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La ripresa dell'astrologia pagana nei secoli dodicesimo e tredicesimo

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 159-162)

Fritz Saxl ha attirato l'attenzione, in una serie di conferenze a partire dal 1930, su un fatto poco noto: la rinascita delle credenze tardoantiche sui poteri degli astri

nell'Europa del dodicesimo secolo.

Nel 1903 l'insigne filologo e storico delle credenze tardoantiche Heinrich Boll pubblica Sphaera, un libro che rivela una scoperta stupefacente: una carta stellare babilonese, diversa da quella che ci aveva tramandato l'astronomia greca classica, piena di nomi astrali di origine babilonese ed egiziana, la cosiddettaSphaera barbarica. Boll, con pazientissimo lavoro, ne tracciò le origini nel lavoro di compilazione

dell'astrologo Teucro, e rivelò l'esistenza di una astronomia e astrologia

tardoellenistica le cui credenze erano andate da lungo tempo perdute nelle biblioteche europee. In questo catalogo stellare, alle immagini classiche dei pianeti, ai nomi e divinità di origine greco-romana, venivano sostituiti i nomi e gli dei babilonesi. Da sempre la Sphaera barbarica era utilizzata per gli oroscopi e l'astrologia predittiva. Essa possedeva, oltre alle costellazioni e ai pianeti anche i Decani e la suddivisione della volta celeste in trecentosessanta gradi, ciascuno dei quali aveva influenza su un giorno dell'anno.

La grande ripresa dell'astrologia e della demonologia pagane avvenne nei secoli dodicesimo e tredicesimo che videro al contempo culminare la rinascita della "vera" scienza e della "vera" logica aristotelica. Fu solo nel Settecento e Ottocento che il ritorno all'antichità classica non comportò un parallelo ritorno alla religione pagana, con le sue potenze demoniache e l'influsso da esse esercitato sulla vita terrena. L'inizio del novecento sembra aver segnato un cambiamento di rotta.

Dopo mille anni di silenzio, dal tardo medioevo al sedicesimo secolo l'astrologia fu forza vitale in tutto il mondo cristiano. Il mantello dell'imperatore Enrico II conservato a Bamberga all'atto dell'incoronazione era una raffigurazione del firmamento. Torna ad esprimersi l'idea antica del potere cosmico del sovrano. Un vasto scompiglio si propagò in Inghilterra per l'annuncio di una catastrofe

mondiale predetta per l'anno 1186 da astrologi della spagna e dell'Italia meridionale In che modo una dottrina bollata da Tertulliano come l'insegnamento degli angeli caduti, e per quasi mille anni respinta dai cristiani perché incompatibile con la loro fede, poté all'improvviso conquistare il mondo nel giro di pochi decenni? Nel

dodicesimo secolo c'erano due scuole di pensiero: quella di chi nei classici cerava un ausilio per far luce su questioni di teologia cristiana, e considerava perciò l'astrologia una terra di confine in cui non era lecito aventurarsi, e quella di chi viceversa faceva anzitutto professione di fede astrologica e attribuiva quindi al problema cristiano un'importanza secondaria.

Non è facile rintracciare le radici psicologiche di un tale cambiamento di mentalità - giacché di questo appunto si tratta - e spiegare in che modo una dottrina bollata da Tertulliano come l'insegnamento degli angeli caduti, e per quasi mille anni respinta dai cristiani perché incompatibile con la loro fede poté all'improvviso conquistare il mondo nel giro di pochi decenni. Ci dobbiamo chiedere quali mutamenti nella vita religiosa del dodicesimo secolo abbiano potuto indurre uomini e donne di fede

cristiana ad accettare ciò che le generazioni precedenti avevano condannato. Almeno un fatto sembra chiaro, l'esistenza cioè, nel dodicesimo secolo, di due scuole di

teologia cristiana, e considerava perciò l'astrologia una terra di confine in cui non era lecito avventurarsi, e quella di chi viceversa faceva anzitutto professione di fede astrologica e attribuiva quindi al problema cristiano un'importanza secondaria. Massimo tra i teologi fu probabilmente Pietro Abelardo. Gli storici ottocenteschi hanno voluto vedere in lui un razionalista intento a studiare gli autori classici per arrivare a una comprensione ragionata della fede, ma questo è un modo moderno, e perciò inadeguato, di valutare l'opera di un pensatore del dodicesimo secolo. Abelardo aveva una concezione quasi gnostica dell'illuminazione divina che sarebbe arrivata agli iniziati dell'antichità. Agli occhi di Abelardo, la comprensione dei misteri per cui lottava era una questione di grazia, e la conoscenza un'ispirazione divina proveniente dall'esterno.

È peraltro vero che gli autori classici, specialmente i filosofi, avevano per Abelardo un significato che sembrava essere sfuggito ai suoi predecessori. Secondo lui, Platone aveva avuto conoscenza della Trinità e la Sibilla aveva predetto l'avvento di Gesù in termini più chiari dell'Antico Testamento. Una rivelazione, ispirata da Dio, del miracolo cristiano era stata concessa non solo ili profeti ebraici, ma anche ai filosofi classici, che, fedeli alloro appellativo di filosofi, avevano mostrato di amare la sapienza di Dio, quella Sophia che noi chiamiamo Cristo. Erano stati considerati degni di questa rivelazione per la purezza davvero cristiana delle loro anime e delle loro vite, poiché non la paura dei castighi o l'attesa di una ricompensa terrena, ma lo stesso amore di Dio aveva ispirato le loro azioni. Possedevano la fede, la speranza e la carità, mancavano solo della fede nella risurrezione, nell'incarnazione e nei sacramenti." Naturalmente, dall'attribuire a Platone una prescienza della Trinità a interpretarla in termini platonici il passo era breve. Così il Verbo è per Abelardo ilNous e lo Spirito Santo è l'Anima cosmica." Da qui sembra aprirsi una via per ammettere l'esistenza di un legame tra il mondo superiore e quello inferiore; e se questo legame è costituito dalle stelle - così prosegue l'argomentazione di Abelardo - esse sono una sorta di emissari di Dio incaricati di trasmettere la sua volontà dal cielo alla Terra. Di fatto, Abelardo ritiene condizionati dalle stelle solo alcuni fenomeni naturali, come il tempo atmosferico, e altri di interesse medico, come il carattere, ma non arriva a coinvolgere la volontà e le azioni umane. In altre parole, il corso della vita dell'uomo, la sua

professione, le sue amicizie, i suoi amori, tutte quelle cose cioè che gli astrologi riten- gono prevedibili e che ai più preme di sapere, rimangono per lui escluse dall'influsso delle stelle. In certi punti la dottrina di Abelardo adombra tesi astrologiche, ma egli era troppo teologo per svilupparle.

Diverso è il caso degli astrologi veri e propri che, come Adelardo di Bath, s'ispirano a fonti arabe. Per Adelardo le stelle, benché immutabili come le sfere superiori, sono esseri viventi bisognosi di cibo, anche se non cibo umano, e possiedono una volontà quasi umana." In che modo l'esistenza di questi esseri demonici si conciliasse col dogma della Trinità era problema che egli non si poneva, come non se lo poneva Bernardo Silvestre, l'esponente più noto di questa scuola di pensiero. Anche per Bernardo le stelle sono immortali, ma allo stesso tempo partecipano della natura dell'uomo, perché, come l'uomo, sono soggette alle passioni." La sua opera, di tono così paganeggiante da rendere quasi incredibile la sua ampia diffusione come libro di testo cristiano fino al tredicesimo secolo inoltrato, tratta della creazione dell'uomo e riferisce ampiamente come Natura andò alla ricerca di Urania, la dea delle sfere, perché, per creare l'uomo, aveva bisogno anzitutto delle stelle. Bernardo non era il solo a collegare le stelle con l'origine dell'uomo. Guglielmo di Conches, ad esempio, insegnava che Dio creò gli spiriti e le stelle, e che queste crearono a loro volta il corpo umano; ma insegnava altresì che l'anima umana è un dono di Dio, evitando in tal

modo una conclusione scopertamente astrologica.

Bernardo, tuttavia, non si fermò a mezza strada e arrivò ad attribuire all'influsso degli astri tutti gli eventi del mondo conosciuto: la saggezza dei greci, la potenza di Roma, le fatiche d'Ercole. Le stelle avevano inviato Cristo, e sempre le stelle avevano inviato, quando i tempi erano maturi, anche il rappresentante di san Pietro, papa Eugenio A Bernardo si deve inoltre uno dei pochi esempi medievali a noi noti di dramma classico, o meglio di epica classica." Ecco la storia: una donna apprende da un astrologo che per decreto delle stelle il bambino che porta in grembo è destinato a uccidere il proprio padre. Viene dunque deciso di esporre il neonato, ma la madre riesce a salvarlo. Il figlio cresce e diventa un giovane bello e brillante, che a tempo debito riesce a liberare Roma, sua città natale, dal nemico. Ritorna trionfante e viene incoronato re. Durante i festeggiamenti, la madre, non potendo più trattenersi, rivela il segreto al marito, che si rassegna al suo destino. Il figlio, però, allo scopo di spezzare l'incantesimo delle stelle, si appella al senato della città per ottenere il permesso di uccidersi, chiedendo solo che gli sia concesso un funerale onorevole. Qui la storia si interrompe, e rimaniamo nel dubbio se Bernardo intendesse far prevalere il decreto delle stelle o l'inclinazione cristiana al sacrificio. Una cosa però è chiara: Bernardo, che del resto non è un teologo, si situa al polo opposto di Abelardo: è tutto preso dalle nuove dottrine ed è pienamente consapevole delle conclusioni a cui portano.

È affascinante per uno storico osservare il gioco di queste nuove forze, la loro comparsa, il loro equilibrio instabile e la loro lotta per il predominio. Fino al secolo seguente non vi è alcun segno di sistemazione teorica; che cosa abbia reso gli uomini e le donne del dodicesimo secolo così ricettivi alle dottrine astrologiche rimane un enigma. Non possiamo fare altro che ricostruire la forma in cui la tradizione fu accolta e misurare la forza del suo impatto attraverso l'effetto che essa ebbe su pensatori come Abelardo e Bernardo .

Una nuova distanza, incommensurabilmente maggiore di prima, si era aperta tra l'uomo e il Dio delle Scritture. Possiamo forse dire che fino al dodicesimo secolo gli uomini avevano inviato le loro preghiere oltre i cieli direttamente alla Trinità; adesso la preghiera sale lentamente attraverso le sfere, e i demoni governatori dei cicli planetari sono più vicini al supplicante della divinità, e gli appaiono come i veri signori della sua vita di ogni giorno. Nessuna meraviglia, dunque, se le vecchie

preghiere ai pianeti, come quelle che conosciamo dai papiri magici, vengono di nuovo studiate e copiate," e non doveva essere raro, per un uomo in difficoltà, rivolgersi al proprio pianeta invece che a Cristo."

Conseguenza della nuova fede fu perciò un forte stimolo a indagare le leggi dei corpi celesti. La curiosità dello studioso scaturiva da un movente di carattere personale, il timore dei demoni. La storia dell'astronomia dal dodicesimo secolo fino all'epoca di Keplero non può essere separata dalla storia dell'astrologia, e non è un caso che persino Keplero abbia iniziato la sua carriera come astrologo. Oggi non ci occupiamo più di astrologia: non guardiamo più il cielo, poiché le stelle hanno perso il loro

significato religioso insieme alla loro natura demonica. Ma chi voglia comprendere la religiosità del Medioevo o cerchi di scrivere la storia dell'astrologia, troverà la strada bloccata se si accosterà all'argomento con idee moderne. Quando la fede negli astri trovò posto nella tradizione cristiana, la religiosità medievale ne fu sconvolta, e solo accogliendo questo dato di fatto possiamo sperare di comprendere i caratteri peculiari che separano il dodicesimo secolo dal millennio precedente.

Senza dubbio, dovette ritornare in uso anche l'antico sacrificio pagano alle divinità planetarie: a confermarlo è il numero considerevole di illustrazioni che in un

mostrano io fedele davanti all'altere su cui arde il fuoco sacrificale e, dietro l'altare, la vittima. Le preghiere che l'orante indirizza alle divinità astrali consistono, oltre che nell'invocazione del dio con tutti i suoi nomi, in una specie di litania e infine

nell'espressione dei propri desideri. Sulla realtà di questi sacrifici non possono esservi dubbi, né deve meravigliare che in un sol giorno dell'anno 1335 sessantatré persone siano state citate in giudizio a Tolosa con l'accusa di pratiche magiche, e che otto di esse siano state condannate a morte, undici al carcere a vita, quarantaquattro a vent'anni di prigione. Questi dati si possono leggere da documenti ancora esistenti. Il dodicesimo secolo che per primo vide l'astrologia pagana riprendere quota, dovette essere un'epoca per più versi affine alla nostra: l'età delle crociate fu percorsa da inquietudini simili a quelle odierne; lo strepitoso sviluppo della scienza dovette

alimentare allora come oggi, attese miracolistiche nei confronti degli scienziati; anche allora infine la religione cristiana sembrò non soddisfare più completamente i bisogni spirituali dell'uomo e si aprì un varco alla revivescenza del paganesimo. Grazie agli sforzi dei pensatori ebrei e cristiani la monumentale opera scientifica di Aristotele fu tradotta dall'arabo in ebraico e in latino e l'Europa poté così riscoprire le grandi conquiste della scienza e della logica greche.

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 159-162)

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