• Non ci sono risultati.

L'ABITAZIONE COSMICA E IL SOGGIORNO DELLO STRANIERO Per il mondo come un tutto, vasto come sembra ai suoi abitanti, abbiamo perciò

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 99-105)

Immagini e simboli gnostici LO "STRANIERO"

L'ABITAZIONE COSMICA E IL SOGGIORNO DELLO STRANIERO Per il mondo come un tutto, vasto come sembra ai suoi abitanti, abbiamo perciò

l'immagine visiva di una cella circoscritta - ciò che Marcione chiamava

sdegnosamente haec cellula creatoris - nella quale o fuori della quale la Vita può muoversi. "Venire dal di fuori" o "andare fuori" sono frasi tipiche nella letteratura gnostica. Perciò la Vita o la Luce "è venuta in questo mondo", "ha viaggiato quaggiù"; essa "parte per il mondo", può fermarsi "al margine esterno dei mondi" e di lì, "dal di fuori", "far visite nel" mondo. Ci soffermeremo più avanti sul significato religioso di queste espressioni: per il momento ci occuperemo della topologia simbolica e della diretta eloquenza delle immagini.

Il soggiorno "nel mondo" è chiamato "dimora", il mondo stesso una "dimora" o "casa", e, in contrasto con le dimore risplendenti, l'"oscura" o la "bassa" dimora, "la casa mortale". L'idea di "dimora" ha due aspetti: da una parte implica uno stato temporaneo, qualche cosa di contingente e perciò revocabile - una dimora può essere scambiata con un'altra, può essere abbandonata ed anche lasciata andare in rovina -; dall' altra implica la dipendenza della vita dagli ambienti circostanti - il luogo dove si dimora non è indifferente per l'abitatore e ne determina tutta la condizione. Egli può perciò soltanto cambiare una dimora con un'altra, e l'esistenza extramondana è anche chiamata "dimora", questa volta nelle sedi della Luce e della Vita, che per quanto infinite hanno il loro proprio ordine di regioni limitate. -Quando la Vita si stabilisce nel mondo, la temporanea appartenenza così fissata può condurre al suo divenire "un figlio della casa" e rende necessario il ricordare: "Tu non eri di qui, e la tua radice non era di questo mondo" (G 379). Se l'accento è posto sulla natura temporanea e transeunte del soggiorno terreno e sulla condizione di essere straniero, il mondo è anche chiamato "l'albergo" nel quale "si alloggia"; e "stare in albergo" è una formula per "essere nel mondo" o "nel corpo". Le creature di questo mondo sono "abitanti dell' albergo", sebbene la loro relazione con esso non sia quella di ospiti: "Poiché ero uno e mi tenevo in disparte, ero straniero ai miei compagni d'albergo" ("Inno della Perla" in Acta

Thomae).

La stessa espressione può riferirsi al corpo, che è eminentemente la "casa" di vita e lo strumento del potere del mondo sulla Vita, che è racchiusa in esso. Più particolarmente "tenda" e "vestito" denotano il corpo come forma terrena transeunte includente

l'anima; anche questi termini tuttavia possono essere applicati al mondo. Un vestito è indossato, smesso e cambiato, il vestito terreno per quello di luce. Separata dalla sua origine, la Vita langue nella veste corporale:

"lo sono un Mana della grande Vita. Chi mi ha fatto vivere nel Tibil (mondo terreno), chi mi ha gettato nel ceppo del corpo?" (Ginza 454).

"Sono un Mana della grande Vita. Chi mi ha gettato nella sofferenza dei mondi, chi mi ha trasportate nella malvagia oscurità? Così a lungo ho sopportato e ho dimorato nel mondo, così a lungo ho dimorato tra le opere delle mie mani" (Ginza 457 s.).

"Afflizione e dolore io soffro nel vestito corporale nel quale essi mi hanno trasportato e gettato. Quante volte devo smetterlo, quante volte devo indossarlo, sempre di nuovo devo definire la mia lotta 6 e non guardare la Vita nella sua sh'kina (abitazione degli esseri della luce)" (Ginza 461).

Da tutto ciò sorge la domanda rivolta alla grande Vita: "Perché hai creato questo mondo, perché hai costretto le tribù [di Vita] a chiudersi in esso, fuori dal tuo centro?" (Ginza 437). La risposta a tali quesiti varia da sistema a sistema: le questioni stesse sono più fondamentali di ogni particolare dottrina e riflettono immediatamente la

sottostante condizione umana.

"LUCE" E "TENEBRE", "VITA" E "MORTE"

Dobbiamo aggiungere qualche parola circa l'antitesi di luce e tenebre che è una caratteristica così costante in questo contesto. Ritroviamo il suo simbolismo un po' dappertutto nella letteratura gnostica, ma, per ragioni che discuteremo in seguito, il suo uso più enfatico e dottrinalmente più importante va ricercato in quella che chiameremo la corrente iranica dello gnosticismo, la quale è anche una componente del pensiero mandeo. La maggior parte degli esempi seguenti sono presi da esso e implicano perciò la versione iranica del dualismo gnostico. Il simbolismo, pur astraendo dal contesto teoretico, riflette tuttavia un universale atteggiamento gnostico. L'originaria Vita forestiera è il "Re di Luce", il cui mondo è "un mondo di splendore e di luce senza tenebre", "un mondo di indulgenza senza ribellione, un mondo di giustizia senza

turbolenza, un mondo di vita eterna senza decadenza e morte, un mondo di bontà senza peccato ... Un mondo puro non mescolato al male" (Ginza 10). In opposizione ad esso è il "mondo delle tenebre, interamente pieno di male ... pieno di fuoco divorante ... pieno di falsità e inganno ... Un mondo di turbolenza senza fermezza, un mondo di tenebre senza luce ... un mondo di morte senza vita eterna, un mondo nel quale le cose buone e i progetti finiscono in niente" (Ginza 14).

Mani, che adottò più completamente la versione iranica del dualismo, inizia la sua dottrina delle origini come è riportata nel Fihrist, una fonte araba, nel modo seguente: "Due esseri erano al principio del mondo, uno Luce, l'altro Tenebre". Secondo tale concezione il mondo esistente, "questo" mondo, è una mescolanza di luce e tenebre, con una preponderanza tuttavia di tenebre: la sua sostanza principale è tenebre,

l'immissione estranea, luce. Nello stato attuale delle cose, la dualità di tenebre e luce coincide con quella di "questo mondo" e "l'altro mondo", poiché le tenebre hanno incorporato tutta la loro essenza e potere in questo mondo che è ora perciò il mondo delle tenebre." L'equazione "mondo (cosmos) = tenebre" è di fatto indipendente e più fondamentale di quella particolare teoria delle origini della quale abbiamo or ora dato un esempio, e come espressione di una data condizione ammette tipi grandemente divergenti di derivazione, come vedremo in seguito. L'equazione come tale è

simbolicamente valida per lo gnosticismo in generale. Nel Corpus Hermeticum troviamo l'esortazione: "Allontanati dalla luce tenebrosa" (Corpus Hermeticum I, 28), dove la combinazione paradossale manifesta chiaramente che persino la cosiddetta luce in questo mondo, in realtà è tenebre. "Perché il cosmo è la pienezza del male, Dio la pienezza del bene" (Corpus Hermeticum VI, 4); e come "tenebre" e "male", così anche "morte" è un simbolo del mondo come tale. "Colui che è nato da madre è portato nella morte e nel cosmo; colui che è rinato da Cristo è trasportato nella vita e negli Otto [ossia, sottratto al potere dei Sette]" (Excerpta Theodoti 80,1). Così comprendiamo l'affermazione ermetica citata in Macrobio (in Somnium Scipionis I, Il) che l'anima "per altrettante morti quante sfere essa attraversa, discende a ciò che nel mondo è chiamata vita".

"MESCOLANZA", "DISPERSIONE", "L'UNO" E I "MOLTI"

Per tornare ancora una volta alla concezione iranica, l'ideale di due entità primarie ed opposte conduce alla metafora di "mescolanza" per l'origine e la composizione di questo mondo. La mescolanza tuttavia è ineguale e il termine denota essenzialmente la tragedia delle particelle di Luce separate dal loro corpo originario e immerse in un elemento estraneo.

"lo sono io, il figlio dei pacifici [ossia degli esseri di Luce]. Sono stato mescolato e vedo pianto. Conducimi fuori dall'abbraccio di morte" (Frammento di Turfan, M 7).

"Essi portarono acque vive 9 e le versarono nelle acque torbide;" essi portarono luce splendente e la gettarono nelle spesse tenebre. Essi portarono il vento rinfrescante e lo gettarono nel vento ardente. Essi portarono il fuoco vivente e lo gettarono nel fuoco divoratore. Essi portarono l'anima, il puro Mana, e la gettarono nel corpo senza valore" (Il

Libro Mandeo di Giovanni, 56).

Il mescolamento è espresso qui nei termini dei cinque elementi fondamentali dello schema manicheo, che ovviamente sta alla base di questo testo mandeo.

"Tu hai preso il tesoro di Vita e lo hai gettato nella terra senza valore. Tu hai preso il mondo di Vita e lo hai gettato nel mondo della mortalità" (Ginza 362).

"Non appena è entrata nell'acqua torbida, l'acqua vivente si è lamentata e ha pianto ... Non appena egli ha mescolato l'acqua viva con quella torbida, le tenebre sono penetrate nella luce" (Il Libro Mandeo di Giovanni, 216).

Persino il messaggero è soggetto al destino della mescolanza: "Allora il fuoco vivente subì un cambiamento in lui... Il suo splendore fu diminuito e offuscato ... Guarda come lo splendore dell'Uomo forestiero è diminuito!" (Ginza 98 s.).

Nel manicheismo la dottrina di mescolamento, con la sua parte opposta di non mescolamento, forma la base di tutto il sistema cosmologico e soteriologico.

Strettamente connessa all'idea di "mescolanza" è quella di "dispersione". Se particelle della Luce o della Vita originaria sono state separate da essa e mescolate con le tenebre, allora si è perduta un'unità originaria per dar luogo alla pluralità: le schegge sono le scintille disperse nella creazione. "Chi ha preso il canto di lode, l'ha diviso in due parti e l'ha gettato di qua e di là?" (Il Libro Mandeo di Giovanni, 13). La stessa creazione di Eva e lo schema di riproduzione iniziato da essa asseconda l'indefinita ulteriore dispersione delle particelle di luce, che il potere delle tenebre è riuscito ad assorbire e con tal mezzo cerca di trattenere più sicuramente. Di conseguenza la salvezza implica un processo di raccolta, di ri-collezione di ciò che era andato disperso, e la salvezza mi- ra al ristabilimento dell'unità primitiva.

"lo sono tu e tu sei io, e dove tu sei io sono, e in tutte le cose sono dispero so. E da ovunque tu vuoi, tu mi raccogli; ma raccogliendomi, tu raccogli te steso so" (Vangelo di Eva)

Questa raccolta di sé viene considerata come procedente pari passu con il progresso della "conoscenza", e il suo adempimento come una condizione per la definitiva liberazione dal mondo:

"Colui che raggiunge tale gnosi e raccoglie se stesso dal cosmo ... non è più trattenuto quaggiù, ma sale al di sopra degli Arconti" (Vangelo di Eva)

e proclamando questo stesso fatto l'anima che ascende risponde alla sfida dei guardiani celesti:

"Sono giunto a conoscere me stesso ed ho raccolto me stesso da ogni parte ..." (Vangelo di

Eva)

È facile vedere da queste citazioni che il concetto di unità e unificazione, come quello di pluralità, diversità e dispersione, ha un aspetto interiore e un aspetto metafisico, cioè si applica al sé individuale come pure all'essere universale. È segno di una più alta, o più filosofica, forma di gnosi il fatto che questi due aspetti, complementari fin dall'inizio, siano arrivati a coincidere sempre più completamente; e che la crescente comprensione dell' aspetto interiore purifichi quello metafisico dalle significazioni mitologiche più imperfette che aveva al principio. Per i Valentiniani, il cui simbolismo spiritualizzato segna un passo importante sulla via della demitizzazione, "unificazione" è la

definizione stessa di ciò che "la conoscenza del Padre" compirà per "ciascuno": "È per mezzo dell'Unità che ognuno riceverà se stesso di nuovo. Tramite la conoscenza purificherà se stesso dalla diversità con la visione dell'Unità, assorbendo (divorando) la Materia in se stesso come una fiamma, le Tenebre per mezzo della Luce e la Morte per mezzo della Vita" (Vangelo della Verità 25, 10-19).

Va osservato che nel sistema valentiniano la medesima realizzazione è attribuita alla gnosis sul piano dell' essere universale, dove la "restaurazione dell'Unità" e

"l'assorbimento della Materia" significano niente di meno che l'attuale dissoluzione di tutto il basso mondo, ossia della natura sensibile come tale, non per mezzo di un atto di forza esterna ma solamente per mezzo di un avvenimento interno alla mente: la

"conoscenza" su scala trascendentale. La speculazione dei Valentiniani stabilì questa efficacia oggettiva e ontologica di ciò che a prima vista sembra essere un atto

puramente privato e soggettivo; e la loro dottrina giustifica la coincidenza dell'unificazione individuale con la riunione dell'universo in Dio.

Sia l'aspetto universale (metafisico) che quello individuale (mistico) dell'idea di unità e i loro opposti divennero temi accolti dalla successiva speculazione man mano che

s'allontanavano di più dalla mitologia. Origene, la cui vicinanza al pensiero gnostico è evidente nel suo sistema (giustamente condannato dalla Chiesa), considerava il movi-

mento totale della realtà secondo le categorie di perdita e riacquisto dell'Unità

metafisica." Ma fu Plotino che nella sua speculazione trasse le conclusioni mistiche più complete dalla metafisica di "Unità contro Pluralità". Dispersione e raccolta, categorie ontologiche della realtà totale, sono ad un tempo schemi d'azione dell'esperienza po- tenziale di ciascun'anima, e unificazione che internamente è unione con l'Uno. Emerge così lo schema neoplatonico dell'ascesa interiore dai Molti all'Uno che nei primi gradini della scala è etica, quindi teoretica, e nello stadio culminante è mistica.

"Sforzati di ascendere in te stesso, raccogliendo dal corpo tutte le tue membra, che sono state disperse e sparpagliate nella molteplicità dall'unità che una volta sovrabbondava nella

grandezza del suo potere. Metti d'accordo e unifica le idee innate e cerca di articolare quelle che sono confuse e di portare nella luce quelle che sono oscure" (Porfirio, Ad Marcellum X). Fu probabilmente attraverso gli scritti di Porfirio che questa concezione neoplatonica dell'unificazione come principio di vita personale giunse fino ad Agostino, che nella sua maniera estremamente soggettiva spostò alla fine l'accento dall' aspetto metafisico a quello morale.

"Da quando mediante l'iniquità dell'empietà ci siamo separati e abbiamo dissentito e siamo caduti dalla fedeltà all'Unico Vero e Altissimo Dio, e ci siamo dissipati nei molti, separati dai molti e rimanendo fedeli ai molti: fu necesario che ... i molti fossero riuniti acclamando per la venuta dell'Uno (Cristo) ... e che noi, liberati dall'ingombro dei molti, venissimo all'Uno ... e, giustificati nella giustizia di Uno, diventassimo Uno" (De Trinitate IV, 11).

"Mediante la continenza siamo riuniti nell'Uno dal quale ci siamo allontanati per i molti" (Confessioni X, 14; cfr. Ord. I, 3).

La "dispersione" ha infine ricevuto ciò che ai nostri giorni potremmo chiamare un significato esistenzialista: quello della "distrazione" dell' anima, provocata dai molteplici interessi e attrattive del mondo che agiscono attraverso i sensi del corpo; ossia, è stata trasformata in un concetto psicologico ed etico all'interno dello schema della salvezza individuale.

"CADUTA", "AFFONDAMENTO", "CATTURA"

Ci sono una quantità di espressioni per indicare la maniera in cui la vita è giunta alla sua attuale condizione: alcune di esse descrivono il processo come puramente passivo, altre gli attribuiscono un andamento più attivo. "La tribù di anime 14 fu trasportata quaggiù dalla casa di Vita" (G 24); "il tesoro di Vita che fu strappato di là" (G 96), o "che fu portato qui". Ancora più drastica è l'immagine della caduta: l'anima o spirito, parte della Vita originaria o della Luce, cadde nel mondo o nel corpo. È questo uno dei simboli fondamentali dello gnosticismo: una caduta precosmica di una parte del

principio divino soggiace alla genesi del mondo e dell' esistenza umana nella maggio- ranza dei sistemi gnostici. "La Luce cadde nelle tenebre" significa una fase precedente del medesimo dramma divino, in cui "la Luce brillò nelle tenebre" può dirsi significhi una fase posteriore.

speculazione grandemente divergenti. Tranne nel manicheismo e nei tipi iraniani affini, dove l'intero processo viene iniziato dai poteri delle tenebre, c'è un elemento volontario nel movimento discendente del divino: una colpevole "inclinazione" dell' Anima (come entità mitica) verso i regni più bassi, con motivazioni varie quali la curiosità, la vanità, il desiderio sensuale, che sono l'equivalente gnostico del peccato originale. La caduta è precosmica e una delle sue conseguenze è il mondo stesso, un'altra la condizione e il destino delle anime individuali nel mondo.

"L'Anima si volse una volta verso la materia, se ne innamorò, e ardendo dal desiderio di sperimentare i piaceri del corpo, non volle più liberarsi da essa. Cosi nacque il mondo. Da quel momento l'Anima dimenticò se stessa. Dimenticò la sua abitazione originaria, il suo vero centro, il suo essere eterno" (El Chatibi, commentatore arabo, a proposito degli Harraniti) Una volta separata dal regno divino e immersa in un mezzo estraneo, il movimento dell' Anima continua nella direzione discendente in cui ebbe inizio e tale movimento è

descritto come "affondamento": "Fino a quando affonderò in tutti i mondi?" (Il Libro

Mandeo di Giovanni, 196). Spesso tuttavia viene aggiunto un elemento di violenza a

questa descrizione della caduta, come nelle metafore relative alla cattività delle quali parleremo più a lungo studiando il sistema manicheo. Qui ci limiteremo ad alcuni esempi mandei. "Chi mi ha trascinato in cattività lontano dal mio posto e dalla mia abitazione, dalla casa dei miei genitori che mi hanno allevato?" (Ginza 323). "Perché mi hai portato via dalla mia abitazione nella cattività e gettato nel vile corpo?"

(Ginza 388).

Il termine "gettare" che ricorre nell'ultima citazione, richiede un commento. Il suo uso, come abbiamo visto precedentemente, non è limitato alla metafora di cattività: è

un'immagine a sé e di vastissima applicazione: la vita è stata gettata nel mondo e nel corpo. Abbiamo incontrato l'espressione collegata al simbolismo di "mescolanza", dove è usata per l'origine del cosmo come pure per quella dell'uomo: "Ptahil " gettò la forma che la Seconda [Vita] aveva formato nel mondo delle tenebre. Egli fece delle creazioni e formò delle tribù al di fuori della Vita" (Ginza 242). Questo passo si riferisce all' attività cosmogonica del demiurgo: nell'antropogonia l'immagine è ripetuta ed è li che ha il suo significato principale. "Ptahil prese un Mana nascosto che gli era stato dato dalla casa di Vita, lo portò di qua e lo gettò in Adamo ed Eva" (ibid.). Questa è l'espressione che ricorre costantemente per indicare l'animazione dell'uomo da parte del suo creatore non autorizzato. Che questo non fosse un evento contemplato nello schema della Vita, ma una violenza fatta ad essa e all'ordine divino è evidente dal rimorso che il demiurgo prova in seguito. "Chi mi ha reso stolto, tanto da essere un pazzo e gettare l'anima nel corpo?" (Ginza 393).18 Persino nella formula valentiniana citata prima (p. 65), sebbene essa appartenga ad un ramo dello gnosticismo più incline a categorie di motivi interni piuttosto che di forza esterna nell'esposizione della preistoria dell' Anima, incontriamo l'espressione "dove siamo stati gettati". Certamente è intenzionale la nota stridente che questo termine concreto introduce nella serie di verbi astratti e neutri che lo precedono nella formula (forme di "essere" e "divenire"). L'urto dell'immagine ha esso stesso un valore simbolico nella considerazione gnostica dell'esistenza umana. Sarebbe di grande interesse paragonarne l'uso nello gnosticismo con l'uso fattone in una recente analisi filosofica dell'esistenza, quella di Martin Heidegger." Tutto quello che possiamo dire qui è che in entrambi i casi "essere stati gettati" non è semplicemente una descrizione del passato, ma un attributo che qualifica la situazione esistenziale attuale quale è stata

determinata da quel passato. Dall'esperienza gnostica della presente situazione di vita questa drammatica immagine della sua genesi è stata proiettata nel passato, ed è parte dell'espressione mitologica di tale esperienza. "Chi mi ha gettato nell' afflizione dei mondi, chi mi ha trasportato nelle tenebre perverse?" (Ginza 457), domanda la Vita; e implora: "Salvaci dalle tenebre di questo mondo nel quale siamo gettati" (Ginza 254). Alla domanda la Grande Vita replica: "Non è secondo la volontà della Grande Vita che tu sei andato là" (Ginza 329); "Quella casa nella quale dimori non l'ha costruita la Vita" (Ginza 379); "Questo mondo non è stato creato per la volontà della Vita"

(Ginza 247). Apprenderemo in seguito quale sia il significato di queste risposte negative in termini di una mitologia positiva. Il mito gnostico ha appunto cercato di tradurre la realtà bruta, sperimentata nella visione gnostica dell'esistenza e direttamente espressa in queste domande con le relative risposte negative, secondo uno schema esplicativo che, pur derivando lo stato attuale dalle sue origini, ne offrisse la promessa del superamento.

La Vita così "gettata" nel mondo esprime la sua condizione e il suo modo di essere quaggiù in un gruppo di metafore che ora considereremo. Per la maggior parte queste si riferiscono, nelle fonti gnostiche, non all'"uomo" nel senso ordinario, ma ad un essere simbolicomitologico, ad un personaggio divino, abitante nel mondo, investito di una funzione particolare e tragica, quale vittima e salvatore insieme. Poiché tuttavia questa figura, secondo il significato del sistema, è il prototipo dell'uomo, il cui destino egli soffre nella sua persona in tutta la sua pienezza (spesso il suo nome è Uomo, benché la

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 99-105)

Documenti correlati