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5.2 RIGENERAZIONE URBANA E NUOVI SPAZI PER L’ECONOMIA CREATIVA

Finora si è parlato della nuova economia creativa e della conoscenza come un elemento fondamentale per la rinascita della città e per la prosperità economica, lasciando intuire i meccanismi che l’hanno generata e tralasciando la sua spazializzazione nella città stessa, dei luoghi nel quale si materializza e della modalità attraverso la quale di organizza. Bruzzese individua in specifici settori dell’economia milanese una propensione e ricerca della creatività e della conoscenza: dalle più generali attività manifatturiere a quella dei servizi all’informazione e alla comunicazione, fino ad

176 M. Bolocan Goldstein in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 42 177 I. Mariotti in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 48

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arrivare alle attività scientifiche, professionali e tecniche, tra cui ingegneria e architettura, e delle arti, sport e intrattenimento179. Tali settori della creatività e della cultura si intersecano nell’economia della città dando luogo alla “capitale della moda”, rappresentato dal Quadrilatero della moda nella zona centrale della città, e del Design, con sede nell’esibizione alla Fiera e del Fuorisalone, quest’ultimo disperso in diverse zone della città. Balducci nota anche come l’industria creativa sia profondamente radicata nello stesso sistema educativo e di formazione professionale e di come essa si sia specializzata nei servizi avanzati che, negli ultimi decenni, hanno intensificato la loro presenza in città. A partire dagli anni ’50, infatti, il legame tra talenti, mestieri, capacità manifatturiere e innovazione industriale ha creato un contesto fertile, nell’intera Lombardia, fatto di partnership tra piccole e medie imprese e mestieri, organizzati spesso in distretti produttivi localizzati180.

La presenza di termini eterogenei che vanno a configurare il fenomeno, come distretto creativo/culturale, quartiere creativo o cluster, fanno specifico riferimento all’eminente presenza di artisti o di una classe creativa e alla presenza di specifiche industrie e funzioni culturali e di intrattenimento a loro legate: l’insieme degli elementi disegna un ambiente di vibrante atmosfera181. Come visto e ripetuto più volte, la capacità del settore creativo di sostituire le forme tradizionali e di colmare, adattandosi, gli spazi vuoti e vaganti, diventando sia luogo della produzione che del consumo, non solo permettono di cambiare aspetto allo spazio, ma nella sostanza è in grado di cambiare reputazione allo stesso quartiere ospitante. A tal proposito, Bruzzese nota come la concentrazione urbana della creatività sia il risultato di una trasformazione urbana sia materiale che immateriale, in cui gli interventi fisici sull’edificio e la brandizzazione dello stesso edificio, divengono elementi chiave per rendere lo spazio conosciuto e riconosciuto come “spazio creativo”. All’interno di questa concentrazione urbana si possono denotare condizioni spaziali ed elementi qualitativi ricorrenti. Dal punto di vista delle condizioni spaziali, la concentrazione creativa predilige zone semicentrali della città, in una posizione intermedia tra il centro storico e la periferia, dove il costo dell’affitto tende ad un livello medio/alto. In particolare, l’edificato individuato per accogliere la funzione creativa evidenzia una predizione di edificio medio/piccoli, appartenenti a funzioni produttive di metà XVII secolo ed aventi costi di trasformazione abbordabili, localizzati in contesti urbani eterogenei nell’uso dello spazio e delle funzioni. La presenza di aree e edifici in attesa di trasformazione, dopo un primo intervento di trasformazione può essere pioniere per altri all’interno di un sistema che, in breve tempo, ridefinisce uno spazio più ampio dell’edificio stesso182. Come anticipato, Bruzzese si sofferma anche su gli aspetti qualitativi emergenti che, pur essendo aspetti immateriali, giocano un ruolo importante nel definire la natura della “concentrazione creativa” del processo di rigenerazione e della percezione conseguente. Tali elementi immateriali si

179 A. Bruzzese in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 61-62 180 A. Bruzzese fa riferimento, ad esempio, alla fornitura di legno nella zona della Brianza.

181 A. Bruzzese in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 63 182 A. Bruzzese in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 64

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ritrovano nella stessa reputazione delle attività creative che si insediano in una determinata area e che possono essere in grado, a loro volta, di attrarre attenzione sia in considerazione di altri elementi della creatività che nell’attivazione di iniziative ed eventi temporanei. L’utilizzo del brand e della sua promozione alimenta la rappresentazione e la reputazione della stessa area ospitante e, in conseguenza, riconosciuta come spazio creativo all’interno di una mappa mentale della città. Bruzzese evidenzia come la geografia creatasi mostra un’interessante dinamica tra la localizzazione della produzione creativa e la presenza di eventi temporanei con gli eventi organizzati come la Design Week o la Fashion Week e il Fuorisalone che, alimentando l’impatto della presenza di visitatori e, almeno temporaneamente, ridisegnano il sistema di centralità della città. L’insieme di questi elementi, materiali e immateriali, hanno modificato l’immaginario di alcune parti della città. Esempi chiari di questa tendenza si ritrovano in Porta Genova e Tortona, Lambrate-Venturi, Bovisa, Porta Romana e, infine, Isola183:

- Tra le più evidenti manifestazioni della rigenerazione urbana attraverso l’industria creativa si trova nell’area tra Porta Genova e Tortona, diventato noto come quartiere del design e luogo chiave del Fuorisalone, e oggetto di una rigenerazione urbana incentivata da attori privati a partire degli anni ’80. Infatti, l’area si colloca in quel che era considerabile come un quartiere periferico, in prossimità della linea ferroviaria e in presenza di una quantità considerevole di edifici industriali e manufatturieri. Il cambio di paradigma economico e il lascito di edifici in disuso ha lasciato spazio alla possibilità di intraprendere attività diverse. Il pioniere, almeno per quest’area, è stato uno studio di fotografi nell’ambito d’arte e del design, al quale, poi, sono seguiti altri progetti di trasformazione inerenti ad importanti brand della moda, fino alla presenza di due musei, Armani e MUDEC, e ristoranti e bar di tendenza. In circa 30 anni, la configurazione dell’area ha cambiato aspetto.

- Ventura-Lambrate, invece, pur essendo un contesto simile a Porta Genova-Tortona, ha subito un processo di rinnovamento differente, sia per intensità che per le tempistiche. Il recupero della Faena nei primi anni del 2000 può essere considerato come intervento pioniere per la rigenerazione dell’area che, a differenza del caso precedente, si attesta come centralità temporanea in occasione del Fuorisalone. Tale prima iniziativa temporanea ha dato il via ad un processo di rigenerazione di alcuni edifici industriali in loft, gallerie d’arte e studi, generando una diversa reputazione del quartiere. La presenza di impianti industriali di grande dimensione richiede però interventi di più ampio impatto economico e un diverso tipo di attore.

- Il quartiere Bovisa vede la sua rigenerazione attraverso la collocazione del nuovo campus universitario del Politecnico di Milano che ha portato, all’interno di un contesto sociale particolarmente identitario della tradizione industriale, un considerevole numero di studenti. Questo fenomeno ha dato il via ad una serie di micro-trasformazioni volte a dare servizi agli studenti, insieme a piccoli interventi per la produzione creativa, adatti ad accogliere nuovi utenti e abitanti, oltre che eventi che riconfigurano la precedente tradizione industriale.

- Porta Romana è un contesto dinamico di recente formazione, anch’esso adiacente alla linea ferroviaria e composto da un mix residenziale e piccole spazi produttivi sottoutilizzati. L’evento scatenante è stata la scelta localizzativa dell’attore privato Fondazione Prada, attratta dall’accessibilità dell’area, e della concomitante politica pubblica inerente alle questioni sulla smart city. L’avvento della Fondazione Prada ha rivalutato la collocazione dell’area, attraendo persone e nuovi potenziali attori.

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- Il quartiere Isola, a differenza degli altri casi elencati, non è una zona considerabile periferica e la presenza di edifici produttivi è limitata, ma risulta un quartiere in cui la presenza di piccole attività manuali e commerciali è elevata. La rigenerazione dell’area industriale dismessa, il progetto di Porta Garibaldi, adiacente al quartiere ha generato un fenomeno di attrazioni di attività più profittevoli della produzione creativa che sono subentrate e sostituito le vecchie attività.

Se da una parte Bruzzese sofferma la sua attenzione su come la riqualificazione di distretti produttivi dismessi o sottoutilizzati da parte dell’industria creativa sia stata in grado di promuovere una percezione diversa dell’area in cui si insediano, Carolina Pacchi si concentra su come gli spazi del lavoro si sono adeguati al nuovo contesto economico. Infatti, la crisi dell’industria tradizionale e i processi di deindustrializzazione partiti negli anni ’70, segnano anche una nuova possibile relazione tra spazio urbano e forma di produzione in cui “la conoscenza ha la tendenza a crescere in maniera indefinita, nell’essere continuamente rimodellata in un insieme virtualmente infinito di modi possibili”: un nuovo tipo di economia urbana si sta sviluppando attraverso nuovi spazi del lavoro in cui la concentrazione della conoscenza, della produzione e dello scambio di informazioni si basano su una dimensione relazionale e collaborativa184. Pacchi intravede nel processo di economia condivisa una possibile rivoluzione nel quale i modi di produrre e consumare si basano maggiormente su una relazione orizzontale e solidale in un mercato dall’attitudine più “democratica” nel quale, la presenza di freelancer e di un mercato del lavoro fragile, determinano la necessità di un nuovo e diverso spazio del lavoro nell’ambiente urbano185. Come detto in precedenza, la deindustrializzazione insieme alla capacità di resilienza della città, ha permesso di mantenere una struttura economica eterogenea e un limitato calo occupazionale. Tra gli anni ’90 e la crisi del 2008, l’assenza di una chiara agenda pubblica che dettasse una direzione, ha visto il settore della produzione creativa e culturale come uno dei settori trainanti per numero di attività, posti di lavoro e trasformazioni fisiche e urbane, insieme ad altri settori specializzati. La crisi ha avuto anche il ruolo di stimolare e accelerare il processo di mutazione dello spazio del sistema produttivo, spingendo e influenzando l’innovazione di tali spazi nella ricerca di nuova, giovane e altamente qualificata forza lavoro in cerca di un posto186. Infatti, Pacchi nota come negli ultimi anni in Milano hanno preso piede una varietà di luoghi di lavoro che sperimentano nuovi modi di connettere il processo di produzione con forme orizzontali si scambio solidale e comunitario interpretati dagli spazi per il co-working, makerspaces e altri spazi ibridi per la produzione culturale e creativa in cui risulta frequente il riutilizzo di spazi industriali o pubblici dismessi. La loro diffusione trova la principale ragione in una maggior possibilità di connessione tra lo scambio delle conoscenze e della collaborazione, all’interno di una presenza ravvicinata tra lavoratori e nell’emergente bisogno di spazi del lavoro non tradizionali. La possibilità di relazione e la costruzione di una comunità spazialmente concentrate permette un più facile contatto e incontro con nuovi clienti e una più ampia

184 C. Pacchi in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 73 185 C. Pacchi in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 73-74 186 C. Pacchi in Milan: productions, spatial patterns and urban change, London, Routledge, 2017, p. 75

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possibilità di strutturare progetti più complessi, esplorando conoscenze e tecniche differenti in rafforzamento della rete sociale di conoscenze. Osservando la loro distribuzione spaziale nella città di Milano, Pacchi sottolinea come i coworking, e più generalmente gli spazi di cooperazione, siano concentrati in tre aree principali: Isola-Porta Nuova- Sarpi, Porta Genova- Tortona-Navigli e, infine, nella zona di Loreto-Padova-Lambrate.

La diffusione di questi nuovi spazi del lavoro che si differenziano per l’organizzazione, la dimensione e la localizzazione, conclude Pacchi, evidenziano un profondo mutamento nella relazione tra forma e produzione, spazio urbano e organizzazione sociale locale dal quale emergerebbero due questioni principali: una politica e una specificatamente urbana. La questione politica riguarda la crescente disuguaglianza sociale e la segregazione spaziale di popolazioni considerate fragili nella città contemporanea. Pacchi riscontra la possibilità che tale popolazione fragile e precaria, nonostante le abilità e le conoscenze, all’interno di processi di economia condivisa possa risultare uno elemento che accentua le disuguaglianze economiche e sociali, piuttosto che elemento di una risposta in controtendenza: le tensioni tra inclusività, l’aspetto di condivisione, e l’esclusività, la competizione, possono precisare meglio la tendenza in atto. L’altra questione considera lo spazio urbano e l’abilità dello spazio condiviso di impattare positivamente nel suo contesto di appartenenza e nella sua capacità di diffondere pratiche e iniziative inerenti alla condivisione comunitaria e allo scambio di conoscenza e informazioni. Pacchi nota come, però, sussista una difficoltà e debolezza nella capacità di questi spazi di diventare un attore chiave nella scala di quartiere e locale e solo alcuni di questi, quelli più ibridi, hanno effettivamente un grado di apertura verso la città. Per una maggior apertura Pacchi sostiene la necessità di un maggior supporto pubblico sia dal punto di vista della fragilità degli attori che li popolano che per forzare una loro maggior diffusione187.

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