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Il demone socratico

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 48-50)

Gli interpreti sono rimasti per lo più assai sconcertati ed hanno dato

del daimonion socratico esegesi disparatissime. Qualcuno ha creduto di poter recidere la questione in tronco, mettendo interamente in conto all'ironia socratica e allasua inventiva tutta la faccenda del daimonion; altri hanno inteso questa peculiarissima esperienza socratica in chiave, per così dire, psichiatrica, e, cioè, come un fatto di natura psicopatica; altri, più moderatamente, lo hanno ridotto alla voce della

coscienza, o al sentimento del conveniente, o al sentimento che pervade il genio; e gli esempi si potrebbero moltiplicare, fino a giungere alle moderne interpretazioni in chiave psicoanalitica o ispirate alla psicoanalisi. Si tratta, per la verità, di studiosi che non credono al fatto religioso e lo risolvono e dissolvono in maniera positivistica o razionalistica o psicologistica o psicoanalitica e che, per conseguenza, travisano in maniera irreparabile quanto di peculiare c'è nell'esperienza del daimonion socratico. Innanzitutto è da rilevare che daimonion è un neutro, e che quindi (e su questo hanno ragione .di insistere gli interpreti di estrazione positivistica o razionalistica) non indica un démone-persona, ossia un essere personale (una specie di angelo o di genio), bensì un fatto o evento o fenomeno divino: in effetti mai, né in Platone né in Senofonte, il daimonion è detto "démone", ma è detto "segno" e "voce divina".

Precisato questo, però, è subito da rilevare quanto segue: a) espressamente

Socrate, nell'Apologia di Platone, mette in connessione il "segno divino" con i démoni, spiegando che, nella misura in cui egli crede a "cose demoniache", crede ai démoni e quindi agli Dei, da cui i démoni derivano b) inoltre, altrettanto espressamente, egli lo mette in connessione con Dio stesso, dicendo senza possibilità di equivoci che il segno e la voce che sentiva dentro di sé erano segno di Dio e voce di Dio. Orbene, tutta la grecità ha ritenuto i démoni intermediari fra gli Dei e gli uomini ed è altamente probabile, per non dire certo, che questa fosse anche la credenza di Socrate. Per il Greco non era facilmente pensabile un contatto o un rapporto immediato di Dio con l'uomo, e la concezione pluralistica del divino, che, come abbiamo veduto, anche Socrate condivise, portava di per sé a pensare il rapporto fra Dio e uomo tramite l'intermediario dei démoni.

Il "segno divino" doveva dunque venire a Socrate tramite un démone, tuttavia egli evitò questa parola e non è corretto (come fanno invece molti) tradurre senz'altro dai-

monion con démone, perché, così facendo, si esplicita ciò che da Socrate è volutamente

lasciato nell'indeterminato: egli, infatti, ha preferito attenersi a ciò che sentiva in sé e a qualificare come divino questo fenomeno, senza approfondire il modo con cui esso avveniva e per quale mediazione.

Il Teurgo

Il "teurgo" differisce dal "teologo" perché mentre questo si limita a parlare intorno agli dei, quello evoca gli dei e agisce su di essi. Ma che cos'è, esattamente, la "teurgia"?

Essa è la "sapienza" e l'"arte" della magia utilizzata per finalità mistico-

religiose. Appunto queste finalità costituiscono la nota caratteristica che distingue la teurgia dalla comune magia. Come abbiamo già veduto, Giuliano la considerava frutto di divina rivelazione. Il Dodds ha precisato molto bene che "mentre la magia volgare fa uso di nomi e formule di origine religiosa per fini profani, la teurgia adopera i proce- dimenti della magia volgare anzitutto per fini religiosi". E questi fini sono, come sappiamo, la liberazione dell'anima dal corporeo e dalla fatalità ad esso connessa e il congiungimento al divino.

Il Dodds ha anche cercato di mostrare come, probabilmente, i procedimenti della teurgia si distinguessero (analogamente a quelli della magia comune) in due

tipi: a) quelli dipendenti semplicemente dall'uso di "simboli" e b) quelli che, per dirla con linguaggio moderno, fanno uso di una forma di trance medianica.

I procedimenti del primo tipo costituivano probabilmente quella che era chiamata telestiké, la quale era la pratica che si. occupava "specialmente di consacrare ed animare statue magiche per ottenerne oracoli". Si fabbricavano statuette magiche con particolari procedimenti, riempiendone le cavità con animali, erbe, pietre e profumi (o anche gemme incise e formule scritte), considerati come dotati di particolari potenze, specie se riuniti e mescolati in particolari modi. Ogni divinità, spiega sempre il Dodds, "ha il suo rappresentante "simpatico" nel mondo animale, vegetale e minerale; questo è, o contiene, un simbolo della sua divina causa, ed è quindi in relazione con essa". A questa pratica del fabbricare statue magiche si accompagnavano, inoltre, anche invocazioni orali, in cui si pronunciavano nomi ed epiteti divini (alcuni dei quali si riteneva dovessero essere mantenuti in lingua barbara, giacché si affermava che, tradotti in greco, perdevano la loro divina efficacia). L'arte di fabbricare queste immagini magiche si diffuse largamente nel tardo paganesimo e fu addirittura difesa dagli ultimi Neoplatonici come un'arte di onorare le potenze superiori.

Il secondo modo di operare della teurgia è spiegato, sempre dal Dodds, nel modo seguente: "Mentre la telestiké cercava di inserire la presenza di una divinità in un "ricettacolo" inanimato, un altro ramo della teurgia mirava ad incarnare

temporaneamente la divinità in un essere umano. Come la prima arte era basata sul concetto più ampio di una simpatia naturale e spontanea fra l'immagine e l'originale, così la seconda si fondava sulla credenza molto diffusa che le alterazioni spontanee della personalità fossero dovute a possessione da parte di una divinità, un demone o anche una persona defunta". In particolare, è da notare come l'ingresso di una Divinità in una persona, che avveniva nella pratica teurgica, differiva da quello degli oracoli ufficiali per il fatto che "si riteneva che la divinità penetrasse nel corpo del medium, non per uno spontaneo atto di grazia, ma rispondendo alla chiamata dell'operatore o addirittura subendo la sua costrizione" .

Nei frammenti pervenutici degli Oracoli indubbiamente dovevano essere presenti ambedue questi rami della teurgia, come molti spunti e l'uso di termini tecnici lasciano intendere, ma non possiamo sapere fino a che punto fossero sviluppati. In questa sede non ci interessa discutere i vari problemi connessi a queste tecniche, ci interessa; invece, ribadire un punto molto importante. Queste pratiche teurgiche sono presentate non solo come finalizzate alla purificazione dell'anima e all'unione col divino, ma sono altresì inquadrate nello schema filosofico di cui abbiamo sopra detto e presentate come strumento necessario da usare insieme alla facoltà più alta che è in noi, ossia insieme a quel "fiore dell'intelletto", che, da solo, non sembra

bastare. L'autore degliOracoli impone infatti, per liberare l'anima, di "congiungere l'azione [teurgica] al logos sacro". E Michele Psello (che conosceva molto bene gli Oracoli) cispiega che il "logos sacro" o "pensiero sacro" corrisponde appunto al "fiore dell'intelletto", e che di per sé questo è incapace a portarci fino a cogliere il divino, e che, secondo l'autore degli Oracoli, la pratica del rito teurgico

è indispensabile. Psello fa poi un paragone molto interessante fra la dottrina cristiana di Gregorio Nazianzeno, quella puramente filosofica di Platone e quella

degli Oracoli, scrivendo testualmente: "Il nostro teologo Gregorio fa salire, egli pure, l'anima verso il divino mediante la ragione e la contemplazione: mediante la ragione, in quanto essa è in noi ciò che vi è di più intellettivo e migliore; mediante la

contemplazione, per l'illuminazione che è al di sopra di noi. Platone, dal canto suo, ci fa cogliere con la ragione e l'intuizione l'essenza intelligibile. Invece il Caldeo dice che noi non possiamo salire verso Dio se non fortificando il veicolo dell'anima mediante riti materiali. Egli ritiene infatti che l'anima sia purificata da pietre, da erbe, e da incantesimi e che così si muova facilmente per la sua ascesa".

Nel documento Il ritorno dello gnosticismo (pdf) (pagine 48-50)

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