Nonostante la divergente concezione su cui si basa il processo di gentrificazione, come già notato da Bruzzese261, si può osservare un cambiamento che, se pur all’interno di una sua intangibilità, determina effetti profondi sul piano dell’immagine e del significato di determinati quartieri che ricadono nel processo. Torna dunque utile addentrare ulteriormente il discordo sugli aspetti che determinano l’accrescere del desiderio di urbanità, di come tali condizioni influenzano la trasformazione della configurazione del quartiere e di come, in maniera radicalmente diversa, ha influenzato il percorso di due quartieri milanesi: Isola e via Padova. Urbanità e desiderio sono elementi che, se pur in maniera differente, sono elementi presenti in entrambe le teorie che richiamano le dinamiche di gentrificazione. Da una parte si comprende il processo attraverso le presenze localizzative espresse da un particolare profilo di individuo che, attraverso le proprie capacità riconfigura in maniera evidente l’immaginario attraverso la quale è riconosciuto. Sul lato opposto, il processo deriverebbe da una scelta economica e politica di un processo di rivalutazione di determinati quartieri allo scopo di produrre un più alto valore economico in funzione di una rinata attrattività. Gli stili di vita che si instaurano, al di là del punto di partenza da cui derivano, risulterebbero in grado di orientare il consumo e le offerte del mercato con sufficiente forza da candidare determinati quartieri popolari a diventare un ingranaggio essenziale della nuova economia, legata al simbolico e all’esperienziale, in quanto adatti ad ospitare la nuova concezione estetica dello spazio262. Porzioni di quartieri popolari vengono intercettati da una offerta culturale e di intrattenimento, aspetti determinanti per l’effetto di desiderabilità, dove le trasformazioni accentuano la volontà di residenza e luogo dove passare il tempo libero, ma intercettano anche una popolazione, per certi aspetti residuale, a basso reddito e collocati nella prima periferia operaia, già coinvolta da un primo allargamento del centro delle città contemporanee. All’interno di questa logica, il quartiere popolare in epoca post-moderna deterrebbe un fattore e una qualità estetica utile per la rappresentazione del nuovo sistema di consumo e di produzione. Annunziata nota come il set di valori fisici, sociale e simbolici, richiamanti i valori del quartiere tradizionale, riuscirebbero ad incarnare le nuove esigenze estetiche e culturali di un determinato modo di intendere l’urbanità all’interno della new economy: il desiderio è da considerarsi un impulso verso qualcosa che non si ha più legato ad una mancanza e potrebbe essere inteso come rimpianto d’urbanità sotteso al quartiere tradizionale263. Si determina possibile forza di aspettative,
260 S. Annunziata in I territori della città in trasformazione: tattiche e percorsi di ricerca, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 180 261 Si fa riferimento al capitolo 5, nello specifico al paragrafo 5.2
262 S. Annunziata in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 66 263 S. Annunziata in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 68
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ambizione sottese alle preferenze individuali capaci di andare oltre alle consolidate forse di espressione e di adeguamento della vita urbana. Ne diviene che il quartiere popolare risulta sottratto dalle sue caratteristiche sociale, ma che verrebbe colmata da nuove rappresentazioni ispirate al suo passato tra le quali l’idea di una diversità sociale e dei modi di vivere, in riferimento a quelli tipici di determinate classi, una predisposizione ad una mobilità sociale in funzione anche della dimensione culturale del quartiere come fatto. Annunziata rimanda questi aspetti alla desiderabilità che determinati luoghi determinano e di come essa sarebbe legata indissolubilmente ad una concezione di città ed urbanità al quale di preferisce aderire e dei valori che tali spazi si fanno portatori. Alla luce di questa nuova desiderabilità diventa possibile riflettere su il senso di “habitat di significato”, a cui si è accennato all’inizio del capitolo, e al modo in cui il senso di appartenenza tende a riprodursi attraverso un processo continuo tra l’oggetto “desiderato” e il soggetto che ne esprime il desiderio attraverso il suo uso.
Nel ricondurre questi processi a determinati quartieri di Milano, Isola e via Padova possono essere considerati esempi diametralmente opposti all’interno dell’interpretazione della desiderabilità, che, come si vedrà, al di là del merito del giudizio a riguardo, sono state oggetto di un diverso sentiero di riconfigurazione. Già dal suo nome, il quartiere Isola può essere ricondotto ad una narrazione che rimanda ad un qualcosa separato dalla città che, alla luce della ricostruzione proposta da Alessandra Micoli, non comprende solo una dimensione spaziale, ma determinerebbe anche un tessuto relazionale particolarmente fitto e ad un determinato modo di vivere tempi e spazi del quartiere264. Le narrative che riconducono all’immaginario sentito del quartiere265 rimandano ad una descrizione di luogo in cui tutti si conoscono e della presenza di una storicizzazione di unicità di contesto di vita, frutto anche di condizioni economiche e sociali che hanno favorito l’emergere di un certo tipo di abitato, di tessuto urbano e, di conseguenza, di socialità266. I processi di ridefinizione e trasformazione che hanno coinvolto la città e il quartiere, come si è detto, comprende un mutamento sociale ed economico e un passaggio da un quartiere caratterialmente operaio e artigianale, abitato da ceti popolari, verso una nuova popolazione giovane, intellettuale e creativa. L’abitazione di ringhiera, tipica di una Milano popolare, determina per Micoli l’elemento emblematico per cogliere il cambio della caratteristica socializzante del quartiere e del mutamento della popolazione: il ballatoio, spazio di riferimento della socialità e della condivisione, si è trasformato, almeno nell’uso che ne viene ora fatto, in uno spazio privato di separazione attraverso barriere fisiche e simboliche. Le demolizioni avvenute tra gli anni ’70 e ’80 di cui le case a ballatoio sono state oggetto267, diviene un momento segnate del mutamento che, pur essendo ancora presenti per il gusto estetico che rappresentano, ne risulta
264 A. Micoli in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 84
265 A. micoli fa riferimento ad una serie di interviste riportate nel capitolo “Milano, Isola: narrazione e comunità” presente in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia.
266 A. Micoli in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 85 267 In particolare, in via Borsieri, Confalonieri e De Castillia.
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diverso il modo in cui vengono utilizzate in cui i vecchi abitanti, quelli rimasti, ne evidenziano la mancanza sociale mente, quelli nuovi, ne accentuano i pregi architettonici268. Tale narrazione contradditoria con cui è guardato il quartiere tende a perdersi mammano che le divisioni dei diversi gruppi mutano, all’interno di una sorta di staffetta tra il nuovo abitante recente e i vecchi abitanti persi nel sancire il proprio modo di manifestare l’appartenenza e legittimità. Il percorso evolutivo del quartiere Isola denota anche la presenza di un passato riconosciuto tramite la cattiva reputazione di delinquenza e quartiere malfamato che si alterna rappresentazione positiva di un importante interesse sociale e commerciale. In particolare, Micoli nota come l’aspetto delinquenziale diviene nelle ricostruzioni un aspetto folkoristico del quartiere di una volta attraverso continui aggiustamenti del racconto e dei valori attribuiti ai fenomeni e ai comportamenti.
Viceversa, lo sviluppo del percorso che per cui via Padova è riconosciuta nell’immaginario collettivo si ripercuote nella presenza di una popolazione immigrata e di una presenza di usi e costumi differenti. Se per chi non ci abita, l’identità di via Padova risulta assimilabile ad una periferia operaia che “ha cambiato volto pur rimanendo uguale a sé stessa”, per chi ci vive diviene un luogo dall’identità più complessa in cui diviene difficile identificarne una definizione che comprenda la sua storia ed allontani gli attuali stereotipi269. Se a partire con i primi processi di gentrificazione, come si è detto, si è modificata l’identità sociale e si è messo in crisi la capacità di riconoscere i quartieri che non rispondono più difficilmente al senso comune per cui erano riconosciuti, le “case vecchia Milano” con cui i ballatoio sono anche conosciuti, continuano a manifestare la loro appartenenza popolare e di densità dei rapporti che, come sottolinea Novak, non sempre rappresentano un rapporto di vicinato piacevole nell’aspetto fisico e sociale come nel caso di Isola ed altri quartieri. Lo stesso concetto di quartiere, notano gli autori, andrebbe definito più come “zona”, in quanto la mancanza di barrirei fisiche e sociali, che ne dovrebbero determinare i confini, si struttura all’interno di una sequenza di centralità lungo il suo svilupparsi dal centro verso la periferia; aspetto che renderebbe difficile una sua chiara identificazione spaziale. È infatti la sua caratteristica di “movimento” che, insieme all’essere quartiere da sempre abitato da una classe operai e piccola borghesia commerciale e artigianale, e, negli ultimi decenni, primo epicentro dell’immigrazioni a Milano a determinare la sua storia economica e sociale. Il tessuto popolare prende forma lungo la linea della via, senza una particolare organizzazione, vista la celerità dello sviluppo edilizio dal dopo guerra agli anni ’60 per accogliere gli sfollati e la prima migrazione interna. All’interno di sviluppo si vede il mischiarsi di villette liberty con le case di ringhiere, generando un curioso abbinamento tra residenze di più alto livello con residenze più umili, a cui si associa anche un diverso livello di manutenzione, con edifici commerciali di prossimità e magazzini ed officine. Il paesaggio sociale di via Padova rimanda a quello dei borghi, come Crescenzago e Turro, inglobati dallo svilupparsi della periferia durante il boom economico e migratorio: questo fattore la distinguerebbe dalle periferie pianificate, ma
268 A. Micoli in Tracce di quartieri: il legame sociale nella città che cambia, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 91
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anche dalle stesse periferie storiche che derivano da una prima sembianza di paese. Novak e Andriola notano come però, lo stesso riconoscimento di via Padova come periferia operaia fatichi a comprendere l’articolazione sociale che oggi la distingue. Nel quadro di un riferimento ad una zona disagiata per via dei livelli di istruzione e dei profili lavorativi e di reddito fragile, via Padova risulterebbe come un insieme di differenze piuttosto che un sistema omogeneo270. Le trasformazioni del mondo del lavoro, su cui ci si è largamente soffermati nei capitoli precedenti, con il conseguenziale crollo del sistema produttivo e della ideologia sottostante, pone in loco la concentrazione di fragilità come una popolazione anziana, ex operai e casalinghe, giovani in precariato e, in parte, anche una classe media legata al mutuo. Ma è la seconda migrazione che trova particolare spazio negli alloggi di piccole dimensioni, costruiti in risparmio per assistere i nuovi arrivati che nel dopoguerra incominciavano a riempire la città. La presenza e disponibilità sul mercato di alloggi di metratura ridotta ha indotto la concentrazione di migranti disposti ad acquistare o prendere in affitto un’abitazione anche fatiscente. In breve tempo, la via diviene un insieme di luoghi, sia commerciali che religiosi, particolare dove le antenne paraboliche sulle pareti e il marciapiede con le insegne dei negozi denotano l’appartenenza multietnica della via. In particolare, la presenza di esercizi multietnici ha rivitalizzato una via commerciale in crisi, dove le serrande dei vecchi proprietari faticavano a rimanere alzate in conseguenza della crescente concorrenza dei supermercati, permettendo così una presenza di servizi che sostiene i diversi bisogni e culture del mix di etnie che ora la abitano271. Sul l’altro lato, la forza e la capacità dei fenomeni migratori si sono incontrate con un profondo radicamento sociale che, in qualche modo, ancora sopravvive, se pur sotto l’aspetto di amplificazioni e distorsioni che si alternano tra narrazioni di incompatibilità e la possibilità di costruire relazioni: ne emerge una tendenza verso lo spaesamento della molteplicità che hanno portato all’emergere di conflitti latenti tra le trecce di comunità sopravvissute al cambiamento in un crescente senso di insicurezza272. Tale aspetto si riflette anche all’interno delle regole di buon vicinato e nei diversi modi di vivere in casa e degli spazi in condivisione e, in modo diverso, nella transizione dei servizi commerciali che vedono emblemi della vita quotidiana tradizionale, come le latterie e i calzolai, sostituiti da attività di indirizzo etnico e il conseguente spaesamento delle abitudini all’interno del raggio di movimento delle persone nel locale.