Capitolo III L'Egeo in guerra
3.1 Il possedimento durante la seconda guerra mondiale
Delle forze presenti in Egeo, circa 50.000 uomini delle tre armi, la gran parte
apparteneva al Regio Esercito. Truppe presidiarie poco addestrate e preparate al combattimento in campo aperto che vivevano in condizioni materiali e psicolo- giche difficili, in perenne attesa di un’invasione dal mare che non sarebbe mai arrivata.
La divisione di fanteria “Regina” era l’unità che svolgeva il ruolo di guarnigione permanente nelle isole del Dodecaneso.(1)
Il sottotente Baldi rievoca così l’addestramento militare a cui era sottoposto il suo reggimento nell’imminenza dell’entrata in guerra:
“Al 9 “Regina” non ci si ammazzava certo di fatica, anzi per dirla schietta, si faceva una vita piuttosto sfaticata: qualche marcetta nei dintorni di Rodi, un po’ di addestramento in ordine chiuso e molto “olio di gomito”, come si diceva, ossia lavoro in caserma per le pulizie: pulizia delle camerate, pulizia delle scarpe, pulizia delle armi. Anzitutto le bellurie.
D’altronde, il clima dolce, un po’ molle diRodi non consentiva che ci si impegnasse in attività più rudi efatico- se, quali si convenivano a un vero addestramento militare.” (2)
Come ho detto in precedenza, le isole erano costellate di batterie costiere della Regia Marina ma con pezzi navali obsoleti e artiglieri poco addestrati al tiro. Il 30 maggio 1940 si tenne una riunione dei Capi di Stato Maggiore, presieduta da Badoglio, inerente alla preparazione dell'Egeo italiano.
In primo piano per quei territori era l'organizzazione della difesa, con pochi mezzi finanziari e relativamente poche risorse umane. Era considerato assai im- portante il problema delle scorte, che già precedentemente era stato valutato in una esigenza bellica pari a dodici mesi: l'obbiettivo però non era stato raggiunto.
In realtà come spiegò Graziani, divenuto Capo di Stato Maggiore dell'Esercito il 3 novembre 1939, sostituendo Pariani in questo specifico incarico, la forza terre- stre aveva portato le proprie scorte a 6 mesi nell'Egeo: questo era già un succes- so, considerato che in quel periodo erano a 3 mesi per l'Africa settentrionale e a 3 mesi anche per l'Africa Orientale Italiana.
Per la Marina le scorte erano le seguenti: nafta, due mesi e mezzo; viveri, nell'E- geo, secondo quanto stabilito da De Vecchi, sei mesi perché a Lero la Regia Ma- rina aveva l'obbligo di provvedere a tutte le forze presenti nell'isola che ammon- tavano a circa 12.000 unità; per il vestiario, le scorte erano sufficienti per un pe- riodo di sei mesi. Per le munizioni era stata fatta una divisione tra munizioni an- tinavi, antiaerei e antisiluranti e le scorte ammontavano a 5 mesi; per la contrae- rea, la situazione era ottimale in quanto le scorte erano sufficienti per un anno. Peccato però che le postazioni delle batterie non fossero sufficienti e il personale da adibire ai pezzi, scarso.
Per l'Aeronautica, il Capo di Stato Maggiore Pricolo, fece presente che la situa- zione era disarmonica, in quanto nel Dodecaneso vi erano scorte di carburante per un mese, mentre le munizioni erano sufficienti per quattro mesi.(3)
Quando ormai l’Italia è in procinto di entrare in guerra, diventa praticamente i- nevitabile che l’ansia di De Vecchi di agire, anche in posizione di protagonista, si scontri con le strategie dello Stato Maggiore Generale.
Un promemoria riservato sulla situazione nell’Egeo, affidato da De Vecchi a Et- tore Muti, allora segretario del pfn, affinché lo consegnasse a Mussolini, e da quest’ultimo consegnato a Badoglio, è sicuramente una delle cause del precipita- re dei loro rapporti.
Nel promemoria De Vecchi invocava un uso offensivo, e non solo difensivo, dell’aviazione, recriminando sui ritardi frapposti al completamento dei lavori a- gli aeroporti di Cattavia, Scarpanto e Coo, ma soprattutto elaborava una strategia per cacciare con ogni mezzo il nemico dalle acque territoriali greche, impeden- dogli il traffico coi Balcani e il mar Nero, e per provocarlo con tutti i mezzi ad
insinuarsi tra le nostre isole in modo da affondare il suo naviglio.
La risposta di Badoglio fu formale ma al tempo stesso velenosa:
“Quando il problema viene esaminato dal quadro ristretto di uno scacchiere al quadro generale dell’intero e vasto teatro di guerra, le conclusioni alle quali si giunge sono diverse perché strettamente commisurati alle nostre limi- tate possibilità debbono essere gli scopi che ci ripromettiamo di raggiungere.”(4)
Ciano nel suo diario, sotto la data del 6 marzo 1940, annota:
“Forse entreremo in guerra, ma saremo impreparati e disarmati. Per la prima volta ho trovato uno che vuole fare subito la guerra coi tedeschi contro la Francia e l’Inghilterra. Questi è nientedimeno che l’intrepido Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon! Gli americani dicono che ogni minuto nasce un imbecille: basta trovarlo. Questa volta l’ho trovato. E’ soprattutto un vanesio che sogna maresciallati e collari e spera di conquistarli col sangue degli altri.”(5)
Allo scoppio della guerra il Dodecaneso si trovò completamente isolato dalla madrepatria. La presenza nell’Egeo di una poderosa flotta britannica rendeva e- stremamente pericolosa la navigazione delle navi mercantili italiane che porta- vano i rifornimenti alle isole.
Nel giugno 1940 la Regia Marina disponeva di una flotta che per dislocamento complessivo occupava il quinto posto tra quelle mondiali. Con caratteristiche specificatamente di scorta ai convogli possedeva però soltanto poche unità.
Questa situazione era la conseguenza degli orientamenti dell'ammiraglio Cava- gnari, Sottosegretario dall'8/11/1933 e Capo di Stato Maggiore della Marina dall' 1/6/1934, che durante il suo mandato aveva privilegiato la costituzione di unità "da battaglia". Egli era infatti assertore del principio che solo la battaglia navale era risolutiva nella guerra sul mare, ipotizzando che all'eventuale scorta dei con- vogli potevano essere destinate solo le navi più antiquate.
La flotta presente nell'arcipelago era assolutamente inadeguata a fronteggiare la Royal Navy, essendo composta da navi datate e di piccolo tonnellaggio.
L’unico tentativo da parte della marina di dislocare una forza navale di un certo rilievo, fallì a metà luglio del 1940, in occasione del trasferimento in Egeo dei
due incrociatori leggeri della II divisione “Colleoni” e “Bande Nere”.
L’ordine d’operazioni n. 1512 ricevuto dall’ammiraglio Casardi, comandante la
divisione, prevedeva il cannoneggiamento degli obbiettivi costieri situati sul li- torale egiziano di Sollum e quindi fare rotta verso Portolago, nell’isola di Lero, per poi condurre da quella base una specie di “guerra corsara” al traffico nemico nel Mediterraneo orientale.
All’ultimo momento l’azione contro gli obbiettivi costieri fu annullata e quindi le due unità italiane, il 17 luglio, si diressero da Tripoli per Lero.
Il 19 i nostri incrociatori trovarono sulla loro rotta, al largo di Capo Spada sulla costa settentrionale di Creta, cinque cacciatorpediniere e un incrociatore leggero britannici. Ne nacque uno scontro che vide il “Colleoni” colpito gravemente e immobilizzato dal tiro delle unità avversarie, mentre il “Bande Nere”dovette al- lontanarsi alla massima velocità. Successivamente a questo funesto scontro le al- te sfere della Regia Marina reputarono troppo rischioso inviare navi di grosso dislocamento in quel teatro bellico così lontano dal territorio metropolitano. In pratica le uniche unità navali colà dislocate furono qualche silurante, poche squadriglie di MAS ed alcuni sommergibili che non rappresentarono mai un ve- ro problema per la Mediterranean Fleet.(6)
L’unica arma che poteva in qualche modo ostacolare i traffici marittimi nemici e recare un qualche danno agli impianti ed ai porti nemici era la Regia Aeronauti- ca.
Gli inglesi non tardarono ad attaccare le isole dal cielo.
A causa della distanza dalle basi mediorientali la RAF era costretta ad impiegare i bombardieri bimotori Vickers Wellington che tuttavia erano piuttosto lenti e facilmente intercettabili dai biplani CR 42 e dai G 50, che costituivano il nucleo dell’aviazione da caccia a disposizione del possedimento.(7) (8)
Rodi subì un incursione aerea nemica la sera stessa del 10 giugno 1940; gli aerei inglesi bombardarono i campi d’aviazione di Maritza e Gadurrà.
che miravano a distruggere gli impianti aeroportuali in quell’occasione provoca- rono danni molto lievi.
Una seconda incursione venne effettuata la notte del 20 ottobre con effetti più tragici: la contraerea italiana fu colta impreparata e i bombardieri britannici col- pirono una delle caserme della Regia Marina uccidendo 40 marinai e ferendone diverse decine.
Un’incursione di qualche giorno dopo fallì completamente perché la contraerea, allertata in tempo dagli apparecchi di avvistamento fonico, reagì immediatamen- te all’arrivo degli aerei e ne distrusse una decina ancor prima che potessero sganciare le bombe.
Da quel giorno Lero non subì più attacchi fino al settembre ’43 quando agli aerei inglesi si sostituirono quelli dei nuovi nemici, i tedeschi.(9)
L’aeronautica dell’Egeo operò infaticabilmente, condizioni meteo permettendo, per trentanove lunghi mesi eseguendo ricognizioni a lungo raggio sino al Golfo della Sirte, bombardamenti diurni e notturni contro il porto di Alessandria d’Egitto, il terminale petrolifero di Haifa e decine di salvataggi in mare con i- drovolanti.
Le forze aeree del Dodecaneso compirono 5.410 missioni tra il 10/6/1940 e l’8/9/1943.
Ad essa va ascritto il volo bellico più lungo senza rifornimento nella zona d’operazioni occidentale.
Il 18 ottobre quattro SM 82 marsupiali (muniti per l’occasione di serbatoi sup- plementari di carburante e di impianti radiotelegrafici potenziati) partirono da Rodi per effettuare il bombardamento con spezzoni incendiari delle raffinerie petrolifere di Manata nelle isole Bahrein, Golfo Persico.
Rientrarono incolumi alla base dopo aver percorso 4200 chilometripercomples-