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4.1.4 È POSSIBILE DISEGNARE ANCORA LA CITTÀ?

Antonio Longo sottolinea come l’osservazione dei prodotti141 utili per disegnare e progettare le trasformazioni del territorio sono prima di tutto raffigurazioni simboliche che possono avere attinenza con aspetti, oggetti e situazioni che, nella loro capacità trasformativa, danno forma ad un nuovo sistema di oggetti. La dimensione interpretativa, insita nei prodotti per la progettazione, implica quindi una presa di responsabilità e di distacco dall’oggetto rappresentato in cui immergendosi nello spazio considerato risulta possibile sia l’osservare che l’immaginare il futuro attraverso la forma data a prodotti parziali che interagiscono con lo spazio e i fenomeni reali: lo spazio diviene sperimentale in cui si possono affinare linguaggi comuni o marcare le differenze. All’interno di questo presupposto, Longo individua un deficit di immaginazione all’interno dei processi di trasformazione che stanno investendo la metropoli milanese nel quale, l’assenza di queste immaginazioni prospettiche, risulta riconducibile a ragioni tecniche, in compresenza ad una disabitudine urbanistica istituzionale al disegno, e a ragioni più profonde dei soggetti che progettano il territorio, dei relativi ruoli ed interessi, e della modalità di progettazione utilizzate. Longo si concentra su l’assenza di disegno nell’urbanistica e nella città. Nel primo campo, l’urbanistica, trova le sue ragioni nelle pratiche e nello spazio di responsabilità di tecnici e amministratori e nella radicata diffidenza nei confronti del disegno come strumento efficace di rappresentazione del territorio e dei suoi cambiamenti: il disegno, sembra secondo Longo, nell’istante in cui ferma, seleziona e interpreta i fenomeni ne riducesse lo spessore tradendone l’identità, rispettata solo dalla fluidità delle parole. Secondo Longo, questa contraddizione trova i suoi presupposti nell’urbanistica del movimento moderno e nei risultati della ricostruzione postbellica, rivolte contro una visione “euclidea” della città ed una reazione di rifiuto della dimensione fisica e degli strumenti. Il tentativo di Giancarlo De Carlo e della “turbina” del Piano Intercomunale Milanese degli anni ‘60, risulterebbe in quest’ottica, la rappresentazione e la messa a fuoco della natura dinamica, multidimensionale e processuale dei fenomeni territoriali acconsentendo alla possibilità di molteplici opzioni per il futuro dell’area milanese. La mancanza di orientamento rivolti al futuro nei prodotti tecnici e amministrativi che concorrono nel governo e nella progettazione dell’area metropolitana può essere considerata anche come l’esito di un cambiamento nell’approccio alla pratica urbanista restando una struttura atta a rispondere tecnicamente alle istanze locali e al monitoraggio di aspetti sovralocali. L’aspetto frammentato che ricorre nel nuovo approccio, secondo Longo connota anche l’esperienza urbanistica milanese caratterizzata dalle varianti di piano, a partire dagli anni ’70, e

140 Si fa riferimento a A. Longo in Disegnare ancora il territorio milanese?, p. 132 (Territorio II/III 2004)

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dall’estrema parcellizzazione dei temi e delle questioni che si rispecchiano in un disegno planimetrico polverizzato: efficacie per il governo della frammentazione ma vinto in ogni tentativo di rappresentazione unificante.

Il secondo campo, invece, si concentra sul disegno della città e i disegni dei progetti in cui la riduzione dello spazio della rappresentazione: si manifesta un’astrazione dei progetti di grande scala e la conseguente perdita del legame con il terreno, mentre negl’altri il disegno appare del tutto integrato con il processo di costruzione del terreno. Dall’osservazione di Longo, le figure più ricorrenti nei progetti di grande scala sono figure organizzate gerarchicamente che evidenziano temi e luoghi distanti dalla ricerca di coerenze e relazioni all’interno di rappresentazioni tecniche estremamente schematiche. In questo schema, la sostituzione del disegno con il terreno descrive un grado di astrazione irreversibile degli stessi progetti che rappresentano il territorio come una striscia e una sequenza quotata, tralasciando l’appoggio di una rappresentazione d’insieme che renderebbe possibile cogliere le possibili reciproche interazioni tra elementi diversi del territorio, come gli spazi aperti. Sul fronte opposto, si collocano i disegni che rappresentano le molteplici frammentazioni di autoproduzione delle individualità locali che, nel quadro delle regole vigenti, hanno la facoltà di promuovere e modificare una parte della città definendo al proprio interno regole e principi di coerenza, anche di quelle parti che poi entreranno a far parte del patrimonio collettivo. Longo si sofferma sul fatto che se per un grande intervento di trasformazione o per un piccolo lotto di completamento il principio non varia, ma che varieranno di conseguenza gli esiti. Questo aspetto è riconoscibile in particolar modo nella città di Milano e nelle modalità di progettazione e disegno dei Programmi Integrati di Intervento e dei Programmi di Riqualificazione Urbana in cui sussiste una contraddizione dei progetti proposti dalla scala minuta dello stato finale quando, le stesse dimensioni dello spazio, permetterebbero di ragionare e riflettere sulle sue relazioni con l’intera città. Il progetto tende ad essere presentato anticipando aspetti esecutivi per rendere possibile la fattibilità tecnica e finanziaria in ragione delle logiche interne agli iniziatori: l’organizzazione, l’economia e la finanza e la promozione.

Se il disegno non è in grado di creare da solo il proprio spazio è tuttavia l’assenza di disegno e immagini prospettiche che suggeriscono, nell’ottica di Longo, di recuperare lo spazio e la distanza per raffigurare il cambiamento in un’ottica di miglio governo delle trasformazioni in cui:

- I luoghi del disegno, nella sua individualità, deve relazionarsi con le parti attigue per dare luogo ad una progressione di sistemi interrelati e coerenti in particolar modo quando esse riguardano temi di carattere strutturale.

- Chi disegna ha uno spazio di potere in cui il disegno non coincide necessariamente con uno spazio istituzionale definito. Essendo il disegno un atto creativo, lo stesso disegno può essere uno strumento che contribuisce parzialmente a prefigurare possibilità in conseguenza delle capacità retoriche dell’immagine proposta.

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