A lungo si parlato si è provato a dare sensazione di come la città stesse cambiando e di come, di conseguenza, il suo apparato di ritmi e coesione interna tendesse anch’esso a rincorre il cambiamento che la stessa città sta tentando di raggiungere. Paolo Fareri, osservando il modo la città si rende visibile nota che:
<< […] Tutte le volte che parliamo di città tendiamo a pensare ai quartieri come ad una unità di vicinato, come se i nostri vicini fossero le persone con cui ci relazioniamo più spesso, come se il quartiere in cui viviamo fosse
91
il luogo che è per noi più importante, nella città. […] Quando parliamo di città, quando facciamo lo sforzo di progettarla e riprogettarla (indipendentemente dal fatto che siamo esperti o cittadini), non riusciamo a sfuggire alla convinzione che il quartiere continui ad essere il centro delle nostre relazioni e dei nostri interessi.>>201
La visione ad “occhi chiusi” dell’immaginario della città si infrange nel momento in cui la città deve essere capita e vista per quello che tende a delinearsi:
<< Ma sappiamo benissimo che non è più così, da tempo. Le strade di Milano son, come la maggior parte delle strade delle città del mondo, non corrispondono all’immagine dei vicoli napoletani, microcosmi dove si stende la biancheria insieme, dove le sedie stanno sull’acciottolato in un grande salotto all’aperto in cui le questioni private vengono fatte (volontariamente o meno) pubbliche. […] Spesso non conosciamo neppure la maggior parte dei nostri vicini, dei quali sappiamo poco e nulla, senza provarne rammarico. […] Il nostro essere residenti in un luogo nella città è sempre meno importante per dire chi siamo, cosa vogliamo, di cosa abbiamo bisogno. Anche perché spesso nei quartieri (negli edifici?) convivono situazioni molto diverse fra loro: affitti sovraffollati di immigrati, giovani professionisti, anziani proprietari, ecc. cosa hanno seriamente da dirsi persone queste persone fra loro? […] Sembra contare sempre di più, invece, non tanto il posto in cui risiediamo quanto l’uso che facciamo della città. Un uso che in alcuni casi scegliamo, in altri ci viene imposto. >>202
La visione problematica e problematizzante di Fareri, che apre l’interessante libro “I territorio della città in trasformazione”, evidenzia già le difficoltà di riconnessione tra le pratiche di un passato ricordato e la ricaduta delle pratiche oggi applicate. Come si è visto nella parte I, l’evoluzione della città ha sempre portato con sé l’affermarsi di una nuova pratica della vita sociale in conseguenza, o in anticipo, della struttura economica emergente e, nella parte II, come questa percezione può essere applicata nel contesto milanese e nel mutarsi della sua rappresentazione spaziale, sociale e politica.
Una riflessione sul cambiamento necessità quindi di comprendere come il nuovo scenario urbano si determini all’interno di un nuovo sistema di relazioni di complessità elevata nel quale le diverse parti di città non possono essere ricondotte ad una lettura statica ma attraverso la sua costruzione203 e sulle conseguenze della dissoluzione della città moderna nelle sue conseguenze sui cambiamenti epocali dell’organizzazione sociale e degli stessi modelli di vita
201 P.Fareri in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 7 202 P.Fareri in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 7 203 V. Fini in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 49
92
quotidiana204. Scandurra nota come in precedenza l’organizzazione fisica e della convivenza della comunità fosse centrata su concetti come ordine, gerarchia, regolarità, separazione, welfare e come quest’ultimi, nella tendenza attuale, hanno ceduto il passo a parole d’ordine come competizione, individualismo e neo-liberismo che, attraverso la globalizzazione, stanno cambiando i connotati della città e amplificando aspetti contradditori e conflittuali (povertà e opulenza, ad esempio)205. La forma fisica della città è avvenuta, come si è visto, all’interno di un cambiamento lento alle condizioni della contemporaneità, elementi che spesso sfuggono alla capacità di controllo degli amministratori pubblici e locali. L’immagine che identifica al meglio questo cambio di rotta è, appunto, il passaggio dalla “città- fabbrica” alla “fabbrica-città”206. La città fordista, infatti, manteneva una propria, dura, coriacea materialità che si rispecchiava in una consistenza spaziale, in una densità e corporeità che inevitabilmente si riflette sul territorio all’interno di una feroce centralizzazione e razionalizzazione207. Oggi, quest’immagine risulta capovolta: la città, e non più la fabbrica, risulta essa stessa una macchina produttiva in cui il prodotto non è più dato dall’organizzazione produttiva, ma dalla capacità della stessa città di riuscire a mettere a lavoro la totalità delle persone che la vivono208. In questo nuovo contesto, è la stessa parola “contesto” che necessità di una specificazione in quanto, come sottolinea Fini, lega il suo significato all’insieme delle costruzioni e delle relazioni spaziali utili a capire il periodo storico in cui sono avvenute attraverso la trama narrativa dell’urbis e la volontà collettiva dalla civitas209: l’immagine di “progresso” insito della determinazione della città sembra aver smesso di esprimere il concetto di miglioramento collettivo e si sia adeguata alla necessità di sopravvivenza individuale210. La mutazione che sta avvenendo, se non già avvenuta, influirebbe in diverse maniere, per certi versi anche in sovrapposizione, sulla città. Considerando che “la città è stata sempre il passato che si fa presente”211, un meccanismo in continuo movimento dove conta solo il tempo presente di una evoluzione continua avrebbe bisogno di un non-passato: il ruolo dei luoghi e degli spazi nel quale l’atto del “ricordare” implica irrimediabilmente ricostruire il rapporto con ciò che siamo stati. La frizione tra sviluppo e contemporaneità imporrebbe, quindi, la cancellazione della memoria in funzione di ciò che è ora necessario in un’ottica di liberare la mente del vecchio per far posto al nuovo perché “ciò che eravamo non servirà per ciò che siamo e
204 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 146 205 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 146 206 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 149
207 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 150, fa riferimento alle riflessioni di Ravelli.
208 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 150 209 V. Fini in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 51
210 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 149, fa riferimento a riflessioni presa da Bauman in Modus vivendi.
93
saremo”212. Sul lato delle pratiche quotidiane, “l’abitare della città” diventa sempre più marginale rispetto al funzionamento della stessa in cui i luoghi della residenza e della vita quotidiana perdono di significato, almeno di quello finora conosciuto213. Come si è visto, all’affermarsi di nuovi modelli di vita determinati dall’evolversi dello sviluppo del capitalismo ha indotto trasformazioni del lavoro e dei rapporti sociali, oltre a modificare l’organizzazione della città e delle relazioni sociali. Cellamare sottolinea come gli effetti benefici sulla vita quotidiana determinati dalle “inevitabili conseguenze positive” dalla globalizzazione costituirebbero, invece, anche un problema: non è detto che il loro avvenire risulti conflittuale e produttore anche di effetti negativi e costi sociali214. Allo stesso modo non è scontato che gli effetti siano “inevitabilmente” negativi in quanto, la ricaduta e reinterpretazione su scala locale avviene sulla base delle risorse, tradizioni, culture ed opportunità presenti e, quindi, raffiguranti di una propria traiettoria di sviluppo e di modelli culturali e di vita, di comportamenti sociali e di riti, fino, appunto, a stravolgerli. Fini determina questa possibilità all’interno dell’”irrazionalità” psicologica intrinseca alle scelte personali che nei momenti di cambiamento e, quindi, nei momenti di discrepanza tra le rappresentazioni di “contesto”, emergenze simboliche ed emozionali, possono trovare nello spazio vuoto indeterminato e nell’”irrazionalità” una potenziale risorsa per lo sviluppo nel determinare la discrepanza contestuale215. In maniera differente, il problema che emerge sul lato delle politiche pubbliche è duplice. Da una parte, sono carenti e difficoltose le politiche urbane rispetto alla specificità del vivere quotidiano e, dall’altra, le politiche globali e le trasformazioni indotte possono produrre costi sociali ed effetti negativi sulla vita quotidiana che dovrebbero essere tenuti in conto nelle relazioni possibili tra le politiche e il contesto urbano216. In sintesi, la riflessione che dovrebbe emerge intravede che le scelte politiche urbane inevitabilmente influenzerebbero l’introduzione di modelli di vita eterodiretti che comporterebbero effetti sulla popolazione come la sostituzione della popolazione, precarizzazione, incremento del pendolarismo e della mobilità. Ma ha anche effetti sul tessuto sociale e di riorganizzazione della vita economica in cui la rapidità dei cambiamenti e l’emergere di nuovi equilibri si riflette positivamente solo su alcune categorie di persone a scapito di altre, generando inevitabilmente conflitti, sterili contrapposizioni e “lotte tra poveri”217. Da questo punto di vista, la città tenderebbe a moltiplicare le sue dimensioni all’interno della combinazione dei possibili raggi d’azione che si strutturerebbero in maniera più labile che trascende il significato dei luoghi così come sono conosciuti. La vita quotidiana si troverebbe posta in un incrocio ambiguo e conflittuale, tra l’esperienza e la routine e la loro relazione tra l’urbanistica e la stessa vita quotidiana. Le
212 E. Scandurra in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 152 213 C. Cellamare in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 39 214 C. Cellamare in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 41 215 V. Fini in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 58
216 C. Cellamare in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 41 217 C. Cellamare in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 41-42
94
pratiche urbane divengono di conseguenza fondamentali per comprendere il modo in cui gli abitanti, e loro diverso modo di vivere, organizzarsi e abitare, trasformano lo spazio in luoghi instaurando un reciproco adattamento, spesso problematico, ma essenziale per comprendere come è vissuto il contesto di vita218. Il luogo e il senso dei luoghi, i conflitti e l’appropriazione degli spazi e i processi di significazione attraverso progettualità insita nelle pratiche diventano per Cellamare categorie interpretative utili per comprendere la situazione attuale. Tale approccio alle pratiche implicherebbe la possibilità di non separare l’uso degli spazi dalla fisicità degli stessi in cui la dimensione dell’immaginario diventa pervasiva sia nell’ambito delle pratiche che in quello della progettualità e, quindi, delle politiche: la capacità di cogliere le diverse forme di appropriazione degli spazi, rimandando ad una concezione Lefebvriana, diverrebbe il modo per interpretare le culture urbane nel quale le “tattiche” di vita costituiscono l’unico modo per gli abitanti per sperimentate le forme di adattamento e le forme di “resistenza” 219. La praticità dei modi in cui è vissuta la città determinano, infatti, continui adattamenti e aggiustamenti delle forme di appropriazione culturale e materiale in cui il modo nel quale viene fatta esperienza della città e della sua trasformazione spaziale si sviluppano con le azioni degli abitanti, dei soggetti coinvolti all’interno dei relativi processi decisionali220.
La questione delle pratiche ha dunque un aspetto inevitabilmente innovatore al suo interno, ma è pur sempre legata ad un aspetto di routine in costante tensione verso l’esperienza. Le pratiche sono guidate e condizionate da fattori esterni ma sono anche caratterizzate da un’attribuzione di senso, di appropriazione culturale e adattamento agli spazi nella costante ricerca di miglioramento delle condizioni di vita e, dunque, intrise di una progettualità221: ha una propensione all’azione in cui si attribuisce un valore simbolico per la rielaborazione dei modelli di vita.