Nel paragrafo precedente si è provato a dare spiegazione del cambiamento sostanziale che ha introdotto quel che viene oggi definita come “contemporaneità”. All’interno del paragrafo che segue, l’intenzione sarà quella di entrare maggiormente nel merito della questione urbana che, nel capitolo precedente si è predisposta su una linea generale, con l’obiettivo fornire ulteriori spunti di riflessione per comprendere la complessità del sistema urbano in atto. Il discorso si era interrotto su due aspetti concomitanti della ristrutturazione economica: la crescente importanza dell’economia della conoscenza e della cultura, all’interno di una stratificazione del sistema produttivo in cui i settori chiave includono un’elevata intensità tecnologica e creativa e uno strato più basso di lavoro manuale, e dall’atra, l’emergere di un complesso processo di globalizzazione in cui la città ha accesso ad una vasta gamma di mercati60. La geografia del vecchio modello di sviluppo si sosteneva su un modello di centro-periferia in cui, generalmente, nelle aree metropolitane del capitalismo avanzato, la periferia veniva concepita come luogo di lavoro a basso costo in conseguenza dello sviluppo sbilanciato della città. Le teorie emergenti negli anni ‘8061 intravedevano la transizione del modello di sviluppo dalla città in un rinnovato ruolo del centro, specializzato nelle funzioni terziarie, e una periferia abitata da una vasta riserva di lavoro operario standardizzato. Le teorie più recenti, a partire dagli anni ‘9062, si basano invece su l’affermazione di una nuova economia della cultura e della conoscenza, legate ad attività di servizio poco
59 Harvey fa riferimento ad un articolo del Financial Times del 5/87 in riferimento all’attività bancaria. 60 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 39-40
61 Scott fa riferimento al modello di Frobel, Heinrichs e Kreye. 62 Scott fa riferimento al lavoro di Gereffi e Schmitz.
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qualificanti e direttamente collegate allo sviluppo del Terzo Mondo, mentre molte aree dell’ex prima periferia diventano fulcro della produzione altamente qualificata. Il legame tra centro e periferia si internazionalizza in una geografia che vede un mosaico di città globali, motori economici e politici mondiali, relazionate in termini di competizione e collaborazione all’interno dei diversi settori economici. Se nell’epoca fordista l’economia nazionale e lo stato dominavano l’assetto sociale e politico, nella nuova geografia della globalizzazione le città ritrovano un ruolo preponderante nel nuovo sistema politico ed economico. Il cambio di geografia politica ed economica impone alle città, e alla regione produttiva direttamente connessa, sperimentazioni sociali nel tentativo di ricercare e consolidare i propri vantaggi competitivi nell’ambiente difficoltoso delle regole dell’economia globale, in cui i governi sono sempre meno capaci di sostenere interessi regionali e settoriali e nel quale le istituzioni locali ricercano assetti in grado di rispondere efficacemente ai cambiamenti in atto. Le città provano a costruire le basi della propria competitività e per evitare le conseguenze negative dell’immobilità. Questo particolare aspetto del rischio di immobilità è stato colto chiaramente da E. Gleaser e nel suo interrogativo sui motivi per cui le città subiscono un declino ricorrendo alla storia di Ford e Detroit:
<<Ford utilizzò l’esperienza e il know-how che ottenne dall’esperienza nella fabbrica Edison per incominciare a pensare al veicolo a motore. […] Detroit sembra che avesse un particolare genio per l’automobile ad ogni angolo della città. Ford, Ranson Old, the Dodge Brothers, David Dundar Buick e I Fratelli Fisher lavoravano tutti nel settore automobilistico. […] Gradualmente le macchine Ford divennero più economiche e veloci […]. La linea di assemblaggio di Henry Ford è l’esempio della strana creatura che è idea di creazione-distruzione. Mentre l’informazione tecnologica sembra incrementare il ritorno economico della conoscenza, i macchinari che riducono il bisogno di ingegno umano lavorano nella direzione opposta. Trasformando l’essere umano in un semplice ingranaggio all’interno di una grande impresa, Ford rese la forza lavoro altamente produttiva senza la necessità che essi avessero una conoscenza elevata. Ma nel momento in cui le persone necessitano di conoscere poco, viene anche a meno la possibilità per la città di accedere alla conoscenza più distribuita. Quando una città crea una sufficiente capacità di creatività distruttiva, lei stessa si organizza nel sistema di distruzione. Ironicamente, la tragedia di Detroit sta nelle sue piccole, dinamiche e indipendenti produttori che diedero vita ad una gigantesca e totalmente integrata fabbrica automobilistica che divenne poi sinonimo di stagnazione […] e rese Detroit economicamente debole nel lungo periodo.>>63
Gleaser enfatizza molto su questa congiura. Lo stimolante ambiente che ha permesso alle menti di fiorire ed introdurre innovazioni ha interrotto il suo naturale percorso con l’impostazione del lavoro fordista e la decadenza della capacità
63 E. Gleaser in The triumph of the city, Macmillan, Londra, 2011, p. 46 a seguire. Si tenga in considerazione anche il capitolo inerente al successo delle città, oltre a quello relativo al declino per comprendere al meglio ragionamento proposto.
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umana di cercare nuove soluzioni in presenza di un ambiente che ha perso la capacità di stimolare la mente. Ciò comporterebbe una maggior difficoltà nel superare le situazioni difficoltose, come è stato il cambio dell’economia trainante che ha portato modifiche nella geografia politica ed economica a partire dagli anni ’70, di cui si sono già esposti i principali motivi64. Per tale scopo, i processi politici di urbanizzazione contemporanei tendono a concentrare le loro forze nel seguire tre linee principali che diventano fondamentali per capire l’attuale coniugazione della questione urbana. Allen J. Scott a tal proposito individua tre differenti aspetti di tale tendenza:
- L’adeguamento alla nuova economica della cultura e della conoscenza ha dato vita a nuove fasi di crescita e differenziazione delle maggiori aree metropolitane.
- Allo stesso modo, nuove forme di competizione e concorrenza su scala globale ha reso necessario e stimolato risposte istituzionali sperimentali e innovative.
- In molti paesi capitalistici si è vista una svolta neoliberista e un crescente clima di austerità fiscale e una massiccia ritirata del pubblico, con la fine delle politiche keynesiane come conosciute, e una stretta sulle politiche redistributive nazionali e locali.
La simultaneità dei processi diventa un punto di riflessione per capire le implicazioni sulle trasformazioni che stanno avvenendo e che spiegherebbero la nuova geografia economica e l’equilibrio dei poteri risultante. Il tessuto urbano è da sempre stato soggetto, come si è visto, di interventi diretti o indiretti posti su livelli differenti che possono riguardare questione esplicitamente urbane, come possono essere i progetti di rinnovamento o iniziative di sviluppo economico, ma possono riguardare anche un ibrido in cui interessi esplicitamente urbane e non, come le politiche keynesiane nazionali, possono avere una connotazione e un riflesso urbano, generando ricadute secondarie su di essa. L’urbano, non solo diviene l’esito del mercato basato sulle scelte e azioni individuali, ma si nutre anche di una serie di dilemmi politici a cui le sinergie latenti, le tensioni politiche, i conflitti sociali richiedono rimedio all’interno delle decisioni pubbliche e delle azioni collettive all’interno di una ricerca di efficienza, praticabilità e vivibilità del sistema urbano. All’interno di questa logica, è identificabile come il processo di urbanizzazione sia espressioni delle relazioni sociali e dei rapporti di proprietà del capitalismo, radicati in una complessità urbana che genera opportunità e problemi, oltre che vincoli, rispetto a ciò che è possibile realizzare65. Allen J. Scott, in tal senso, si concentra su come la genesi e l’evoluzione della città può essere ricondotta alla logica delle dinamiche economiche, di cui i relativi scambi e le relazioni di forza fanno da protagonista e come le specificità storiche e geografiche possono determinare importanti drivers per la crescita economica futura quando esse risultano concentrati, multipli e integrati in un sistema di mutuo vantaggio. Questi aspetti fondativi risulterebbero originati dal tessuto delle relazioni economiche che, operando in uno
64 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 48 65 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 53-54
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spazio geografico, costituiscono cluster di attività sul territorio e danno vita relazioni di diversa intensità e combinazione, tra i quali66:
- Network di unità di produzione specializzate ma complementari che si trovano nel cuore pulsante della città: al suo interno si formano interdipendenze legate al commercio che assicurano a gruppi selezionati di produttori ti trovare localizzazioni vicine. Il commercio al dettaglio e i servizi alla persona risulterebbero come un nocciolo duro di produttori tenuto insieme da vari tipi di transizione, oltre a essere semplici bacini di lavoro a basso costo.
- Gli sfaccettati mercati locali del lavoro che tengono insieme spazio della produzione e spazio sociale: presenza di sottoinsiemi connessi che collegano differenti segmenti di spazio e funzioni dell’economia urbana in cui l’informazione utili sulla possibilità e condizioni di impiego circolano facilmente come la possibilità di apprendimento della stessa forza lavoro, all’interno degli specifici attributi territoriali.
- Gli effetti di innovazione e apprendimento che quasi sempre si generano nelle numerose interazioni socioeconomiche presenti nei sistemi locali di produzione e nel relativo mercato del lavoro: un campo creativo in cui individui o gruppi possono acquistare nuove idee che in termini cumulativi può costituire processi di importante avanzamento per la capacità competitiva dell’economia locale.
L’efficienza legata alle transazioni e agli effetti di rendimento crescente generati in questo modo verrebbero sostenuti reciprocamente, favorendo condizioni grazie alle quali si innescano processi causali cumulativi. In tali processi, le imprese e lavoratori addensandosi producono ulteriori aggregazioni temporaneamente interdipendenti in cui la presenza di mercati esterni in espansione tenderà ad irrobustire i sistemi interni di produzione locale. Viceversa, la presenza di esternalità negative, ne limita la possibilità di crescita. In questo caso, i pianificatori saranno impegnati nel tentativo di mitigare gli effetti. Scott osserva che all’interno di crescenti condizioni di globalizzazione del mercato, i cluster produttivi di questo tipo funzionano come network di relazione competitive e cooperative in cui il vantaggio delle dotazioni naturali è progressivamente superato da vantaggi competitivi socialmente e politicamente costruiti, radicati nella logica stessa del processo di urbanizzazione descritto67. Il dilemma del riordino del sistema urbano, e del suo essere medium, richiederebbe nuovi e particolari imperativi operanti orientati simultaneamente sulla dimensione urbana e non urbana in cui la mobilità di risorse sono rivolte al consolidamento di vantaggi potenziali, al coordinamento della vita e dello spazio urbano. Particolare prerogativa, oltre a limitare gli impedimenti per la crescita economica, risulta la ricerca di obiettivi strategici che risulterebbero deboli o inesistenti se prevalesse una mera logica di mercato. In epoca fordista, da questo punto di vista, le politiche keynesiane cercavano di alleviare i malfunzionamenti derivanti dal sistema di produzione di massa che, generalmente, venivano tradotte in un’ottica di rafforzamento delle infrastrutture viabilistiche e in un incremento degli alloggi attraverso il risanamento e l’espansione urbana. La stessa logica si codifica nella città contemporanea in una stessa necessità di porre correttivi al “disordine urbano”
66 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 55-56 67 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 57
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determinata nel predisporre lo spazio ai nuovi processi di urbanizzazione assicurandone i profitti economici che, in assenza di determinate azioni farebbero fatica ad emergere. La variazione dell’assetto socio-economico, che come si è cercato di spiegare ha messo in crisi il sistema keynesiano a partire dagli anni ’70, ha destabilizzato i riferimenti sulla quale i policy making basavano il proprio lavoro e, di conseguenza, si è limitata la capacità di contenere e rispondere alle nuove minacce ed opportunità introdotte dalla globalizzazione. Lo stesso cambio della prospettiva economica ha incrementato la tendenza al neoliberismo e ad una sempre meno propensione, o possibilità, di costruire politiche attente sotto la pressione dei cambiamenti economici e sociali ma che, viceversa, sperimento iniziative per assicurare prosperità per il futuro dei settori attualmente definiti strategici e, quindi, teoricamente competitivi.
In concomitanza, oggi le punte di maggior innovazione e crescita economica si verificano nei settori in cui il capitale umano è determinante e in cui le capacità tecnologiche crescenti diventano un requisito improrogabile per il successo competitivo delle aziende, ma più in generale, per il territorio. La creazione di determinati cluster ad alta intensità tecnologica e di capitale umano, che nelle principali aree urbane si caratterizzano per densità e specializzazione in particolare aree del tessuto urbano, sviluppano una forza centripeta che si rafforza attraverso il numero di relazioni che sono in grado di sviluppare al loro interno in cui il di competizione e incertezza, caratteristici del settore economico trainante, si basa sulle regole dell’economia globale. Ne consegue che il successo di questi cluster sia di particolare rilevanza per lo stesso sistema economico e per le finanze pubbliche, gli stessi amministratori si fanno portatori delle stesse promesse di crescita nell’immaginario di un nuovo sviluppo economico locale68. Negli anni recenti, infatti, si è visto un tentativo da parte dei policy maker di identificare come punto di riferimento nell’agenda urbana una particolare attenzione verso i settori creativi e della conoscenza non solo perché essi offrono occupazione specializzata e redditizia, ma rientrano anche in un’ottica di basso impatto ambientale e sono fonti di prestigio per il marketing territoriale. Diverse città hanno incanalato nei loro sforzi di spesa pubblica esperimenti volti a concettualizzare efficaci politiche di competitività locale in tali settori, e a quelli direttamente collegati, all’interno di una logica di accrescere la propria funzione di centri di influenza globale nell’aspettativa di attrarre investimenti dall’estero e una migrazione d’élite69. Scott osserva come l’economia della cultura e della conoscenza abbia delineato nuove fertili prospettive per la città e, allo stesso tempo, come la positiva congiuntura possa avere effetti più offuscati poiché accanto a lavori specializzati e ben retribuiti si accompagna una crescente numero di impieghi a basso salario. Questo aspetto denota un’ulteriore frattura tra la differenza di gruppi ad alto e basso reddito peculiare dello sviluppo urbano, in cui vengono esacerbate da gran parte del segmento della forza lavoro appartenente a popolazione immigrata da paesi a basso sviluppo e che va a comporre una massa di individui privi di diritti politici e a rischio di emarginazione sociale resa fragile dall’alto rischio di disoccupazione e sottoccupazione.
68 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 65 69 A. J. Scott in Città e regioni nel nuovo capitalismo, Bologna, Il mulino, 2011, p. 66
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