Il termine “periferia nuova” prende ispirazione dal lavoro svolto da Agostino Petrillo che, già dal titolo, è notabile una chiara distinzione da la “nuova periferia”. L’accento diverso posto su “nuova” sposta il significato da un fattore di oggetto fisico in favore di significato che, come si vedrà, la declinazione prevarrà un senso negativo. Infatti, la periferia attuale, come accennato in più riprese nella prima parte, tende a concretizzandosi in maniera estremamente diversa rispetto al passato, determina la richiesta di una narrazione che meglio si adatti al contesto e alle dinamiche emergenti:
<< Non si trattava unicamente di segnalare il progressivo distaccarsi del mondo attuale dagli universi culturali e sociali delle periferie della città industriale, di mettere in luce il tramonto dell’omogeneità formale e strutturale dei quartieri della working-class europea o di strillare allarmanti che la periferia è ovunque.>>104
Il richiamo di una nuova concettualizzazione della “periferia nuova” trova sì necessità in un chiaro mutamento nella struttura spaziale della produzione e il modo in cui il territorio viene organizzato, all’interno di uno progressivo svanire dell’economia fordista delineatosi con maggior forza a partire dagli anni ’90. Ma, dall’altra parte, la molteplicità e multiformità degli elementi determinano la costituzione della periferia nuova generano un disorientamento verso l’amorfo contorno all’interno della quale la periferia d’oggi è riconducibile. La periferia odierna risulta per Petrillo un volto sfuggente, difficile da decifrare. Il volto sfuggente e difficile da cogliere emerge all’interno di un nuovo sistema di connessioni e di legami certamente più rarefatto. Gli investimenti sul territorio che oggi avvengono trascendono l’intermediazione centrale per giungere direttamente nei luoghi determinando un’indipendenza funzionale e un’autonomia precedentemente assenti in cui, però, lo stesso destino dei luoghi dipende dalla traiettoria di sviluppo, o di mancato sviluppo, dipendenti da scelte di attori lontani dal contesto. Nella periferia “nuova” il territorio diverrebbe, dunque, “irregolare” e si assiste alla compresenza di centralità emergenti e di centralità in declino, di laboratori dell’innovazione e di contesti industriali obsoleti, di strutture della nuova logistica e di capannoni abbandonati, di infrastrutture moderne ma anche di scali ferroviari abbandonati e, soprattutto, la presenza di quartieri residenziali in contrapposizione a ciò che resta dell’edilizia popolare tradizionale. A tutto ciò si aggiungono e sovrappongono gli insediamenti precari e temporanei di popolazioni migranti, spazio del lavoro in nero, interstizi e di
53
risulta105. La retorica della città che cambia e l’enigma della direzione verso la quale di rivolge ritrova in Lefebvre una prima considerazione che ha intravisto l’andamento che attualmente sembra configurarsi. Il processo di esplosione- implosione, che prese avvio con il processo di industrializzazione e della crescente urbanizzazione della forza lavoro e dei mezzi di produzione, ha in una prima fase fatto esplodere lo sviluppato urbano attraverso i quartieri che si sono spinti esternamente i margini della città murata, e, contemporaneamente, ha spinto verso la tendenza all’addensamento nel centro delle funzioni di valorizzazione, di gestione e di comando. La mutazione del rapporto tra centro e periferia vede in Lefebvre un primo segnale della tendenza dei centri di diventare esplicitamente luoghi di governo e di consumo. Il mutamento delle dinamiche tra centro e periferia, come si è visto, si determinata insieme ed attraverso le dinamiche socio-economiche, a cui si farà maggiormente riferimento più avanti, e dunque, anche attraverso la loro relazione con lo spazio. Infatti, la fragilità del percorso lavorativo dei ceti medi, intesi come professionisti, free lance e specialisti, che, in conseguenza, trovano sempre più difficoltosa la sostenibilità di una vita periurbana manifestano un desiderio di ritorno verso la città, voluto o condizionato, determinando una domanda e ricerca di nuovi spazi. Si riprenderà il discorso su queste dinamiche quando si prenderà in considerazione l’effetto della gentrificazione in funzione della nuova classe cognitivo-culturale, all’interno della terza parte.
Dovremmo dunque determinare la fine della periferia una volta venuta meno la società industriale e l’affermarsi di una popolazione cittadina eterogenea dell’“attraversabile” città creativa?106 Petrillo nota come ci sia una sottovalutazione della questione in quanto le nuove differenze e divisione del lavoro nell’economia postindustriale hanno intrapreso una loro specificità, diversa da quella precedente, ma allo stesso modo concreta. La periferia che identifica come “nuova”, nell’accento precedentemente discusso, tende a discostarsi da una concettualizzazione puramente spaziale, come è stata concepita in epoca fordista, e si sofferma su una concettualizzazione che si fonda su un insieme di singolarità diverse e che condividono condizioni sociali, di mentalità, di situazioni occupazionali e di reddito107. Una periferia che, in questo senso, si manifesterebbe in una distribuzione causale rispetto al passato, dove elementi di “condizione” e “situazione” si intrecciano in un complesso di elementi spaziali e sociali e, di volta in volta, prendono la forma di periferie “speciali”, di “periferie di periferie”, di “periferie al quadrato”. Sono gli spazi remoti, abbandonati e dove le istituzioni sono latenti e nel quale le condizioni di vita e di esperienza urbana divengono difficoltose. E, inoltre, a fianco di una radicalizzazione delle problematiche, la stessa periferia sta crescendo, sia dal punto di vista dell’estensione spaziale che in considerazione della popolazione influenzata. Seguendo le riflessioni di
105 A. Petrillo in La periferia nuova, FrancoAngeli, Milano, 2018, p. 12
106 A. Petrillo in Periferiche: Henri Lefebvre, centri e periferia in A. Criconia (a cura di), Il diritto alla città, Donzelli, Roma, 2019 107 A. Petrillo in La periferia nuova, FrancoAngeli, Milano, 2018, p. 16
54
Jacques Lévy108, emerge una panoramica della periferia per “gradi di urbanità”, nel quale emergerebbero linee di urbanità crescenti e decrescenti. Tale concettualizzazione tenta di rompere con un’identificazione lineare del rapporto tra centro e periferia, vincolato ad una immagine fordista della città, allo scopo di concepire una nuova dinamica utile a far emergere la nuova stratificazione sociale della metropoli. I “gradi di urbanità”, quindi, non dipenderebbero inesorabilmente da una minore o maggiore distanza da un centro, ma ha l’obiettivo di ricondurre tale distribuzione ad una diversa composizione della periferia stessa, ai legami economici e produttivi che la caratterizzano e alle connessioni che intrattiene con una più vasta area di influenza: realtà drammaticamente “periferiche” possono svilupparsi in zone pressoché centrali, come, viceversa, zone lontane dal centro possono sviluppare specifiche funzioni e centralità, tutto all’interno di un policentrismo formato da relazioni economiche che possono essere visibili e individuabili o astratte109. Henri Lefebvre, nelle sue riflessioni sulla città in cambiamento, identifica nel definire l’esplosione della città il divenire di un nuovo tipo di disordine urbano come il risultato delle pressioni della riorganizzazione capitalistica del territorio. Nonostante la sopravvivenza di un qualche tessuto connettivo, le pressioni economiche contribuiscono a rendere determinati luoghi della, come definiti da Petrillo, “nebulosa urbana” remoti e separati dalla dinamica del lavoro salariale, già da tempo in declino, che li legava indissolubilmente alla città il dissolversi di tale legame si proietta sull’intera città110.
La distruzione creativa schumpteriana, di cui si è accennato a più riprese, si presenta attraverso le nuove pressioni economiche volte a riconfigurare l’insieme delle relazioni sociali precedentemente conosciute. La periferia e, in particolare, la prima periferia, diventa oggetto di questa metamorfosi in cui la distruzione delle precedenti strutture produttive vengono progressivamente sostituite dalla creazione di nuove reti produttive in cui è necessario leggere le nuove condizioni del mercato del lavoro e le condizioni attraverso la quale l’occupazione prende forma configurando l’accrescere della disuguaglianza e di nuovi spazi gerarchizzati.