli atti anormali di cui al n. 4 del comma 1 e per gli atti normali.

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A ciò va aggiunto il ritocco alla disciplina, da un lato, degli atti a prestazioni sproporzionate, attraverso la individuazione della soglia del quarto e, dall’altro, degli atti di cui al secondo comma, nel cui ambito sono stati ricompresi quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, contestualmente creati, anche di terzi. In ultimo, è stato introdotto un ricco ventaglio di esenzioni destinate ad aggiungersi a quelle già presenti nel nostro ordinamento.

Certo, le modifiche più rilevanti sono costituite dal dimezzamento del periodo sospetto e dall’introduzione di un numeroso carnet di esenzioni. In senso sostanzialmente unanime, la dottrina ha individuato nella linea di politica del diritto volta a favorire in vario modo la composizione stragiudiziale della crisi il motore riformatore962, e la revocatoria fallimentare ne ha pagato le conseguenze, considerata il nemico da abbattere per consentire al Paese di crescere ed essere più competitivo rispetto agli altri, anche sotto il profilo giudico963.

Di grande impatto, nonostante si ponga in senso ondivago rispetto al favor per le soluzioni concordate della crisi di impresa, risulta l’introduzione dell’art. 69 bis l.f. ad opera della l. 134 del 2012, il cui secondo comma suggella la regola della consecutio proceduram: nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

La norma è stata salutata positivamente della letteratura che ne ha, nell’immediato, fatto il vessillo da mostrare contro le fila delle estese possibilità che oggi la legge fallimentare riconosce al debitore, sia in sede di accordi di ristrutturazione, che nel contesto della presentazione di una domanda di concordato preventivo, ancorché in bianco964.

Salta subito all’attenzione, tuttavia, analizzando il combinato disposto degli artt. 182 bis, ottavo comma, e 161, sesto comma, l.f., che la passerella oggi concessa dal legislatore del 2012 (accordi – concordato vs concordato in bianco – accordi) si riflette in maniera peculiare (e, all’evidenza, problematica) sulla disciplina prevista dall’art. 69 bis.

Si spiega: oggi, in seguito alla presentazione di un preaccordo di ristrutturazione, la lettera del comma 8 dell’art. 182 bis consente di depositare, in luogo dell’accordo completo, nello stesso termine, una domanda di concordato preventivo; il sesto comma dell’art. 161 l.f., d’altra parte, permette a quel debitore, che sia stato ammesso alla procedura di concordato preventivo sulla base di una domanda “in bianco”, di depositare nello stesso termine stabilito dal giudice un accordo di ristrutturazione.

Orbene, in tal ipotesi, nient’affatto scolastica, il fallimento del debitore in cui favore sia stato omologato un accordo di ristrutturazione, originato da una domanda di concordato in bianco, pare stridere con la norma di cui all’art. 69 bis, che àncora il termine a ritroso dell’azione revocatoria alla pubblicazione, nel registro delle imprese, della domanda di concordato, poi, nell’ipotesi in esame, mutata in accordo di ristrutturazione.

962 MACARIO, Insolvenza del debitore, crisi dell’impresa e autonomia negoziale nel sistema della tutela del credito, cit., 44.

963 In questo senso, prima dell’introduzione dell’art. 69 bis l.f., DI IULIO, L’azione revocatoria fallimentare, in Trattato delle

procedure concorsuali, Ghia – Piccininni – Severini, Volume II, Le Azioni revocatorie. I rapporti preesistenti, Milano, 2011,

119, secondo il quale sarebbe stato forse più opportuno bilanciare il dimezzamento del periodo sospetto e l’allungamento della fase istruttoria con un intervento sulla decorrenza del periodo sospetto, magari ancorandola, come avviene in Germania, alla data della presentazione della domanda di fallimento oppure stabilendo che il periodo sospetto iniziasse a decorrere a ritroso dall’ultimo momento in cui si è verificata l’insolvenza, data da accertare a cura del tribunale nella sentenza di fallimento.

964 Nello stesso senso, v. FABIANI, La consecuzione biunivoca, cit., per il quale nel momento in cui si allentano le briglie

sulla domanda e si prevede un termine per l’ingresso in procedura che può arrivare sino a sei mesi, cioè proprio il periodo sospetto per gli atti normali, si è deciso che non si può adoperare lo strumento della domanda di concordato per sterilizzare il periodo sospetto e l’alternativa della convenienza della soluzione fallimentare.

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Il quesito è il seguente: in questa ipotesi trova applicazione il principio della consecutio

proceduram?

Di recente riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità965, il fenomeno della consecuzione si sostanzia nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo cui succede quella fallimentare, la cui sentenza di apertura ne costituisce non già l’atto iniziale, bensì quello finale, con ciò retrodatandosi, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, i termini dall’ammissione del debitore alla procedura preventiva.

Chi si è occupato, nell’immediatezza della riforma, della passerella prevista dall’art. 161, sesto comma, l.f., tra concordato ed accordo di ristrutturazione, ha prontamente rilevato come tra gli effetti dell’ammissione alla procedura di concordato e quelli che si conseguono con il deposito del pre-accordo di ristrutturazione non vi sia totale identità966, tant’è che vi sono degli effetti tipici del concordato che non si ritrovano nell’istituto previsto dall’art. 182 bis.

In tale categoria potrebbe essere sussunta anche la disciplina prevista dall’art. 69 bis l.f.. Una prima conclusione potrebbe essere quella secondo la quale, non essendo l’istituto dell’accordo di ristrutturazione indicato dalla norma dell’art. 69 bis, il dies a quo per l’esercizio dell’azione revocatoria sarebbe da individuare, ancora, nella dichiarazione successiva di fallimento, in spregio al fenomeno della consecuzione delle procedure: se l’atto con cui, di fatto, si auspica di risolvere l’insolvenza è l’accordo di ristrutturazione, di cui la domanda di concordato in bianco si pone soltanto come prius prenotativo, la norma di nuovo conio non trova applicazione non avendo, il deposito dell’accordo, la stessa efficacia, ai fini dell’art. 69 bis, della pubblicazione della domanda di concordato preventivo.

Questa conclusione, sebbene si ponga in sintonia con la qualificazione aconcorsuale dell’istituto degli accordi di ristrutturazione, sconta di superficialità perché lascia senza tutele i creditori di un eventuale fallimento, le cui prerogative hanno riavuto fiato grazie alla norma in commento: non è il concordato, ma l’accordo di ristrutturazione a non essere andato a buon fine.

Se si argomentasse il contrario, ovvero se si applicasse la regola della consecutio anche nell’ipotesi di deposito successivo dell’accordo di ristrutturazione, si sarebbe indotti a riconsiderare quanto detto a proposito della non coincidenza tra gli effetti derivanti dall’apertura della procedura concordataria e quelli germinati dal deposito di un preaccordo di ristrutturazione: se vale la regola scolpita nell’art. 69 bis l.f., similes anche per gli ulteriori effetti previsti dagli artt. 168, 169 e 169 bis l.f..

Siffatta conclusione, ciononostante, oltre a rinverdire la tesi della concorsualità dell’istituto previsto dall’art. 182 bis, permetterebbe, ad esempio, la richiesta di (e l’autorizzazione allo) scioglimento di contratti, a norma dell’art. 169 bis, pur nell’ipotesi in cui alla domanda in bianco non segua alcun croma concordatario, se non nella veste dell’accordo di ristrutturazione.

La prima giurisprudenza sembra dare una risposta al secondo problema: è stato detto, difatti, che lo scioglimento dei contratti pendenti di cui all'articolo 169 bis, non può essere disposto a fronte di una domanda di concordato preventivo con riserva che non offra elementi di conoscenza in ordine alle linee essenziali del piano, all'attivo, al passivo ed alla possibilità di

965Il più recente è il provvedimento del Tribunale di Verona, 26 luglio 2012, in Il Caso.it, I, 7733/2012; v., per la

legittimità, Cass., 28 maggio 2012, n. 8439, CED, in pluris-cedam.utetgiuridica.it; Cass., civ. Sez. I, 6 agosto 2010, n. 18437, in Fall., 2011, 375.

966 V. in tema, FABIANI, La “passerella” reciproca fra accordi di ristrutturazione e concordato preventivo, in Il Caso.it, II,

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soddisfacimento del ceto creditorio e che non offra, quindi, la possibilità di verificare che gli effetti irreversibili prodotti dallo scioglimento dei contratti siano conformi alla migliore realizzazione del piano e finalizzati al miglior soddisfacimento dei creditori967. Pure in dottrina si è manifestata la preferenza verso siffatta soluzione, tanto che il contratto, per effetto della domanda con riserva, sarebbe soltanto virtualmente sciolto o non opponibile, e lo scioglimento dovrebbe intendersi risolutivamente condizionato laddove si intraprenda, appunto, la passerella verso l’accordo968.

Il primo dubbio, invece, potrebbe essere risolto sulla base di considerazioni che attecchiscono vieppiù alla logica che al diritto.

L’accordo di ristrutturazione era ed è un contratto e la sua natura tale rimane fino a ché l’introduzione del principio della regolazione universale dei crediti non lo divelti dall’orbita della negozialità per trascinarlo in quella concorsuale. Il fatto che possa inserirsi nella dinamica ‘concordato in bianco- fallimento’ non ne muta i contorni, perché gli effetti che derivano dall’omologazione dell’accordo restano, comunque, quelli previsti dall’art. 182 bis l.f., vale a dire la rimozione dell’insolvenza grazie all’apporto di provvista da sdoganare in favore dei creditori non aderenti all’accordo. Un argomento, forse, in favore delle avverse tesi circa la concorsualità dell’istituto in commento, si sarebbe potuto trarre, al più, proprio dall’inserimento, nella regola prevista dall’art. 69 bis, della pubblicazione degli accordi quale ulteriore dies quo per l’esercizio dell’azione revocatoria.

La corretta soluzione, poi, secondo cui in seguito alla passerella tra concordato ed accordo non possono prodursi tutti gli effetti dell’ammissione alla prima procedura, non conferma affatto l’impossibilità di attivare il rimedio previsto dall’art. 69 bis nell’ipotesi del deposito di un accordo di ristrutturazione, perché, a parere di chi scrive, la norma non afferisce fisiologicamente al comparto normativo concordatario, bensì all’architrave fallimentare relativo “agli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori”: le regole in tema di effetti dell’ammissione alla procedura negoziale chiariscono ciò che i creditori non posso fare e ciò che il debitore, invece, può fare; al contrario, le norme relative alla revoca degli atti pregiudizievoli alla par condicio creditorum si esprimono nel terreno di quello che il debitore, di concerto con un terzo potenzialmente convenibile in revoca, in un ben determinato periodo a ritroso, non può fare.

La mancata applicazione del principio della consecutio proceduram andrebbe, a contrario, a rinvigorire le fila di quelle già numerose regole di favore previste per il debitore proponente una domanda di concordato preventivo.

A parere di chi scrive, dunque, per dare una soluzione al quesito principale, bisogna focalizzare l’attenzione soltanto sul momento volitivo originario che, nella ipotesi esaminata, si sostanzia nel deposito della domanda di concordato in bianco, a nulla rilevando il successivo deposito di un accordo di ristrutturazione. Se è vero che l’art. 69 bis è stato inserito per bilanciare la dilatazione temporale derivante dalla presentazione di una domanda di concordato in bianco, è altrettanto vero che la nascita di una prassi disapplicativa nell’ipotesi in cui alla

967 Cfr. Trib. Ravenna, 24 dicembre 2012, in Il Caso.it, I, 8272/2012; una tesi mediana sembra potersi rinvenire nel

provvedimento del Tribunale di Modena, 30 novembre 2012, ivi, 8196/2012, secondo il quale là dove lo scenario sia incerto, è più prudente la semplice sospensione del contratto; in maniera rigida, invece, Trib. Pistoia, 30 ottobre 2012, ivi, 8079/2012: “lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, previsto dall'articolo 169 bis, legge fallimentare, non può

essere disposto nell'ipotesi di ricorso per concordato preventivo con riserva di cui dal sesto comma dell'articolo 161. In detta ipotesi, potrà tuttavia essere concessa la sospensione di detti contratti per il periodo massimo di 60 giorni”.

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prima segua il deposito di un accordo di ristrutturazione, darebbe il destro a condotte finalizzate a distorcere l’uso della domanda con riserva.

L’antidoto alla dilatazione temporale determinata dalla presentazione di una domanda in bianco - a cui poi segua il deposito di un accordo di ristrutturazione - previsto dall’art. 69 bis, dunque, va somministrato perché traspare, senza dubbio, il presupposto della sua operatività, vale a dire la pubblicazione della domanda concordataria nel registro delle imprese.

Si pensi alla situazione inversa tenendo a mente le norme di nuovo conio centellinate dalla l. 134/2012 e sparse nella legge fallimentare: gli atti esonerati a norma dell’art. 67, terzo comma, lett. e) diminuiscono, a monte, l’attivo patrimoniale oggetto di aggressione dei creditori concorrenti; le nuove (e le nuovissime) ipotesi di prededucibilità lo restringono, invece, a valle; la pubblicazione della domanda di concordato in bianco (a cui si accompagna il deposito dell’accordo) amplia notevolmente lo spettro all’interno del quale le pretese creditorie vengono congelate; la stessa prerogativa è spendibile, in virtù dell’ultimo comma dell’art. 161, anche in

itinere della istruttoria prefallimentare.

All’evidenza, se si nega l’applicazione del principio della consecutio proceduram alla ipotesi in cui alla presentazione di una domanda di concordato in bianco segua il deposito di un accordo di ristrutturazione, si nega in egual misura quella funzione che lo stesso legislatore ha voluto imprimere all’art. 69 bis l.f..

Infine, nell’ipotesi di istruttoria prefallimentare già attivata, il meccanismo ‘domanda in bianco-accordo di ristrutturazione’, posticipando ulteriormente il dies a quo dell’esercizio proprio di quella azione revocatoria che dovrebbe germinare proprio da quel fallimento il cui procedimento di apertura, invece, in seguito alla domanda in bianco, viene, di fatto, sospeso, mortifica le aspettative di recupero dei creditori; quegli stessi creditori che, nell’ipotesi di insuccesso dell’accordo depositato in scia alla presentazione della domanda in bianco, oltre ad essere pregiudicati da una sensibile riduzione del patrimonio del proprio debitore in occasione dell’infausto processo di ristrutturazione, non avrebbero nemmeno la possibilità di sperare nelle azioni recuperatorie, improponibili contro quegli atti antecedenti la pubblicazione della domanda di concordato in bianco.

L’ennesimo vuoto di tutela e l’ennesimo depotenziamento alla azione prevista dall’art. 67 l.f.. Tuttavia, l’aspetto nevralgico della nuova disciplina delle revocatorie è rappresentato dall’introduzione delle esenzioni, la cui elencazione969 permette di comprendere la filosofia che

969 Le esenzioni, anch’esse incrementate dalla l. 134 del 2012, riguardano: a) i pagamenti di beni e servizi effettuati

nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-

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ha ispirato - e continua ad ispirare - il legislatore nel dettare le regole per la gestione delle crisi d’impresa970. La sua lettura ha fatto parlare i primi commentatori di una rivoluzione copernicana971 ed esprime la “guerra” all’azione revocatoria con il vessillo del favor alla conservazione ed al rilancio dell’impresa in crisi: in sintesi, tutte le nuove esenzioni (ad eccezione di quella contenuta nella lettera c) ruotano intorno agli aspetti del ciclo economico essenziali per la continuazione dell’attività, oppure al favor per le soluzioni concordate e/o stragiudiziali972. In dottrina è stata rilevata la circostanza secondo la quale si tratterebbe di esenzioni oggettive, il cui focus si sposta dalla redistribuzione (ex post) al giudizio oggettivo di meritevolezza dell’atto o del pagamento973.

In origine era discussa la natura tassativa o esemplificativa del suddetto carnet: chi muove dal presupposto che il riformatore avrebbe optato per la teoria indennitaria esclude che l’elenco sia a numero chiuso e conclude per una tacita abrogazione dell’art. 67, secondo comma974. Al contrario, altri, ritengono che il dettato normativo, non consentendo una interpretazione in questo senso, manifesti un chiaro segno della tassatività di tali ipotesi975.

Inevitabilmente contrastanti si presentano anche i giudizi sulle nuove esenzioni, in quanto a coloro i quali (a mio modesto avviso correttamente) li ritengono dei provvedimenti di favore per le banche976 prive di razionalità977 si pongono altri che tentano di minimizzare il cambiamento offrendo delle soluzioni agnostiche978.

L’unica certezza, secondo altri, si esprime nella circostanza secondo la quale l’ampliamento delle ipotesi di esimenti finirà con il concentrare gli effetti negativi dell’insolvenza su un nucleo sempre più ristretto di soggetti, cioè i pochi che, pur consapevoli di avere a che fare con un imprenditore decotto, non rientrano in alcuna delle fattispecie delineate dal terzo comma dell’art. 67979.

bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 161; f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.

970 In argomento, la bibliografia è sconfinata; ex multis, v., GALLETTI, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit.,

163; SANGIOVANNI, Finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento della società, in Fall., 2007, 1393; BRUNO, Fallimento sociale e

personale e revocatoria degli atti del socio, in Fall., 2008, 22; TARZIA, L’ambito di applicazione delle esenzioni nel nuovo art. 67 l.

fall., in Fall., 2008, 637; GIORGI, Le esenzioni dalla revocatoria fallimentare per favorire la normale prosecuzione dell’impresa (art.

67, comma 3°, lettere a ed f, legge fallimentare), in Dir. fall., 2008, I, 392; NARDECCHIA, Le nuove esenzioni del terzo comma

dell’art. 67 l. fall., cit., 14.

971 Cfr., FABIANI, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, cit., 579.

972 V. AMBROSINI, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Ambrosini – Cavalli – Jorio, Il fallimento, in

Cottino (a cura di), Trattato di diritto commerciale, IX, II, cit., 420.

973 In questo senso, PRESTI, La funzione della nuova revocatoria. Cosa è cambiato rispetto al passato, Relazione al Convegno

del 16 – 17 dicembre 2005, 13, il quale ritiene che esente da revoca non è il soggetto che ignaro dell’insolvenza altrui abbia concluso una operazione o ricevuto un pagamento, ma un’operazione caratterizzata in un certo modo, e che il legislatore ritiene meritevole di tutela, anche se la controparte è perfettamente a conoscenza della crisi della

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