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Teurgia e sapienza egizia

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 51-53)

All'inizio del Libro dei Morti l'anima di Ani, uno scriba dell'antico Egitto, dichiara ciò che si aspetta di aver guadagnato nella vita futura dopo aver vissuto una vita santa sulla terra seguendo il sentiero indicato dagli Dei: "Garantitemi potere in cielo, potenza sulla terra e protezione quando sarò nei domini degli Dei, il viaggiare giù fino a Busiris come un'anima vivente e il viaggiare in alto fino ad Abydos come un airone; poter entrare e uscire senza impedimento dai cancelli del Duat (oltretomba)".

Questo antico testo, magnifico e pieno di immagini vivide, scritto nel secondo millennio a. C. caratterizza in una forma molto iniziale le speranze e le aspettative dell'élite religiosa: un posto privilegiato nel mondo a venire con il permesso di andare e venire a piacimento dalla terra dei viventi. Mostra anche l'importanza degli dei in questo processo e soprattutto il legame tra tali dei e il credente. In altri passaggi è chiaro che Ani è diventato un dio lui stesso, e diventa a tutti gli effetti Osiride quando raggiunge il dio nel mondo inferiore. Il sentiero verso Osiride non è facile, ed Ani deve conseguire una gran mole di conoscenza per poter attraversare senza danno il mondo infero e infine a superare la prova della pesatura del suo cure. L'intero processo è dunque caratterizzato dalla sapienza concessa ad Ani dagli dei. Questo processo coinvolgeva reciprocamente esseri umani e dei. Sebbene è probabilmente vero che gli antichi Greci a partire dal V secolo a. C. non poterono accedere al Libro dei Morti, a tacere del fatto che nessuno era più in grado di decifrare la scrittura geroglifica, resta il fatto che le idee contenute in esso erano ancora accessibili a loro. Erodoto (484-425 a. C. circa) nel secondo libro delle sue Storie mostra come l'Egitto e i suoi misteri esercitassero un potente fascino sull'immaginazione greca e parecchie opere su questo paese e la sua religione erano disponibili a quel tempo. Dopo la morte di Alessandro il Grande nel 323 a. C., il suo generale Tolomeo assunse il controllo dell'Egitto, e la sua famiglia lo

mantenne fino alla conquista romana poco dopo la morte di Cleopatra nel 30 a. C. Durante questo periodo molte altre opere del genere furono scritte, molte sulle credenze

religiose dell'Egitto. L'Egitto rimaneva dunque la terra famosa per la saggezza e la magia.

Esiste dunque un percorso discernibile che dall'opera di Ani giunge fino a Giamblico (245-325 d.C. circa). La parola "teurgia" è una tra quelle utilizzate dai neoplatonici come lui per caratterizzare la relazione tra dei e mortali. E' pure evidente che Giamblico credeva che la sua versione della teurgia avesse radici antiche, che affondavano in terra egizia. Egli scrisse il suo lavoro più noto, De Mysteriis, sotto le vesti di un prete egizio. Giamblico probabilmente mutuò il termine dagli Oracoli

Caldei,testi sacri composti da due autori, padre e figlio, Giuliano il Caldeo e Giuliano il

Teurgo, nel secondo secolo d. C. In tempi recenti, grazie all'eccellente lavoro di J.M. Dillon, G. Shaw, E.C. Clarke e altri, si è arrivati a una migliore comprensione di cosa sia la Teurgia e ad una nuova visione di come teurgia e filosofia siano connesse nel neoplatonismo di Giamblico. Ne emerge, a sorpresa, una prospettiva simile a quella degli scritti egiziani di Ani. Giamblico stabilì la sua scuola ad Apamea, in Siria, nello stesso luogo in cui operarono i due autori degli Oracoli. Si ha qui una chiara

connessione tra il tipo di Neoplatonismo di Giamblico e le correnti di pensiero orientali, e specificatamente egizie.

Giamblico ha una visione unitaria degli insegnamenti della saggezza pagana, che lo porta al tentativo di connettere il platonismo a tali più antiche tradizioni. Nel De

Mysteriis egli critica la limitatezza del pensiero puramente greco di Porfirio. Afferma

che Platone stesso conosceva ed utilizzava la sapienza antica degli egizi, e scindendolo da essa non si è in grado di capirlo adeguatamente.

Il significato della parola "teurgia" è stato spesso frainteso. Letteralmente significa "lavoro di Dio" o "lavoro divino". Giamblico riconosce che, come è detto

nel Simposio platonico, gli dei non interagiscono direttamente con gli esseri umani, essendo separati e superiori. L'interazione avviene, nondimeno, attraverso i demoni, semi-divinità che recano le nostre preghiere agli dei e recano a noi i doni degli dei. Questi intermediari che ci consentono il contatto con la divinità sono identificati da Giamblico come angeli, demoni ed eroi. Essi esistono nel mondo sublunare e sulla terra e possono attingere alle altezze dei corpi eterei e visibili degli dei che ne sono al disopra (stelle e pianeti). Una varietà di rituali teurgici utilizzano tali intermediari.

Ciò detto, Giamblico non esclude del tutto il contatto tra gli dei e il regno terrestre. Specialmente nel terzo libro del De Mysteriis espone la teoria della illuminazione o ellampsis: gli dei inviano un raggio della propria luce dai loro corpi eterei in modo che, sebbene separati, illuminano oggetti e persone interagendo con loro in tal modo. Questo chiama in causa a sua volta un terzo elemento fondamentale dei riti teurgici: la persona coinvolta, il teurgo, l'iniziato, l'oggetto o persona sacralizzata deve essere in condizione di ricevere il raggio divino. Per noi esseri umani questo significa che

dobbiamo essere appropriatamente purificati. Per fare l'esempio più banale, se il teurgo vuole usare un fanciullo come medium in un rito, allora deve prepararlo per la

ricezione dall'alto purificando il suo corpo etereo. La purificazione rituale lo rende adatto a tale ricezione. Ad un livello più alto, se i teurgi vogliono incanalare il divino attraverso il loro corpo, devono compiere una preparazione più laboriosa. Certamente devono purificarsi mediante una vita ascetica ecc., ma c'è dell'altro, perché, nel caso del fanciullo, il suo intelletto non è coinvolto nel rito in quanto egli è inconsapevole di ciò che sta avvenendo quando la luce divina giunge a pervaderlo. Ma nel caso dei teurghi viene ad essere coinvolto anche l'intelletto, ciò che significa che essi non devono

purificare solo il loro corpo e la parte inferiore dell'anima, ma anche la loro mente. Ciò comporta un regime di studio che include non solo filosofia ma anche

sebbene separato, si uniscono nel consentire l'incontro gli dei.

Se questi tre ingredienti sono presenti – un dio che agisce tramite un intermediario e che invia la sua luce nel mondo inferiore ad una persona o ad un oggetto reso idoneo a riceverla – allora il teurgo che presiede il rito stabilirà un contatto col divino. Al livello più elementare questo significa che il fanciullo o l'oggetto ricevono l'illuminazione divina. Quando è il teurgo che è coinvolto o una delle persone della sua cerchia che da lui hanno ricevuto una iniziazione avanzata, in altre parole quando la mente del ricevente è coinvolta e il ricevente ha svolto un appropriato studio e preparazione, il raggio divino innalza l'anima del teurgo o iniziato fuori dal corpo e fino ai cieli, dove avviene l'unione con il dio. In tal modo, Giamblico ha mantenuto fermo il presupposto del Simposio, il fatto che gli dei non discendono nel mondo dei mortali e tuttavia ha reso possibile l'ascesa di questi ultimi. Egli può concludere che non si tratta di riti di bassa magia che forzano gli dei a discendere, ma di rituali filosofico-teurgici in cui l'anima ascende verso gli dei non forzandoli ma sottomettendosi alla loro volontà e ai loro precetti. Nel De Mysteriis fa attenzione a distinguere la bassa magia, che affida tutto al caso e può condurre i suoi praticanti ad associarsi con la falsità e i demoni malvagi, e la magia più elevata o teurgia. Quest'ultima è un garante di verità e felicità, connessa com'è alla vita degli dei.

E così, nel rituale dell'iniziato vivente come dopo la morte, la teurgia – "opera divina" compiuta spontaneamente dagli dei a favore di coloro che si preparano

appropriatamente – porta il filosofo/teurgo ad essi e perfeziona il nostro sé divino e razionale. Questo ci richiama alle parole di Ani di fronte ad Osiride. La sua preghiera era per ottenere protezione da parte degli dei e l'abilità di muoversi liberamente tra i regni dell'essere. L'obiettivo di Giamblico non è dissimile. La conoscenza che otteniamo sulla terra ci garantisce un posto in cielo (noi siamo in tal senso "divini", se non

letteralmente), e avere un tale posto significa che le nostre anime razionali sono unite ai poteri universali e pertanto noi, in quanto menti, possiamo "viaggiare" tra i regni: etereo, intelligibile e quello dell'Uno. La teurgia in tal modo reca pace, appagamento, potere, protezione e uno status simile a quello delle divinità.

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 51-53)

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