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Il fenomeno delle coree può essere considerato una di quelle questioni complicate da capire. Come nota, John Foot82, miti e stereotipi hanno circondato e influenzato l’immaginario collettivo introno alla percezione del fenomeno: “in base a questo ‘mito’, la maggior parte di questi immigrati era costretta a vivere in quartieri autocostruiti, le coree, all’estrema periferia della città e nelle zone rurali dell’hinterland. Se è vero che molti costruirono le coree83, […] il numero effettivo di questo tipo di abitazioni esistenti nell’hinterland milanese verso la metà degli anni ‘50 era inferiore a quello delle baracche nel periodo postbellico della ricostruzione”. Quindi, la conformazione delle coree non deve essere confusa né con le stesse baraccopoli né, tanto meno, come borgate istituzionalizzate. Le coree sono sì strutture autocostruite, in cui solo circa 20% dei migranti trovava sistemazione84, ma hanno sembianze di vere e proprie case. Questo aspetto determina una prima differenza tra i migranti arrivati in città: la possibilità di costruire un alloggio per le proprie necessità richiedeva una possibilità di mobilitare un capitale economico non indifferente per sostenere il costo stessa costruzione. Questo aspetto permetterebbe di considerare l’abitante al di sopra di una situazione di povertà e, in posizione relativamente più agiata rispetto a quella di molti altri migranti giunti in città nel medesimo periodo. Il problema delle coree, se non può essere circoscritto nello status economico dell’abitante, si qualifica invece nella carenza di infrastrutture e servizi che, all’interno di una costruzione costruita in autonomia, non potevano essere finanziate. In breve tempo, comunque, divennero parte del tessuto consolidato della città. Tra le prime indagini volte a comprendere il fenomeno emerge lo studio condotto da F. Alasia e D. Montaldi nel 196085 che si interroga sulle dinamiche migratorie negli anni del “miracolo” economico con una particolare attenzione, appunto, verso questo fenomeno. Il suo svilupparsi, notano gli autori, deriva dall’emergere di un connubio di diversi fattori, due dei quali, come già accennato, la ricostruzione post-bellica e la spinta migratoria dal sud e dall’est d’Italia, a cui si aggiunge l’approvazione del Piano Regolatore del 1953. Quest’ultimo aspetto può essere considerato cruciale per la comprensione della dinamica dello sviluppo della Corea in quanto un terzo delle aree comprese nel piano apparteneva allo stesso Comune di Milano. La mancanza di una politica attenta sul piano dell’edilizia popolare ha favorito, appunto, le precondizioni per l’intensificarsi di una prima speculazione edilizia86. Dunque, l’immigrato che arriva a Milano si adatta in cerca di un posto per dormire e nel momento in cui trova un posto di lavoro si organizza per far arrivare il resto della famiglia. Nel frattempo, avendo liquidato nel paese di origine i suoi averi si trova un piccolo capitale in

82 J. Foot in Milano dopo il miracolo. Biografia di una città, Feltrinelli, Milano, 2015, p. 58

83 John Foot afferma che secondo le stime più recenti almeno 70.000 persone abitavano in questo tipo di alloggio nei primi anni ’60. 84 John Foot fa riferimento a ricerche svolte da Meneghetti.

85 Si fa riferimento al testo Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati negli anni del “miracolo”, Feltrinelli, Milano, 1960. 86 F. Alasia e D. Montaldi in Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati negli anni del “miracolo”, Feltrinelli, Milano, 1960, p. 57

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mano87. Per la sua sistemazione, l’immigrato si trova di fronte ad un dilemma: abitare a Milano o fuori Milano? Nel primo caso l’immigrato rischia di sentirsi escluso88 e i pochi soldi disponibili verrebbero utilizzati per pagare l’affitto di un anno e in “buone uscite”, anticipi e altri “diritti”. Costruire un’abitazione in periferia sarebbe comunque troppo oneroso per le tasche dell’immigrato, oltre che correre un maggior rischio di incorrere in multe e fogli di via. La carriera dell’immigrato nella città rischia di essere provvisoria e precaria. Di conseguenza, l’immigrato predilige una sistemazione fuori da Milano, ma in una posizione vicina alle arterie di trasporto che li permetterebbero un rapido accesso alla città: se il fenomeno della Corea non è un fenomeno prettamente della città di Milano, resta sicuramente una dinamica influenzata dalle dinamiche interne alla grande città e, sicuramente, orientata verso di essa. L’intento principale dell’immigrato, quando possibile, è quella di proseguire l’aspirazione contadina di avere una propria abitazione e, quindi, tende a investire il capitale frutto di generazioni di fatica non in carta bollata concessagli da un padrone di casa, ma in qualcosa di proprio. Acquistare i terreni fuori da Milano e lontano dai paesi permetteva non solo un dispendio economico contenuto con una spesa di 200 lire al mq89, ma anche un maggior disinteresse per la miseria e le condizioni di vita dell’immigrato90. Con l’acquisto di circa 200 mq di terreno, comprato a cambiali, la casa viene costruita con le proprie mani o con l’aiuto di un muratore: in breve tempo il valore del terreno costruito raddoppia o triplica l’investimento iniziale avviando così un guadagno speculativo anche da parte dell’immigrato. Il costo di abitare in Corea sale, ma resta conveniente rispetto il dispendio economico di vivere in città. La casa nasce come un cubo di cemento, ma è la cantina, da dove inizia la casa, ad essere la parte più importante in quanto permette di locare in affitto una famiglia che non ha le risorse per potersela costruire una casa. Il padrone di casa vive al pian terreno, mentre, la presenza di una terrazza, permetterebbe, se la situazione economica prosegue per il verso giusto, la costruzione in un altro locale utile e adatto ad accogliere un’ulteriore famiglia in locazione. L’acquisizione della residenza diviene un fattore pressante per la vita dell’immigrato giunto a Milano. La costruzione della Corea, o lo stesso vivere in Corea, permetteva un più facile accesso alla residenza. Al tempo, i piccoli comuni nell’hinterland milanese avevano un atteggiamento paternalistico rispetto le necessità del migrante, la residenza veniva rilasciata sia in caso di alloggio in cantina, aspetto tendenzialmente negato per motivi igienici a Milano, e anche quando la casa era in via di costruzione.

87 F. Alasia e D. Montaldi valutano il capitale disponibile introno alle 300 e le 400 mila lire, oggi equivalenti ad una somma di circa 6.000 €. 88 Il film Rocco e i Suoi Fratelli di Luchino Visconti, in alcune sue parti, fa emergere lo scontro culturale e di abitudini nel rapporto tra le persone. 89 200 lire del 1951 equivalgono oggi a circa 170 €.

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