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7.4 PRIME CONCLUSIONI DELL’ANALISI E RIFLESSIONI AGGIUNTIVE

L’indice dell’analisi, organizzato come precedentemente descritto, permette l’individualizzazione di un indicatore sintetico utile ad una comparazione evolutiva del fenomeno per l’individuazione del grado di concentrazione di “capitale umano” e di “vulnerabilità sociale”. Le figure che seguiranno, infatti, hanno lo scopo di proporre una valutazione dei primi risultati ottenuti e di come i due estremi tendono a spazializzarsi e distribuirsi all’interno del contesto. Le figure che seguono presentano uno stato di fatto nell’anno 1991 (FIGURA 13), nel 2001 (FIGURA 15) e 2011 (FIGURA

17), intervallate da due figure rappresentanti la variazione deducibile tra il 1991 e il 2001 (FIGURA 14) e tra il 2001 e il 2011

(FIGURA 16). La relazione, così rappresentate attraverso uno schema “status – transizione – status – transizione – status”,

permette di comprenderne i mutamenti, non solo alla luce di immagini ferme inerenti alle tre soglie temporali note, 1991 – 2001 – 2011, ma di valutarne l’impatto nel periodo di transizione, attraverso la differenza del valore emergente all’interno di un’unità di analisi in due differenti soglie temporali. Interessante risulta, infatti, il mutamento progressivo e l’allargarsi verso i valori estremi avvicinandosi verso la soglia temporale più recente. La presenza di colori più tenui, nella soglia temporale del 1991 manifesterebbe la presenza di una differenza interna al comune maggiormente contenuta, fattore che progressivamente si estende nelle soglie temporali più recenti, 2001 e 2011. Nel 1991, quindi, è deducibile, tramite una lettura della mappa, la mancanza di focolari intensi, sia di senso negativo che di senso positivo, e della presenza di differenze più compatte. Se si considera nuovamente il grafico in FIGURA 3 e la

rappresentazione in FIGURA 6, il motivo alla base di questo risultato ricade nella presenza di valori generali bassi nelle variabili della popolazione laureata e della popolazione straniera che, cumulativamente, influiscono per il 75% del risultato. La metodologia di pesi e contrappesi comporta che le due variabili appena citate, presenti in valori assoluti minori nel 1991 rispetto alle altre annate, risultano impattare con un peso minore nella dinamica dell’unità di analisi, in conseguenza della logica sottostante al “moltiplicatore di correzione”. Da un punto di vista prettamente grafico, all’interno di una meno marcata differenza globale tra i punti estremi, una concentrazione positiva all’interno della prima cerchia muraria, come presenze di senso positivo nel quartiere Maggiolina, lungo viale Zara, nell’intorno di Città Studi e il quartiere S. Siro e un lieve accenno nel quartiere di Porta Romana. Viceversa, le tonalità più calde si notano verso i quartieri in periferia e sono riconducibili alla presenza dei grandi quartieri di edilizia popolare o ciò che resta dei quartieri operai. Esiste una chiara relazione tra l’andamento dell’indice e la distanza dal centro e all’interno di un dualismo tra centro e periferia che, come si è detto, è presente ma privo di situazioni particolarmente intense. La variazione 1991-2001 mostra un generale miglioramento ad eccezione di determinati spot di colore rosso posizionati verso la corona esterna e coincidenti, in particolar modo con la presenza di quartieri popolari (Gallaratese, Giambellino, Tibaldi, Gratosoglio, Corvetto, Quarto Oggiaro, Comasina e Adriano) e in zone di migrazione (l’asse Loreto – via Padova e la zona di Maciachini e Dergano). La transizione tra 1991 – 2001 risulta visibilmente principalmente di segno positivo: la variazione dell’indice denota un generale miglioramento, più intenso nella corona centrale piuttosto che in quelle

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periferiche. L’effetto riscontrabile nella soglia 2001 è un allargamento dell’estensione delle tonalità positive blu, in particolar modo nell’intorno dei focolari già presenti nella soglia temporale precedente, 1991, fino a comprendere le unità di analisi racchiuse all’interno del semi-anello ferroviario, con una sfumatura più allargata verso ovest nei quartieri di Bande Nere, S. Siro e QT8. Nel 2001 risulta già chiara una prima accentuazione del dualismo che si sta sviluppando: nonostante la presenza di una variazione generale sostanzialmente di segno positivo, i valori maggiormente positivi sembrano collocarsi all’interno di aree aventi un indice positivo già nel 1991, confluendo in un’inversione di tendenza, da sfumature rosse a sfumature blu, solo nelle zone limitrofe ai valori positivi, lasciando sostanzialmente immutato nelle zone di più esterne, il cui impatto non è stato in grado di favorire, almeno in termini di concentrazione e di valore indicizzato, un incremento non minimale utile a favorire una evidente maggiore promiscuità. La transizione tra il 2001 – 2011 si costituisce in maniera differente rispetto alla precedente transizione tra il 1991 e il 2001. Se, come si è detto, tra il 1991 e 2001 sussiste un miglioramento generale, nonostante il calo di intensità dal centro verso la periferia, tra il 2001 e il 2011 le variazioni positive risultano maggiormente piatte e si accentuano considerevolmente quelle negative. Risulta anche invertito l’ordine gerarchico centro periferia: le variazioni positive di maggior intensità si presentano verso il limite sud della corona ferroviaria, mentre la periferia trova un’incidenza negativa alternata da presente positive. Il risultato alla soglia temporale più recente, il 2011 mostra un centro intensamente positivo, in contrasto con una periferia intensamente negativa. Risulta anche travalicata la “linea immaginaria” che nella soglia del 2001 separava sostanzialmente il positivo dal negativo: a fianco di focolari negativi di presentano penetrazioni di concentrazione positiva riducendo così lo “spazio della fragilità”, aumentandone la concentrazione interna, e allargando, relativamente, lo spazio di concentrazioni orientate verso il “capitale umano”. Quest’ultimi ragionamenti richiedono un’ulteriori spiegazioni utili per chiudere il cerchio in queste prime riflessioni conclusive. Non essendo finora state trattate con sufficiente riguardo, una prima riflessione richiederebbe un richiamo all’andamento del mercato immobiliare in quanto il costo della residenza occupa uno spazio non indifferente del reddito disponibile delle famiglie ed individui, soprattutto quando quest’ultimo è relativamente basso. Una seconda riflessione, appunto, è necessaria rispetto allo stesso reddito che il mercato del lavoro produce. Inequivocabilmente, con le dovute precauzione, la scelta residenziale conforme a relative necessità di spazio, accessibilità e qualità, è inevitabilmente soggetta al reddito disponibile che, quindi, fugge da fattore limitante del range di possibilità da cui si può effettivamente attingere. Come nota Luca Gaeta, lo sviluppo del mercato immobiliare è stato affetto da una “sclerosi proprietaria” che determina ora problemi non secondari. Infatti, Gaeta sottolinea come all’interno di questa “sclerosi” la casa in affitto diventi un bene residuale a causa di ragioni storiche, come la protezione del risparmio privato dall’inflazione e spinte politiche verso la casa in proprietà, in cui si è sviluppato un forte incentivo verso l’acquisto all’interno di un indebitamento prolungato nel tempo e il congelamento di risorse economiche all’interno

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dello stock edificato375. Il settore edilizio, anche a causa del crescente costo del suolo edificabile, si è strutturato per la produzione di alloggi destinati alla vendita in cui la possibilità di accedere in affitto è tendenzialmente preclusa. Il mercato dei mutui a basso costo, necessario per sostenere la domanda di alloggio in proprietà, ha spinto i prezzi a rialzo, in conseguenza della forte domanda, ma ha assoggettato il mercato residenziale in dipendenza del credito. Gaeta nota come la crisi dei mutui, e le dirette conseguenza sul mercato immobiliare, ha aggravato lo squilibrio all’interno del mercato residenziale in quanto, in primo luogo, l’investimento fatto diviene un investimento difficile da liquidare, e, in secondo luogo, lo stock residenziale è in quantità notevolmente superiore al fabbisogno376. Questo secondo punto risulta di particolare interesse per il proseguimento del discorso del rapporto tra possibilità economica e mercato delle residenze, in quanto lo stock in locazione, rispetto quello in vendita, persiste ad essere in disponibilità inferiore rispetto la domanda presente sul mercato e, in conseguenza, si determina un costo dell’affitto che progressivamente tende ad incidere sempre di più sugli affittuari, in particolar modo sulle fasce basse il cui accesso al possibilità di mutuo è difficoltosa: sussiste una polarizzazione sociale delle classi più povere e alle nuove generazioni377. La ricerca proposta da For Rent378, riassunta nella FIGURA 11 rafforza l’impressione della situazione del

mercato della residenza a Milano. Si denota un’accrescente propensione verso la proprietà del bene dell’alloggio e una progressiva ritirata della proprietà pubblica. È utile considerare che con proprietà individuali non viene inteso la proprietà dell’alloggio in cui si vive, ma comprende una l’insieme delle proprietà individuali che confluiscono in parte degli alloggi privati disponibili all’affitto: ne risulta che nel 2011 l’offerta residenziale in affitto è costituita dal 51% da alloggi aventi come proprietario una persona fisica. Sul lato del reddito invece, in riferimento alla FIGURA 12 riguardante la dichiarazione

375 R. Cucca e L. Gaeta in Ritornare all’affitto: evidenze analitiche e politiche pubbliche, p. 1-2 376 R. Cucca e L. Gaeta in Ritornare all’affitto: evidenze analitiche e politiche pubbliche, p. 2 377 R. Cucca e L. Gaeta in Ritornare all’affitto: evidenze analitiche e politiche pubbliche, p. 3 378 http://www.for-rent.polimi.it

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dei redditi IRPEF e quindi dichiarazioni individuali379 e del reddito lordo380. Il grafico illustra diversi aspetti. Partendo da un punto conclusivo, in Milano, nonostante la diminuzione del numero di contribuenti, si genere un reddito cumulativo in crescita. Se viene analizzato il comportamento nel tempo dei contribuenti aventi reddito inferiore a 26.000 € e superiore a 55.000 €, si verifica una particolare controtendenza. La presenza di contribuenti aventi un reddito inferiore a 26.000 € tende progressivamente a diminuire passando da un 77% al 60% circa e la stessa tendenza segue il reddito commutativo generato, da 41% al 23%. Il calo generale del numero di contribuenti sembra essere descritto, appunto, dal calo della popolazione contribuente con un reddito inferiore a 26.000 €; aspetto in controtendenza rispetto l’incremento del reddito cumulativo generato. Viceversa, i redditi elevati crescono e il reddito cumulativo generato cresce di più rispetto l’aumento del numero di contribuenti che lo generano. Questa discrepanza, genera un indice Gini381, indice che sintetizza la distribuzione del reddito, crescente e, quindi, tende ad essere sempre meno ridistribuito. Si ricorda che i valori non comprendono la tassazione e i possibili trasferimenti, ma denota una progressiva comunque sia una progressiva disparità di reddito tra gli individui che risiedono a Milano.

Le ultime annotazioni riguardanti la questione residenziale e la questione del reddito, sembrano in qualche modo, pur non essendo stato possibile una diretta correlazione, trovare una sovrapposizione probabilistica con l’andamento e la spazializzazione dell’indice. Una presenza di “capitale umano” nelle zone centrali risulta ovvio per le questioni del costo del mercato immobiliare e del reddito necessario in conseguenza della scelta localizzativa. Ma risulta interessante provare a riflettere come il crescente costo nelle zone centrali abbia aperto ad opportunità di mercato nelle aree limitrofe. Nella descrizione dei risultati ottenuti si è accennato ad un progressivo allargamento dell’indice che determina una propensione della presenza di un “capitale umano” e della conseguente ritirata e concentrazione delle “fragilità sociali”. L’accrescere dei redditi più alti, i cui i redditi compresi tra 26.000 € e 55.000 € hanno una tendenza molto simile se non superiore rispetto ad altre fasce di reddito382, ipoteticamente determinano una nuova domanda abitativa che tende nel tempo tende a far estendere e allargare la sfumatura positiva, oltre che a mantenere o essere disponibili a pagare un costo della residenza più sostenuto.

379 Solitamente si preferisce un’analisi sul reddito famigliare. Purtroppo, non si è trovato dato in tal senso utili per produrre l’analisi.

380 Può essere identificato come un reddito prodotto dal mercato a cui non è ancora stata applicata una tassazione e un’ipotetica ridistribuzione del reddito.

381 Nel calcolo dell’indice Gini è stato compreso anche i contribuenti aventi un reddito compreso tra 26.000 € e 55.000 €. 382 Nel 2016 risulta la fascia di contribuzione con il maggior numero di contribuenti e di reddito generato.

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FIGURA 12–ANDAMENTO DEL NUMERO DI CONTRIBUENTI E RELATIVO REDDITO IRPEF GENERATO E CALCOLO DEL COEFFICIENTE GINI.(ELABORAZIONE DATI IRPEF.FONTE:MEF)

50,0 50,2 50,4 50,6 50,8 51,0 51,2 51,4 51,6 51,8 52,0 52,2 52,4 52,6 52,8 53,0 53,2 53,4 53,6 53,8 54,0 54,2 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% 50% 55% 60% 65% 70% 75% 80% 85% 90% 95% 100% 105% Gi ni Pe rcentu ale con tri bu enti e reddito Anno dichiarazione

Contribuenti <26 mila € Reddito <26 mila € Contribuenti >55 mila € Reddito >55 mila € Contiribuenti totali Reddito totale Indice GINI

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FIGURA 13– INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" NEL 1991

FIGURA 9-VARIAZIONE DELL'INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" TRA IL 1991 E IL 2001FIGURA 10-INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE"

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FIGURA 14–VARIAZIONE DELL'INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" TRA IL 1991 E IL 2001

FIGURA 11-INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" NEL 2001FIGURA 12-VARIAZIONE DELL'INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" TRA IL 1991 E IL 2001

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FIGURA 15–INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" NEL 2001

FIGURA 13-VARIAZIONE DELL'INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE"

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FIGURA 16–VARIAZIONE DELL'INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" TRA IL 2001 E IL 2011

FIGURA 16 - INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO"E "VULNERABILITÀ SOCIALE"NEL 2011FIGURA 17 - VARIAZIONE DELL'INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO"E "VULNERABILITÀ SOCIALE"TRA IL 2001E IL 2011

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FIGURA 17–INDICE DI CONCENTRAZIONE DEL "CAPITALE UMANO" E "VULNERABILITÀ SOCIALE" NEL 2011

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CAP 8 _ CONCLUSIONI

Il lavoro fin qui svolto parte volutamente da un punto di inizio apparentemente remoto, in cui sono stati trattati temi di natura generale e rivolti ad inquadrare e a dare una prima spiegazione al cambiamento che le città, se pur in maniera differente, stanno subendo per poi proseguire verso temi e spiegazioni maggiormente circoscritte. Il discorso proposto ha provato ad inquadrare il cambiamento attraverso una percezione di evoluzione continua, se pur all’interno di discontinuità, evitando una comparazione per compartimenti stagni, sicuramente più chiara nell’identificare le diverse fasi e periodi, ma probabilmente meno efficacie nel raccontare il lato della transizione e relativi aspetti. Milano e il suo sviluppo non può essere considerato un esempio radicale in cui risultano sfacciatamente evidenti e plateali le dinamiche raccontate. A differenza di contesti in cui il fenomeno si manifesta in maniera significativa, sia in termini di velocità in cui la transizione sta avvenendo e sia dal punto di vista dell’impatto sul dualismo della città, rispetto alle grandi città americane, Londra e Parigi ed in modo diverso delle capitali dell’economia avanzata nell’est asiatico. Ma risulta importante identificare come questi processi stanno comunque sia modificando la città. Milano, infatti, ha avuto una transizione lenta e ritardataria verso quel che Roberto Camagni definisce il “terzo rinascimento” milanese383, già iniziato ma non ancora concluso. Nella seconda parte, in maniera maggiormente narrativa, e nella terza, oscillando tra questioni concettuali-teoriche e questioni specifiche sul lato delle pratiche, si è tentato di far luce sulla complessità degli effetti di questa transizione sul corpo fisico e sociale di Milano e proponendo diverse possibili interazioni in qui la transizione di manifesta. Il lavoro parte da un punto di vista magari banale, ma che a mio avviso, sembra essere in qualche modo sottovalutato, quando non viene direttamente dimenticato. Sono due le dirette conseguenze, strettamente collegate fra loro: da una parte risulta complicato determinare il modo in cui la città si è evoluta quando il punto di partenza risulta opaco, se non archiviato come “passato”. In una lettura del genere, la città risulterebbe come una “città nuova” diversa da quella precedente, con il rischio di non comprendere a pieno come ogni città “nuova” trovi le condizioni e le necessità per esprimersi in quella precedente: nella “vecchia” città si trova il seme di quella “nuova”. Di questo avviso è Camagni che, richiamando Fernand Braudel si sofferma sul fatto che:

<<Le città sono come i trasformatori elettrici: esse aumentano le tensioni, precipitano gli scambi, rimescono all’infinito la vita dell’uomo […] (e) sono ad un tempo dei motori e degli indicatori: esse provocano e segnalano il cambiamento.>>384

383 R. Camagni in Forza e limiti del “Terzo Rinascimento” di Milano, Italian Journal of Regional Science, vol. 16, 3/2017 384 R. Camagni in Forza e limiti del “Terzo Rinascimento” di Milano, Italian Journal of Regional Science, vol. 16, 3/2017, p. 481.

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Mentre, dall’altra parte, in conseguenza, si correrebbe il rischio che i precedenti meccanismi sostituiti dalle nuove prassi vengano riconosciuti all’interno di una sovrastima dei benefici attuali, sottodimensionando i relativi effetti negativi, tendenzialmente considerati come componente fisiologica della “città che cambia”. Il lavoro ha cercato di porsi all’interno di questo “spazio vuoto” soffermandosi sugli effetti del risultato, piuttosto che sul risultato ottenuto, della transizione.

Ricapitolando tale visione, torna utile ripercorrere e provare a sintetizzare l’evoluzione di Milano attraverso tre principali cicli economici riconducibili allo sviluppo post-bellico (1950 - 1975), alla crisi industriale (1975 – 2000) e all’avvento della globalizzazione (2000 - …) e renderebbe chiaro il primo punto in questione385. All’interno di questi cicli Camagni individua le precondizioni generali che spingono l’evoluzione della città e come in queste si possono ritrovare ricorrentemente la presenza di condizioni di instabilità nel contesto economico e socio-politico-istituzionale, di competenze specifiche e di capacità imprenditoriali volte anche a generare relazioni sinergiche orizzontali e verticali. L’evoluzione tecnologica funge da propulsore verso nuove opportunità che, quando vengono colte, spingono ad una reinterpretazione della città. Infatti, i tre cicli individuati dall’economista risultano fortemente influenzati dal paradigma tecnologico, oltre ad altre condizioni concomitanti a livello politico e istituzionale. Il primo ciclo ricade all’interno dell’importante ricostruzione e sviluppo post-bellico in cui Milano orienta e traina lo sviluppo economico nazionale. La presenza di tecnologia avanzata, una forza di lavoro abbondante e capace e un’imprenditorialità dinamica e attenta verso i nuovi settori trainanti dei beni di consumo di massa (auto e elettrodomestici) portano, da un lato, al concentramento delle maggiori imprese e, dall’altro lato, ad un considerevole aumento demografico in conseguenza dei flussi migratori. In questa prima fase, Camagni nota come lo sviluppo rapido e concentrato territorialmente sia anche caratterizzato da una debolezza dal punto di vista manageriale e organizzativo e come la flessione economica degli anni ’60 attraverso l’inflazione monetaria e l’aumento del costo della vita, con i conseguenti conflitti sindacali e sociali, abbiano reso evidente determinate contraddizioni 386. Gli anni ’70, e il secondo ciclo, si caratterizzano all’interno di una fase di ripiegamento dell’economie e di deindustrializzazione in cui molte grandi imprese, quando non scompaiono, si frazionano e decentrano spazialmente lasciando, conseguentemente, i comuni che basavano la loro economia sulla produzione in crisi. La crisi richiama la necessità di processi di ristrutturazione e riconversione economica in funzione delle diverse condizioni di contesto: la perdita di addetti nel manifatturiero, ribilanciata da un incremento nell’hinterland, viene compensata attraverso lo sviluppo di un primo settore direzionale e da quei settori che prediligono l’elevata intensità di capacità qualificate, piuttosto che di capitale, come il design e la moda387. Spinta decisiva, nota Camagni, è stata data dalla crisi petrolifera che ha dato luogo a successive condizioni per un rinnovato

385 R. Camagni in Forza e limiti del “Terzo Rinascimento” di Milano, Scienze Regionali – Italian Journal of Regional Science, vol. 16, 3/2017 386 R. Camagni in Forza e limiti del “Terzo Rinascimento” di Milano, Scienze Regionali – Italian Journal of Regional Science, vol. 16, 3/2017, p. 484 387 Ibidem

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ruolo nella divisione internazionale del lavoro e la ricerca di nuove strategie di competitività che, favorito dalla “svolta dell’EUR”, hanno stimolato la modernizzazione dei processi produttivi, dell’automatizzazione e delle tecnologie informatiche portando effetti negativi sull’occupazione nel breve, ma con esiti positivi sul lungo termine388. Il riflesso territoriale è riconducibile ad una maggior efficienza e competitività delle imprese e un crescente settore terziario all’interno degli stessi settori industriali che porta alla concentrazione a Milano di settori avanzati e di alta tecnologia e una fuoriuscita delle industrie minori in direzione dell’hinterland. A Milano si trova un ambiente particolarmente fertile per i settori della farmaceutica, dell’editoria, delle telecomunicazioni e dell’elettronica, ulteriormente rafforzato dall’istituzione dal mercato unico europeo dei primi anni ’90. La diretta conseguenza della rinnovata competitività della città, considerata come la capitale dell’Europa meridionale389, risulta essere l’incremento dei valori immobiliari delle aree centrali. Nonostante la notorietà e la competitività raggiunta in funzione della presenza di società internazionali, la sede della borsa e di banche, un forte settore commerciale spinto dalla fiera e dal settore pubblicitario, il numero di addetti nel settore industriale e dei brevetti tecnologici, la spinta allo sviluppo sembra appannarsi in conseguenza di

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