Nonostante la chiara dinamicità del contesto milanese, Pasqui riconosce che nel dibattito disciplinare nei diversi campi del sapere la presenza nelle tematiche emergenti a Milano di un “qualcosa che non va”: i temi che puntualmente tornano sembrano disegnare un’immagine di città dinamica, ma priva di una strategia unitaria e della capacità di fare sistema per competere a livello internazionale nell’attrazione di funzioni rare. Nell’ottica di Pasqui emerge l’ipotesi che il crollo del sistema di regolazione politica nella prima metà degli anni ’90, in cui si è vista La perdita di una coalizione forte per lo sviluppo urbano una progressiva frammentazione degli interessi, e quindi, della capacità di costruire strategie di sviluppo e di coesione capace di dare una visione solida tra le forze economiche, istituzionali e la società. L’ipotetica crisi della Milano strategica è ricade nei suoi processi di mutamento, visibili e non, in cui la materialità delle trasformazioni fisiche di vita di chi vive la città si allontana dalle immagini consolidate, oggi meno pertinenti. Lo stesso ciclo della transizione economica, come detto, ha portato ad una terziarizzazione della città che non esclude la presenza consistente di dinamiche di terziario tradizionale e manifatturiero. La stessa trasformazione economica consiste anche in una profonda riorganizzazione degli assetti sociali che, oltre alla riorganizzazione delle forme di lavoro nel loro rapporto tra spazio e tempo, si manifestano in una nuova struttura delle famiglie, una nuova presenza di popolazione straniera e la riarticolazione delle relazioni tra popolazioni stanziali e ad una più forte mobilità: nuovi e vecchi meccanismi suscitano una polarizzazione sociale di “esclusi”. La compresenza di declino e segni di innovazione, suggerisce Pasqui, rende difficile parlare generalmente di crisi in cui, però, resta osservabile una ciclo di transizione lunga che risulterebbe in parte connessa alla disarticolazione degli equilibri della società fordista in conseguenza dei fattori globali e della nuova mutazione delle relazioni tra spazio e attività economiche, delle dinamiche dell’innovazione tecnologica e dei flussi migratori e della riorganizzazione delle forme di competizione territoriale nell’appropriarsi dei vantaggi localizzativi e competitivi. Questo nuovo aspetto metterebbe in risalto la necessità di indagare i fenomeni riguardanti la riarticolazione delle reti di relazioni tra le imprese e l’intreccio complesso tra produzione di beni ed erogazione di servizi in conseguenza delle nuove forme del lavoro e il crescente peso dell’economia della conoscenza nella produzione del reddito e dei profitti e l’effetto nella rimodulazione della stratificazione sociale nella produzione di disuguaglianze e di disagio sociale. Lo svilupparsi e il riprodursi di queste
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dinamiche sono riscontrabili nella trasformazione degli spazi che permette il riconoscimento delle “tipologie di luoghi”: i luoghi dell’innovazione, del ristagno e del disagio.
- I luoghi in cui l’innovazione avviene sono le strade del mercato e i centri commerciali, le aree dismesse recuperate o in via di recupero, alcuni nodi del sistema infrastrutturale e i nuovi poli del loisir e del tempo libero; oltre che i grandi parchi metropolitani. Sono anche le nuove aree per la piccola e media impresa innovativa e gli incubatori di start up, le nuove sedi universitarie e le stesse imprese artigianali e industriali che si inseriscono nella periferia o l’edilizia di qualità utilizzata per scopi culturali, senza che ci sia una geografica prestabilita. A questi processi si associano manifestazioni di filtering up e gentrification, in particolare nel comune capoluogo.
- I luoghi della stagnazione sono i luoghi banali caratterizzati da un uso tradizionale dello spazio come le zone residenziali senza particolari cambiamenti dal punto di vista sociale e della popolazione, le zone a destinazione terziaria e commerciale tradizionale o adibite a magazzino o utilizzate dalle piccole imprese di “prima cintura”, in cui si manifestano processi di filtering down e di degrado. - I luoghi del disagio, invece, sono presenti in alcune periferie storiche fortemente degradate, ma anche in alcune zone centrali, in cui sono presenti fenomeni di disagio abitativo e di occupazione abusiva in cui risulta forte la percezione di fragilità ed insicurezza. Sono spazi “contesi”, in cui esiste un conflitto anche etnico o generazionale, ma sono anche le aree dismesse abbandonate al degrado.
Una mappatura degli esempi porterebbe una osservazione che non sarebbe più compatibile con una lettura “a centri concentrici” dei processi di innovazione sociale e territoriale. Essi si susseguono lungo direttive inedite, sovrapposte e sfumate in una pluralità di contesti in una concezione diversa di ciò che è considerabile periferico. Per Pasqui, la questione del rapporto tra il problema del governo e la manifestazione dell’innovazione necessita del bisogno di partire dalla ricostruzione delle dinamiche in atto da cui sarebbe possibile, oltre che necessario, pensare forme, contenuti e progetti per strategie di coesione e sviluppo coerenti e in grado di costruire strategie di governo di assumere capaci di assumere e utilizzare la complessità come una risorsa per la governance. Il cuore della questione, prosegue Pasqui, sta nel riconoscere la forza e limiti degli interessi economici e sociali rappresentati dalla società civile e del ruolo istituzionale che è stato meno capace di garantire una produzione efficiente ed efficace degli aspetti pubblici e della produzione di capitale fisso sociale e infrastrutturale in cui la povertà delle politiche, che non viene intesa come scarsità numerica, è latente nella capacità di interpretazione dei processi trasformativi in atto. Tre sono gli esempi riscontrati da Pasqui:
- L’insistenza di una cittadella della moda nell’area di Garibaldi Repubblica quando lo stesso settore della moda aveva già prodotto una “città della moda diffusa” in via Savona, via Tortona e corso XXII Marzo.
- L’affidamento a Renzo Piano di un progetto di ristrutturazione del quartiere Ponte Lambro del tutto estraneo alle dinamiche sociali interne ed emergenti dal basso.
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Per pasqui, la povertà delle politiche è anche diretta conseguenza della crisi dei partiti come effettivo mediatore degli interessi sociali e della scarsa capacità degli stessi attori sociali e istituzionali a pensarsi come attori di governo.