Prima di procedere con la descrizione dell’analisi proposta è necessario far luce alle “precauzioni” per la lettura dei dati. L’analisi che verrà proposta sarà un’interpretazione delle possibili dinamiche di composizione della classe sociale, nonostante la difficoltà emerse all’interno di una sua definizione contemporanea, osservate in tre soglie temporali collegate tra loro. Essendo un’interpretazione del fenomeno basata su dati di dettaglio e volta a individuare, come si è visto nel modello EVL346, una dinamica con un particolare accento emotivo e personale, bisogna intendersi sui limiti che, automaticamente, un’analisi quantitativi può rappresentare all’interno di un fenomeno di matrice qualitativa. Nella letteratura disponibile è presente una certa perplessità nell’utilizzo di dati per identificare un certo comportamento e azione umana in quanto si ha la percezione, a mio parere del tutto corretta, dell’impossibilità di restringere il comportamento umano all’interno di una quantificazione numerica; a riguardo si ricorda ad esempio la critica proposta da De Carlo all’inizio della parte II. Ikeda identifica l’atto dell’azione, quando è significativa, come un’azione fatta da qualcuno allo scopo di ottenere qualcosa in cui il tempo e lo spazio non sono fattori neutrali, ma si sviluppano all’interno della causalità e della creatività347. L’accento proposto sulle scelte messo a fuoco da Ikeda propone una lettura del comportamento umano e delle relative scelte che si distacca fortemente da una concezione
344 Si intende come sovrapposizione di significato la rappresentazione delle dinamiche interna alla variabile. Si ricorda che i dati censuari rendono disponibile il quantitativo di una determinata variabili presente in una zona omogenea e, quindi, non è possibile risalire all’effettive caratteristiche di un abitante prese singolarmente. Nonostante il fatto che un abitante può ricadere in diverse variabili, tranne il fatto della popolazione disoccupata e pensionata, la chiarezza nel richiamare un chiaro significato resta preservata.
345 La presenza o la mancanza di concentrazione di una variabile può essere riconducibile ad un preciso senso positivo o negativo. Come accennato per la questione dell’affitto, un senso univoco è difficilmente interpretabile. Lo stesso discorso vale per variabili come la presenza di edilizia storica e del mercato immobiliare.
346 Exit, voice, loyalty.
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in cui, facendo particolare riferimento all’economia, le scelte sono prese all’interno di un ambiente spazio e temporale asettico. Determinate azioni avvengono dove e quando le condizioni sono favorevoli, in parallelo alla presenza di condizioni di percezione e soggettività delle scelte, intraprese da parte delle persone, all’interno di condizioni personali mutevoli. Spazio e tempo risultano quindi precondizioni per un qualcosa che può essere imprevisto: l’azione si fa spazio dove le azioni e le interazioni avvengono, che siano pianificate o impreviste, che siano formali o informali, determinando le azioni umane all’interno di una dipendenza spaziale. L’approccio urbano-centrico di Ikeda comporta un’interpretazione dello studio dell’economia nella puntualità dello spazio e del tempo in cui avvengono, non più ascrivibili ad una descrizione astratta, in cui l’ambiente urbano, costituito dal capitale sociale e dal network fiduciario, riduce la distanza tra la potenzialità dell’opportunità e la sua scoperta: si presume la città e l’ambiente urbano determinato da un ordine spontaneo basato si sull’azione umana, ma non dalla sua pianificazione348. Il rapporto tra spazio e causalità, all’interno dei processi sociali, si sviluppa per Werlen in due differenti linee di pensiero che, da una parte legittima lo spazio sia come oggetto di ricerca che come costituente dei processi sociali, e, dall’altra, uno studio dei processi che possono solo essere sociali soltanto quando coinvolgono l’azione umana all’interno di uno spazio preciso. Werlen predilige l’investigazione dell’azione, piuttosto che il processo sociale, in cui lo spazio non è un oggetto presente a priori, ma ne diviene un frame materiale di riferimento per le azioni. In quest’ottica, la prospettiva proposta consentirebbe lo studio delle azioni all’interno di una concettualizzazione dello spazio che, considerando la sua materialità, consente di individuare contemporaneamente le implicazioni nella stessa materia dello spazio, ma anche con gli stessi attori che concorrono nell’azione: il passaggio da “oggetto” a “soggetto” consentirebbe uno studio che contempla le azioni soggette a forze al di fuori di un loro possibile controllo, in cui lo “spazio” non può essere automaticamente individuato349. Precedentemente, attraverso le parole di Luigi Mazza, è stata considerata una lettura lefebvriana del rapporto tra spazio e azione in cui “le relazioni sociali della produzione (dello spazio) esistono nella misura in cui sono spazializzate” e “proiettandosi dentro lo spazio, si iscrivono al suo interno mentre lo producono e riproducono”350. Werlen manifesta criticità verso un pensiero così strutturato. Tra i principali motivi identifica l’impossibilità di una spazializzazione dei contenuti delle relazioni sociali a causa dell’immaterialità degli stessi componenti della socialità che dovrebbero costituire un unico significato possibile. Personalmente si ritiene la declinazione del rapporto tra spazio e società così individuata una lettura della proposta di Lefebvre attraverso una relazione lineare e automatica della produzione e riproduzione dello spazio. Come successivamente Werlen sostiene, è più logico parlare di attribuzione di significato alla materia, che può risultare plurima. Senza dilungarsi all’interno delle diverse possibili argomentazioni a riguardo, si ritiene che non sia così evidente questo distaccamento dal pensiero
348 S. Ikeda in Urbanizing economics, Berlino, Springer, 2007, p. 215-216
349 B. Werlen in Society action and space: an alternative human geography, London, Psychology Press, 1993, p. 3-4
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di Lefebvre. La lettura che personalmente si ritiene più opportuna consiste nell’individuazione del ruolo del conflitto tra l’appropriazione dello spazio da parte di diversi gruppi sociali che tramite le loro azioni tendono a modificare lo spazio e, quindi a riprodurlo in conseguenza dei significati che si intende provare ad attribuire. Il pensiero di Lefebvre non sembra costituirsi in un punto inziale e finale, ma risulta meglio rappresentabile all’interno di un sistema circolare in cui spazio e società si influenzano a vicenda senza giungere ad una conclusione permanente: il ciclo e il cambio dei rapporti di forza all’interno di un conflitto tende a modificare lo spazio in ragione dei diversi significati che vengono attribuiti e, viceversa, lo spazio si promuove come contenitore che può adattarsi ai nuovi significati, senza automaticamente aprirsi totalmente ad una sua modifica, ma può fungere anche come fattore di resistenza di significati precedenti. Lo stesso concetto di “conflitto” non sottende automaticamente l’egemonia di un gruppo sociale rispetto ad un altro, ma risulta un concetto più aperto che può non concludersi in un’univoca attribuzione di significato dello spazio, il quale dipenderebbe dall’effettiva capacità di un determinato gruppo di sradicare la presenza di un significato senza che altri compartecipano nell’attribuirne altri, di simili o di diversi. Un’applicazione del modello EVL di Hirschman potrebbe dar spunti interessanti nel determinare, almeno a livello teorico, il riprodursi del conflitto e delle relative possibilità in merito al suo sviluppo.
Riprendendo il filo del discorso, risulta importante soffermarsi sulla differenza di opportunità tra “azione” e “comportamento” ed estinguere la confusione che, secondo Werlen, si sviluppa al suo interno. Semplificando il discorso allo scopo di giungere al punto di maggior interesse, uno studio delle attività umane attraverso il comportamento sottende un’osservazione della risposta degli stimoli, quando osservabile, all’interno di un sistema in cui determinati stimoli corrispondono risposte prevedibili e, quindi, il comportamento umano risulterebbe spiegabile all’interno di una selezione di stimoli derivanti dall’ambiente, sociale e costruito, che sono stati recepiti e si manifestano in un comportamento consapevole351. Diversamente, un’interpretazione delle attività umane attraverso l’”azione”, secondo Werlen, permetterebbe una più larga interpretazione in cui è compresente sia una situazione di riflesso agli stimoli che di intenzione nel quale l’attività risulterebbe cosciente, “liberamente” esercitata e orientata verso un obiettivo. L’attività costituita in azione risulta chiara nella lettura dello sviluppo delle sue fasi nella quale la formazione e la creazione dell’intento segue una interpretazione della situazione in cui si contestualizza e la determinazione degli obiettivi in funzione dei valori e norme. Quest’ultime di tramutano in azioni conseguenti all’obiettivo immaginato la cui implementazione può portare a conseguenze volute e a conseguenze non previste352. Questo punto appare particolarmente importante: le teorie “comportamentali” tendono a spiegare l’attività umana come frutto di un’intenzione diretta e intrisa di significato, viceversa una teoria basata sull’”azione” parte dal l’atomo
351 B. Werlen in Society action and space: an alternative human geography, London, Psychology Press, 1993, p. 9 352 B. Werlen in Society action and space: an alternative human geography, London, Psychology Press, 1993, p. 11
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del processo di socializzazione nello svilupparsi della sua presa di coscienza e nella sua implementazione353. Le conseguenze inattese diventano per Stefano Moroni una questione importante per comprendere le dinamiche del sistema del mercato urbano e della regolazione dell’uso del suolo e, come queste, entrerebbero in contrasto con una concezione della pianificazione razionalista. L’intento di Moroni risulta essere quello di far emergere l’esistenza di una disparità tra l’intenzione che muove gli attori e i risultati che essi ottengono e, quindi, l’emergere di “effetti collaterali” che non sono previsti e, tanto meno, prevedibili354. L’incongruenza che emergerebbe, tra intenzione e risultato, deriverebbe dalla possibilità di una limitata, e mai totale, capacità di previsionale e dalla presenza di un risultato che dipende largamente da una serie di reazioni combinate di natura casuale: le conseguenze inattese delle azioni possono verificarsi sia in senso negati che in un senso positivo.
Risulterà fin qui chiaro che un qualsiasi modello di ricognizione delle scelte delle attività umane richiederebbe il riconoscimento di una complessità difficilmente riscontrabile all’interno di una interpretazione puntuale. Di questo avviso sono le riflessioni di Juval Portugali e il suo focalizzarsi sulle “teorie complesse della città” attraverso, spesso, teorie di natura fisica. Un interessante paragone nel quale il comportamento della città si può comprendere richiama la teoria di Henri Bènard e la logica del comportamento dell’acqua scaldata dal basso:
<< all’inizio del processo, quando la differenza di temperatura tra il fondo più caldo e la superficie più fredda è bassa, il trasferimento del calore è osservabile tramite la conduzione, e non attraverso i macro-movimenti. Nel momento in cui la differenza di temperatura tra i due strati aumenta e raggiunge un determinato livello, il movimento all’interno del liquido diviene instabile, caotico e, alla fine, un appare uno schema notevolmente ordinato: le molecole che inizialmente si stavano muovendo in maniera casuale, all’improvviso mostrano un coerente macro-movimento che comprende un numero di molecole nettamente più grande rispetto il moto precedente. >>355
In quest’ottica l’ordine spaziale del liquido, e quindi l’ordine spaziale della città e della società, apparirebbe all’interno di una matrice spontanea, mediante un sistema autorganizzato, privo di momento di riposo ed equilibrio. La nozione di “sistema autorganizzato” propone, diversamente dalle osservazioni precedenti, una proprietà non causale in cui le forze che agiscono esternamente non determinano il comportamento, ma sostanzialmente forzano il sistema in un interno e indipendente processo di spontanea autorganizzazione356. All’interno di questa dinamica del sistema possono distinguere tre principali caratteristiche. La prima insiste sul fatto che il sistema è aperto e, quindi, parte di una
353 B. Werlen in Society action and space: an alternative human geography, London, Psychology Press, 1993, p. 13-14
354 S. Moroni in Land-Use Planning and the Question of Unintended Consequences, The Spatial Market Process, Emerald, p. 269 355 J. Portugali in Complexity, Cognition and the City, Berlino, Springer, 2011, p. 53
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ambiente e struttura spaziale e temporale che si mantiene, pur essendo lontano da condizioni di equilibrio che, come detto, dipende dal grado e livello del flusso di “energia”. Una seconda caratteristica vede nella forza autorganizzante la possibilità di “creare” o “inventare” una nuova struttura di comportamento. Un sistema autorganizzante, dunque, è anche un sistema creativo. L’ultima caratteristica comporta che il sistema autorganizzante è composto da parti così numerose da, da una parte, rende tecnicamente impossibile stabilire una chiara relazione tra esse e, dall’altra, l’interconnessione tra le componenti determinano un complesso network non lineare all’interno di un circuito di risposta e stimoli357.
Al termine di questa riflessione, l’analisi che seguirà non avrà in nessun modo la pretesa di riconoscere e, a suo modo, certificare il comportamento e l’andamento delle unità di analisi. Come si vedrà, i dati utilizzati non sono idonei a rappresentare, per quanto sia già complicata sia l’applicazione delle letture proposte nelle righe precedenti, un modello complesso, comprendente i motivi e le ragioni, delle dinamiche sociali. Si intende, appunto, l’analisi che verrà proposta all’interno di un livello indiziario che si pone l’obiettivo di rappresentare sinteticamente tale fenomeno dal lato del risultato, al di là che la moltitudine delle singole azioni sono soggette ad un grado di intenzionalità o che rientrino nell’insieme di “effetti collaterali” derivanti da pressioni esterne e dall’impossibilità di anticiparne il risultato.