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Il ministro degli esteri Tittoni, preoccupato per le gravi divergenze che esisteva- no per l’Asia Minore tra noi e la Grecia, decise di accordarsi con il primo mini- stro Venizelos sulla delimitazione delle rispettive sfere di influenza. Il 29 luglio

1919 fu firmato l’accordo Tittoni-Venizelos con il quale l’Italia si impegnava non soltanto a sostenere le rivendicazioni greche sulla Tracia orientale e occi- dentale e sull’Epiro settentrionale ma era pronta persino a cedere le isole del Dodecaneso, eccettuate Rodi e Castelrosso, e il vilayet di Smirne. In cambio di tutto ciò la Grecia riconosceva il mandato italiano sull’Albania, sul distretto tur- co di Adalia e concedeva al nostro paese l’affitto di una zona libera nel porto di Smirne.

Tuttavia l’articolo 7 di questo accordo, prevedendo il caso che le aspirazioni ita- liane nell’Asia Minore non fossero state soddisfatte, lasciava all’Italia piena li- bertà di azione su tutte le clausole del trattato.(60)

L’accordo Tittoni-Venizelos provocò soddisfazione nel Dodecaneso.

I leader locali erano convinti che questo compromesso fosse il risultato del ple- biscito e dell’eccidio di Paradisi, ma era stata soprattutto la volontà anglofrance- sedi sottrarre le isole all’Italia a determinare tale esito.

Il trattato di Sevres (10 agosto 1920) tra la Turchia e le potenze alleate prevede- va la rinuncia da parte della prima a tutti i suoi diritti sulle isole egee, compresa Castelrosso, allora occupata dalla Francia, a favore dell'Italia, la quale nel con- comitante accordo con la Grecia, previde la cessione a quest'ultima di tutte le i- sole occupate tranne Castelrosso e Rodi, che avrebbero goduto di un regime di larga autonomia e per la quale era previsto un plebiscito il giorno in cui la Gran Bretagna avesse preso l'iniziativa di cedere Cipro alla Grecia, in ogni caso non prima di quindici anni. Il governo italiano diede a questo accordo un principio di esecuzione ordinando il trasferimento in Anatolia del comando militare e l'istitu- zione nel Dodecaneso di un governo civile affidato a Felice Maissa con la quali- fica di governatore di Rodi e Castelrosso.(61)

Gli irredentisti isolani ritennero che il loro destino si fosse risolto e che presto avrebbero potuto riunirsi alla madrepatria, ma prima che il trattato di Sevres fos- se ratificato ufficialmente i rapporti di forza internazionali si modificarono: la posizione britannica e quella greca s’indebolirono notevolmente, consentendo

all’Italia di rinnegare gli accordi.

Infatti, le truppe greche che avevano occupato Smirne e dintorni nel 1919 furono prima bloccate e poi respinte dai nazionalisti turchi guidati da Mustafà Kemal detto Ataturk.(62)

Le potenze dell’Intesa chiesero alla Grecia di sospendere le operazioni e di la- sciare ad esse la cura di regolare la questione greco-turca. La Grecia, invece, proseguì nelle sue fallimentari offensive.

Il principale fattore della disfatta greca fu la perdita dei suoi sostenitori fra gli al- leati durante l’autunno del 1920, periodo coincidente con il ritorno sul trono del re Costantino I, il quale tenne durante la prima guerra mondiale una politica di neutralità benevola verso la Germania.

Alla metà del 1921 i turchi avevano iniziato a minacciare le posizioni in Anato- lia tenute dalle truppe di occupazione inglesi, francesi ed italiane. A tutti conve- niva negoziare e gli italiani, in particolare, preferivano concessioni economiche piuttosto che continuare a combattere e lo stesso decisero gli inglesi nell’ottobre 1922. L’Italia, inoltre, era particolarmente svantaggiata dal fatto che, per man- canza di fondi, non aveva potuto rafforzare i suoi presidi nel Dodecaneso. Tale debolezza avrebbe potuto spingere il nuovo governo turco ad attaccare l’arcipelago, per dimostrare all’Europa la forza acquisita.

Nessuna potenza europea voleva ormai impegnarsi a far rispettare il trattato di Sevres; per la Grecia ciò significa battersi da sola, ed era un’impresa spropor- zionata ai suoi mezzi; la sua debolezza economica e demografica gli impediva di sopportare una mobilitazione prolungata.

Nell’agosto 1922 i turchi con un’impetuosa offensiva travolsero il dispostivo greco, infliggendo all’avversario una irreparabile sconfitta. Il 9 settembre la città di Smirne venne riconquistata e i quartieri greci dati alle fiamme.

La popolazione ellenica venne massacrata o costretta alla fuga via mare.

Una parte dei profughi fece rotta sul Dodecaneso, di cui molti erano oriundi, malgrado il Ministero italiano degli Affari Esteri avesse ordinato al nostro con-

sole a Smirne, Senni, di evitare che i profughi si dirigessero su Rodi, per impedi- re che la presenza greca nelle isole occupate dagli italiani aumentasse numeri- camente. In linea di massima fu loro vietato lo sbarco, e coloro ai quali fu con- sentito vennero considerati dalle autorità italiane come residenti in Dodecaneso solo provvisoriamente. Giunsero a Rodi da Smirne circa tremila profughi, muniti di documenti d'identità personale vistati dal console italiano, i quali si presenta- rono in condizioni assolutamente pietose. Data la mancanza di viveri sui piro- scafi e le drammatiche condizioni igieniche, venne consentito lo sbarco di 1.784 di essi, previo controllo dei documenti, da cui risultarono italiani e dodecanesini, con un piccolissimo gruppo di 233 greci ortodossi, 25 armeni e 81 israeliti.(63)

La Grecia fu costretta ad accettare il trattato di Losanna, in virtù del quale essa dovette ritirarsi dalla Tracia orientale e dall’Asia Minore, rinunciando ad ogni idea di resurrezione dell’impero bizantino. La disastrosa campagna di Anatolia influì profondamente sulla situazione economica interna a causa della repentina immissione di un milione e duecentocinquantamila profughi dell’Asia Minore, non compensata dall’esodo di trecentomila alloglotti turchi.

Il precedente trattato di Sevres doveva quindi essere rivisto globalmente, essen- do la Grecia stata sconfitta sul campo dalla Turchia, e l’Italia non ritenne di do- ver adempiere agli accordi Tittoni-Venizelos.

Anzi, poté ampliare i confini del Dodecaneso.