Opera in esametri di cui ci sono pervenuti numerosi frammenti. L'autore indicato dalle fonti antiche è Giuliano il Teurgo, figlio di Giuliano detto "il caldaico", vissuto all'epoca di Marco Aurelio (II sec). Giuliano dichiara di averli ricevuti dagli dei. Il Dodds dice che questi discorsi confusi sembrano quasi discorsi prodotti da un medium ispirato da "spiriti guida".
Anziché alla sapienza egizia si ricollegano a quella babilonese. Il culto del sole e del fuoco caldaico vi gioca un ruolo fondamentale. Sono affini al Corpus Hermeticum. Al vertice c'è il Padre che pare identificarsi col primo intelletto e identificano le idee platoniche con i suoi pensieri. O forse padre e intelletto paterno sono distinti. Non è l'intelletto primo l'artefice del mondo ma un secondo intelletto che deriva dal primo. Terza nell'ordine viene l'anima identificata con Ecate. E' di origine divina, può ritornare a dio quando perfettamente purificata. Nella discesa si rivestono di una sorta di veicolo o materia Pneumatica. Esistono anche frammenti di tipo neopitagorico che parlano di triadi; il padre è anche detto monade triadica; l'organizzazione triadica si riflette sulla realtà
Gli Oracoli Caldaici sono una fonte importante di conoscenza delle pratiche Teurgiche della tarda antichità.
Mithraismo
Mithra è un dio solare dell'area indo-iranica, anello di congiunzione tra la civiltà e religione avestico-zoroastriana e quella vedico-induista. Già nell'Avesta, il testo sacro mazdeista, Mitra è strettamente associato al sole, un dio guerriero e un giudice infernale, ha mille orecchie e diecimila occhi. Persino nei territori dell'Impero
Romano, attorno al I sec. a. C., si diffuse un culto misterico associato alla figura di Mitra. Negli antichi inni vedici appare raramente (una sola volta nel Rigveda) quale dio singolo. Solitamente è associato a Varuna (nella figura di Mitravaruna): insieme, i due dei detengono la sovranità dell'universo e ne garantiscono l'ordine. Mentre Varuna rappresenta la notte e la forza ed è giudice severo e terribile, Mitra, il cui nome significa "amico", rappresenta il giorno e l'aspetto benevolo della divinità, veglia sugli accordi e sui contratti e garantisce la concordia tra gli esseri umani. Il Mitraismo, che si identifica col culto del Sole, deriva una grande forza morale dall'antico principio persiano dell'eterno combattimento del bene contro il male. Grazie a Mitra l'iniziato passa attraverso le sette sfere planetarie (i sette gradi di iniziazione) in ognuna delle quali depone una passione umana per arrivare puro in cielo.
Neopitagorismo
La revivescenza della filosofia pitagorica che si manifestò nel I secolo a. C. sia con la comparsa di scritti pitagorici di falsa attribuzione (Detti Aurei, Simboli, Lettere, attribuiti a Pitagora), e di altri scritti attribuiti al lucano Ocello e ad Ermete
Trismegisto sia con una fioritura di filosofi che dichiaravano di ispirarsi alle dottrine del pitagorismo antico. Fra essi; Nigidio Figulo, Apollonio di Tiana, Nicomaco di Gerasa e soprattutto Numenio di Apamea (I sec. d. C.). Le dottrine di questi scrittori non hanno nulla di originale ma presentano tratti che divennero propri del
neoplatonismo.
I tratti peculiari del "mediopitagorismo" sono i seguenti.
1) Gli autori mediopitagorici tendono a far credere scoperte di antichi Pitagorici dottrine posteriori, producendo una serie di scritti apocrifi contenenti quelle dottrine ed attribuendoli ad antichi Pitagorici.
2) Essi dimostrano una assai scarsa coscienza della propria identità filosofica e appunto per questo sentono il bisogno di nascondersi dietro una maschera. Nei loro scritti manca un baricentro. Essi si limitano, spesso, a riprendere dottrine di Platone e di Aristotele, talora quasi di peso.
3) La dottrina dei supremi principi della Monade e della Diade o non è presente o è scarsamente sfruttata, e, soprattutto, non è ontologicamente approfondita.
4) Si riscontrano infiltrazioni materialistiche e immanentistiche; oppure, quando vengono agitate tematiche metafisiche, si nota che gli autori mancano del senso specifico della prospettiva ontologica e metafisica.
5) Alla mentalità del pitagorismo medio sono forse collegati anche quei tentativi, che, rispetto a quelli degli pseudoepigrafi, sembrano più evoluti e in parte più consapevoli, come ad esempio quello dell'Anonimo di Alessandro Poliistore, in cui la dottrina della Monade e della Diade e la conseguente dottrina dei numeri vengono esplicitamente svolte, ma vengono ad un tempo combinate con il materialismo stoico. Il motivo per cui siamo propensi ad assegnare a tale tipo di pitagorismo tali documenti sta nel fatto che i Pitagorici più recenti, i "neoteroi", sono antimaterialisti e sono in serrata polemica sia con l'atomismo epicureo, sia con il corporeismo e l'immanentismo della Stoa, in piena sintonia con il parallelo movimento medioplatonico .
Quali sono, allora, i caratteri di quello che solo, propriamente, può denominarsi "neopitagorismo", ossia del pitagorismo sicuramente databile fra la fine dell'era pagana e i primi due secoli dell'era cristiana?
presentarsi col loro nome e con il loro volto. Ma questo accade ormai in epoca
imperiale. Naturalmente, questo non dovette avvenire di colpo, né in modo esclusivo. Alcuni degli stessi pseudoepigrafi, ad esempio, possono risalire a quest'epoca, in quanto recepiscono alcuni dei caratteri del pitagorismo di quest'epoca medesima, pur
mantenendo anche i vecchi connotati.
2) I Neopitagorici hanno la precisa coscienza della loro identità, nella misura in cui la loro dottrina rivela un preciso baricentro. Si noti come, parallelamente alla progressiva acquisizione di questa coscienza, muti l'atteggiamento nei confronti di Platone e di Aristotele, nonché dei filosofi dell'età ellenistica: mentre i più antichi autori di
pseudoepigrafi si limitano ingenuamente a riferire ad antichi Pitagorici dottrine di Pla- tone e di Aristotele, l'Anonimo di Fozio ha già stabilito una regolare "diadochia", ossia una "successione", in cui Platone e Aristotele figurano come membri della scuola pitagorica:
Il nono successore di Pitagora [. .. ] fu Platone, il quale fu allievo di Archita il Vecchio; il decimo successore fu Aristotele.
Moderato di Gades e i Pitagorici più recenti rincarano la dose. Essi giungono
addirittura ad accusare Platone, Aristotele e gli Accademici di mistificazione, ossia di essersi appropriati delle dottrine di Pitagora con poche modificazioni, ma senza
dichiararlo e, anzi, citando la filosofia di Pitagora solo nei suoi aspetti più superficiali e deboli, al fine di screditarla. Riferisce Porfirio, attingendo da Moderato:
[. .. ] Platone, Aristotele, Speusippo e Aristosseno e Senocrate, al dire dei Pitagorici, si appropriarono con leggere modificazioni di quanto vi era di buono in quella filosofia; e riunirono le parti volgari e mal ferme e quanto fu escogitato successivamente dagli invidiosi calunniatori al fine di abbattere e irridere quella scuola e le lasciarono da un canto come proprie esclusivamente di tal setta.
Numenio, che pure, come vedremo, cerca di fondere pitagorismo e platonismo, ritiene Pitagora non solo non inferiore, ma, sotto certi rispetti, addirittura superiore a Platone, e afferma che lo stesso Socrate fu discepolo di Pitagora.
Per quanto concerne, invece, il rapporto con le scuole ellenistiche, i Neopitagorici hanno piena consapevolezza di ciò che irrimediabilmente li divide da esse. Gli Anonimi di Sesto polemizzano espressamente, come sappiamo, contro il materialismo di Epicuro, mentre Numenio polemizza esplicitamente contro quello della Stoa.
3) Abbiamo cosi toccato uno dei caratteri più qualificanti del neopitagorismo, vale a dire La riscoperta e La riaffermazione dell'"incorporeo" e dell'"immateriale", ossia il ricupero di quell'orizzonte che era stato perduto con i sistemi dell' età ellenistica. È questo uno dei principali meriti storici di questa corrente, la quale, insieme al medioplatonismo, ha preparato le basi della grande sintesi neoplatonica.
4) L'incorporeo non viene inteso dai Neopitagorici allo stesso modo dei Medioplatonici, ossia prevalentemente sulla base della metafisica del Nous di estrazione aristotelica e di quella delle Idee di estrazione squisitamente platonica, bensì sulla base della dottrina della Monade, della Diade e dei numeri. Tale dottrina è solo indirettamente pitagorica e si aggancia piuttosto alle speculazioni dell'antica Accademia di Speusippo e di
volte rilevato, avevano dato una piega accentuatamente matematica alla metafisica (già Aristotele lamentava che la filosofia dei suoi tempi era diventata appunto matematica). Tuttavia, la dottrina dei numeri viene ripresa in una chiave che, rispetto all' Accademia, accentua maggiormente il loro carattere simbolico. I numeri esprimono, cioè, qualcosa di metanumerico, ossia principi più profondi, che, per la loro difficoltà, mal si prestano ad essere di per se stessi rappresentati, e che, invece, per mezzo dei numeri possono essere chiariti, nel senso che meglio vedremo più avanti.
5) La dottrina della Monade e della Diade viene. sottoposta ad approfondimenti di un certo rilievo. A partire da una originaria formulazione che vedeva nella Monade e nella Diade la suprema coppia di contrari, si delinea una tendenza sempre più accentuata a porre la Monade in posizione di assoluto privilegio, distinguendo una prima da una seconda Monade e contrapponendo solo quest'ultima alla Diade, e anche cercando di dedurre tutta quanta la realtà dalla Monade suprema, compresa la stessa Diade (su questo punto, peraltro, la terminologia è oscillante: mentre alcuni chiamano Uno la prima Monade, altri chiamano invece Uno la seconda).
6) Alla dottrina delle Idee viene dato scarso rilievo e solo subordinatamente alla
dottrina dei numeri, i quali, oltreché nel modo sopra accennato, vengono intesi in modo teologico, anzi teosofico: si sviluppa, cioè, una vera e propria aritmologia o aritmosofia. 7) Per quanto concerne la concezione dell'uomo, i Neopitagorici richiamano in auge la dottrina della spiritualità dell'anima e della sua immortalità (e, di conseguenza, anche la dottrina della metempsicosi viene ripresa e riaffermata). Il fine dell'uomo viene additato nel distacco dal sensibile e nell'unione col divino.
8) L'etica neopitagorica assume forti tinte mistiche; la stessa filosofia viene intesa come rivelazione divina e la figura ideale del filosofo, identificata in maniera paradigmatica in Pitagora, più che quella di un uomo perfetto diventa quella di un essere prossimo ad un Demone o ad un Dio, o, comunque, quella di un profeta o di un uomo superiore che ha commercio con gli Dei.
Prima di passare all'illustrazione di questi singoli punti, dobbiamo chiarire un'ultima questione. Non è certamente esatto considerare Numenio un Medioplatonico, come molti fanno, ma non è neppure corretto considerarlo alla stregua degli altri
Neopitagorici. Infatti, come vedremo, Numenio fonde insieme le due correnti di pensiero, e, per tale motivo, va trattato a parte, in quanto, con questo suo tentativo, anticipa, in una certa misura, il neoplatonismo.
Neoplatonismo
La scuola filosofica fondata in Alessandria da Ammonio Sacca nel n secolo d. C. e che ha come suoi maggiori rappresentanti Plotino, Giamblico e Proclo, Il Neoplatonismo è una scolastica: è cioè l'utilizzazione della filosofia platonica (filtrata attraverso il neo- pitagorismo, il platonismo medio e Filone) per la difesa di verità religiose cioè di verità che si ritenevano rivelate all'uomo ab antiquo e da lui riscopri bili nell'intimità della coscienza. I capisaldi del Neoplatonismo sono i seguenti:
1 ° il carattere rivelativo della verità, che perciò è di natura religiosa e si manifesta nelle istituzioni religiose esistenti e nella riflessione dell'uomo su se stesso;
2° il carattere assoluto della trascendenza divina, per il quale Dio, considerato come il Bene, è posto al di là di ogni determinazione conoscibile e ritenuto ineffabile;
3° la teoria dell'emanazione cioè della derivazione necessaria da Dio di tutte le cose esistenti, che diventano sempre meno perfette a misura che si allontanano da Lui; e la conseguente distinzione tra il mondo intelligibile (Dio, Intelletto e Anima del mondo) e il
mondo sensibile (o materiale) che è un'immagine o parvenza dell'altro;
4° il ritorno del mondo a Dio attraverso l'uomo e la sua progressiva interiorizzazione. sino al punto dell'estasi cioè dell'unione con Dio.
Nel Neoplatonismo si sogliono distinguere: la Scuola Siriaca fondata da Giamblico; la Scuola di Pergamo alla quale appartenne fra gli altri l'imperatore Giuliano detto
l'Apostata; e la Scuola di Atene il cui maggiore rappresentante fu Proclo. Ma le dottrine fondamentali del N. hanno avuto, e continuano ad avere, un 'influenza profonda su molti indirizzi del pensiero filosofico.
Il "platonismo. del Rinascimento è in realtà un N. che ripete, con alcune variazioni, le tesi su esposte. Le variazioni che caratterizzano il N. rinascimentale (quello di Cusano, Pico e Ficino) sono relative alla maggiore importanza attribuita all'uomo e alla sua funzione nel mondo, conformemente a quello che è lo spirito generale del Rinascimento. Una forma di razionalismo religioso è invece il Neoplatonismo inglese che fiorì nella scuola di Cambridge nel sec. XVII (Cudworth, Moore, Whichcote, Smith, Culverwel); che da un lato si oppone al materialismo di Hobbes e dall'altro sostiene che le idee fondamentali della religione sono state stampate direttamente da Dio nella ragione e nell'intelletto dell'uomo e perciò precedono la conoscenza empirica delle cose naturali. Ma anche nel N. inglese ritornano molti temi del N. rinascimentale, specialmente di Ficino.
Giamblico
Nella giustificazione del politeismo Giamblico poteva avvalersi largamente dei risultati cui era pervenuta la precedente speculazione medio- e neoplatonica nonché quella neopitagorica. Ma come era possibile giustificare quella teurgia, che, sotto certi aspetti, pareva essere l'antitesi della filosofia e le cui pretese Porfirio aveva cosi lucidamente contestato?
Vediamo di determinare, in primo luogo, quale sia esattamente la concezione che Giamb1ico aveva della teurgia. Nel De Mysteriis veniva presentata come una pratica e anzi un'arte con cui mediante opportuni atti, simboli e formule, non compresi dalla umana ragione ma compresi dagli Dei, l'uomo poteva congiungersi con gli Dei
medesimi e beneficiare dei loro influssi e della loro potenza. L'unione teurgica con la divinità e le relative pratiche necessarie per realizzarla erano dunque concepite come qualcosa che era decisamente meta-razionale. Il nostro filosofo scrive testualmente:
"quelle cose; infatti, in tal caso, esse sarebbero effetti della nostra intelligenza e
dipenderebbero da noi; ma né l'una né l'altra cosa è vera. Infatti, senza che noi
esercitiamo il nostro pensiero i segni stessi operano per virtù propria, compiono
l'attività che è loro peculiare, e l'ineffabile potenza degli Dei, ai quali queste
cose sono rivolte, di per se stessa riconosce le proprie immagini senza essere
svegliata dall'attività del nostro pensiero [ ... ]".
Le obiezioni di Porfirio cadono, secondo Giamblico, se si tiene ben fermo che la teurgia è una attività al di sopra dell'intelletto e della ragione dell'uomo e quindi al di sopra delle facoltà razionali. Nella teurgia non è l'attività dell'uomo che sale agli Dei e li raggiunge, giacché, in tal caso, verrebbe compromessa la impossibilità degli Dei
medesimi, come diceva appunto Porfirio; si tratta, invece, della stessa potenza divina che scende agli uomini, o, meglio, che libera gli uomini da questo mondo e li riporta agli Dei; si tratta, insomma, di una iniziativa degli Dei più che degli uomini.
Chiarisce molto bene questi concetti l'Hadot: "Se noi potessimo ottenere l'unione perfetta con gli Dei mediante la contemplazione, allora sarebbe mediante le nostre forze che noi raggiungeremmo il divino. Gli Dei sarebbero allora mossi da esseri inferiori. Al contrario, se essi stessi scelgono le pratiche, incomprensibili agli uomini, mediante le quali si può sperare di unirsi a loro, essi restano immobili in se stessi e mantengono loro l'iniziativa".
Chiunque ci abbia seguito fino a questo punto potrà facilmente comprendere che il costo di questa operazione tentata da Giamblico era altissimo. Essa significava
esattamente la esplicita ammissione dell'incapacità della filosofia classicamente intesa a condurre l'uomo al raggiungimento del suo fine supremo.Ancora Plotino, come
abbiamo sopra rilevato, ribadiva la convinzione tutta greca nella possibilità per l'uomo di realizzare l'"unione" con il Divino mediante le sue sole forze, mentre Giamblico nega ormai, a livello tematico, questa possibilità.
È evidente che nella teurgia e negli "atti e simboli indicibili" della teurgia, che la ragione umana non comprende ma che gli Dei comprendono, il Pagano cercava ciò che ormai era risultato chiaro che la ragione da sola non poteva dare e che i Cristiani indicavano nella Grazia e nei sacramenti, ma su ben diversi fondamenti e con ben diverse garanzie.