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Capitolo III L'Egeo in guerra

3.8 Gli italiani sbarcano a Creta

Nel mese di maggio Hitler decise di sferrare l’attacco a Creta, ultimo lembo di terra ancora appartenente al governo ellenico e importante base strategica ingle- se dalla quale si sarebbero potuti sferrare ulteriori attacchi sul Dodecaneso.

L’”Operazione Merkur”, fu stabilita dallo stato maggiore tedesco e Mussolini mise a disposizione dell’alleato il supporto navale ed aereo.

Lanciato il 20 maggio 1941, l’attacco fu condotto esclusivamente da truppe a- viotrasportate e si concluse dopo undici giorni di combattimenti, con l’evacuazione delle forze inglesi dall’isola.

I tedeschi avevano sottovalutato l’entità delle forze anglo-greche presenti su Creta: i loro servizi informativi li avevano stimati in 15-20.000; in realtà supera- vano i 40.000.

I paracadutisti si trovarono così di fronte ad una resistenza superiore al previ- sto.(39)

Durante la battaglia per Creta, la Regia Aeronautica concentrò nelle basi dell’Egeo soltanto 25 bombardieri e 25 caccia. Quei pochi equipaggi ottennero tuttavia buoni risultati. Il 23 maggio cinque Cant Z 1007 bis riuscirono a centra- re in pieno,con le loro bombe, il cacciatorpediniere inglese “Juno” facendolo e- splodere. Il 27 maggio una sezione di SM 84, bombardò il cacciatorpediniere “Imperial”, che sarebbe stato poi affondato dagli inglesi stessi per i gravi danni

nella fiancata dell’incrociatore leggero “Ajax”.(40)

La Regia Marina mise a disposizione naviglio sottile. In particolar modo il sup- porto navale italiano si rese necessario per scortare due piccoli convogli tedeschi salpati dal Pireo il 21 maggio e composti da circa trenta caicchi. La flottiglia pe- rò venne attaccata da un incrociatore britannico e da vari cacciatorpediniere. Nonostante la coraggiosa difesa apportata dalle unità italiane, le torpediniere

“Lupo” e “Saggitario”, numerosi caicchi furono colpiti edaffondati con elevatis-

sime perdite tra le forze tedesche imbarcate.

Mussolini decise anche di approntare nel Dodecaneso un contingente da inviare nella parte orientale dell’isola greca come simbolico atto di partecipazione terre- stre dell’alleato italiano nel quadro dell’invasione di Creta.

Il comando delle truppe fu affidato al colonnello Ettore Caffaro.

Il corpo di spedizione italiano era composto dal reggimento di formazione della divisione “Regina”, reparti di fanti di marina, camicie nere e carabinieri, un plo- tone trasmissioni del genio divisionale, la XLI sezione sanità, per un totale di circa 2.500 uomini.

L’armamento pesante era costituito da 46 mitragliatrici Fiat 35,6 mortai da 81mm, 18 mortai Brixia da 45mm, 6 cannoni da 65/17 e 47/32, 13 carri leggeri L/3, 9 motociclette, un autocarroe 205 muli.(41)

Così il sottotenente Baldi descrive le truppe che si apprestavano a sbarcare a Creta:

“Nei giorni successivi al 20 maggio (data d’inizio dei combattimenti a Creta) erano concentrati a Rodi tutti i re- parti che dovevano partecipare alla spedizione, vale a dire: il I battaglione del 9 fanteria, il II battaglione del 10 (l’altro reggimento della divisione “Regina”, di stanza nelle isole minori), una compagnia di carri armati L3 (os- sia da tre tonnellate, chiamati “scatole di sardine” per la loro piccola dimensione e la corazzatura di latta), una compagnia anticarro con quattro pezzi da 47 (che non sarebbero nemmeno riusciti a scalfire i blindati del nemi- co), una compagnia di mortai da 81 mm, un plotone di fanteria di marina della nostra base navale di Lero; infine, fiore all’occhiello, un plotone di camicie nere di Rodi, formato di volontari, in maggioranza pubblici funzionari e impiegati, che volevano acquisire benemerenze belliche a scopo di carriera.

Come comandante di questo contingente raccogliticcio era stato designato il colonnello Caffaro; l’ardito del Car- so, lo spregiatore della guerra moderna, che pur non avendo alcuna esperienza in operazioni di sbarco era tutta-

via il colonnello più anziano sulla piazza e quindi secondo i criteri in auge nell’esercito, il più adatto a guidare la spedizione.

Gli uomini dei reparti mobilitati erano circa 2.500-2.600, cioè pochi per un’operazione di sbarco in forze, ma troppi per un sacrificale “contributo di sangue”.

Per di più i nostri apparivano male armati e peggio equipaggiati, vale a dire mancanti di mezzi da sbarco, veicoli da trasporto, reparti d’artiglieria, servizi del genio. In un certo senso la nostra poteva considerarsi un’impresa ga- ribaldina in ritardo di quasi un secolo.”(42)

La flotta assemblata per lo sbarco era costituita da quattro gazolini, due piccoli piroscafi, la nave fluviale “Porto di Roma”, due navi frigorifere, il vaporetto la- gunare “Giampaolo”, una nave cisterna, due rimorchiatori. Alcune unità vennero dotate di passerelle da sbarco ma nessuna di esse era adeguata sia per pescaggio, capacità di trasporto e dotazioni di bordo, allo scopo.

La scorta navale era costituita dal cacciatorpediniere “Crispi”, dalle torpediniere “Lince”, ”Libra”, ”Lira” e da alcuni MAS.

Il 27 maggio il convoglio salpò da Rodi.

Per risparmiare benzina le navi più piccole e lente furono prese a rimorchio da quelle più grandi. A causa della mancanza di apparati radio nella flottiglia, i co- mandi venivano impartiti da alcuni MAS che facevano la spola tra le navi del convoglio.

La velocità media della flottiglia era di circa 7 nodi.

Lo sbarco avvenne nella baia di Sitia, nella zona orientale dell’isola, senza in- contrare alcuna resistenza.

Se la piccola operazione italiana si fosse svolta come inizialmente pianificato e come decrittato dagli inglesi, nella notte tra il 23 e il 24 maggio avrebbe incon- trato sulla sua rotta gli incrociatori "Ajax" e "Dildo" e due cacciatorpediniere che, appunto, erano stati inviati a pattugliare le acque del canale di Caso per in- tercettarla.

Il 29 maggio il corpo di spedizione italiano si spinse nell’entroterra, durante la marcia vi furono alcuni scontri di lieve entità con formazioni armate delle resi- stenza cretese che furono facilmente sbaragliate. Il 30 maggio gli italiani occu-

pavano Jerapetra. Il 31 maggio le truppe italiane raggiungevano gli obbiettivi stabiliti. Le condizioni in cui avvenne la marcia a piedi dei reparti italiani furono pesantissime (60 km in due giorni), sotto il sole rovente, in carenza d’acqua e ri- fornimenti, appesantiti dall’equipaggiamento e vestiario, per di più sotto una di-

sciplina durissima imposta dal colonnello Caffaro:

“Nelle prime ore delpomeriggio, dopo nemmeno due o tre ore di marcia, i soldati apparivano già in condizioni penose: surriscaldati dalla canicola, bruciati dalla sete, stremati dalla fatica, smaniavano solo di farla finita. Fu a questo punto che si manifestò nella truppa uno strano fenomeno: vale a dire gli uomini piombavano a terra all’improvviso senza dar segni di un preventivo malessere, come fulminati da una fucileria silenziosa. Col pro- cedere della marcia, i caduti aumentarono progressivamente fino a lasciare grossi vuoti nei rispettivi reparti. Il colpo di sole (di questo si trattava) colpiva ormai in massa lasciando le sue vittime stese al suolo in stato di inco- scienza. Anche l’elmetto, che i soldati erano obbligati a tenersi in testa, contribuiva all’insolazione facendo da bollitore cranico.

Il servizio sanitario composto dai due medici di battaglione assieme ai pochi infermieri, non era certo in grado di soccorrere tutti i bisognosi,e d’altronde non si preoccupava di farlo. Cosicché gli isolati, apparentemente in stato di coma, restavano abbandonati a se stessi lungo il percorso, senza soccorsi e senza nemmeno il conforto di una sorsata d’acqua. Tutt’al più qualche compagno pietoso, maneggiandoli come corpi morti, li adagiava nelle cunet- te della strada oppure all’ombra di qualche ulivo per proteggerli dal sole. D’altra parte, ciascuno, reso egoista e insensibile dall’abbruttimento della marcia, badava solo a se stesso.”(43)

Al termine delle operazioni, il governatore Bastico inviò a Roma una relazione sui fatti d'arme di Creta.

Bastico in primo luogo sottolineava la circostanza che con la vittoria delle trup- pe dell'Asse in Jugoslavia e soprattutto in Grecia, era possibile considerare chiu- sa la fase dell'azione difensiva esplicata dalle forze armate nel Dodecaneso e si poteva passare alla nuova fase, quella offensiva. Secondo il giudizio di Bastico, il corpo di spedizione fu costituito basandosi sul concetto di inviare la massima quantità di truppe possibile, sempre tenendo in sicurezza il possedimento. Furo- no preferiti reparti già residenti a Rodi, porto d'imbarco, sia per evitare sposta- menti interni via mare, e soprattutto per non utilizzare reparti che erano diretta- mente necessari alla difesa.

trainata e automezzi per un rapido spostamento, perché non vi erano unità navali che potessero assicurare il trasferimento di questi reparti. Le unità utilizzate fu- rono scelte tra motovelieri e motopescherecci di scarso tonnellaggio e di ridotta velocità, ma adatti ad un rapido e veloce sbarco. L'aeronautica italiana, durante il periodo di preparazione dell'azione, fece numerosi bombardamenti e mitra- gliamenti a bassa quota sulla zona di Jerapetra; furono altresì frequenti le rico- gnizioni sul canale di Caso e fu messa sotto stretta sorveglianza la rotta Ales- sandria-Creta e la fascia settentrionale dell'isola.

Nella sua dettagliata relazione, Bastico fa un analisi di quello che era stato il pe- so del corpo di spedizione italiano nell'Operazione Merkur: l'azione germanica era stata travolgente, ma gli italiani avevano dato un valido contributo, perché, essendosi impadroniti della parte orientale dell'isola, avevano così costituito un elemento protettivo del fianco sinistro delle colonne motorizzate tedesche.

La marina aveva provveduto al trasporto al limite delle sue possibilità e l'aero- nautica dell'Egeo, in fraterna cooperazione con quella germanica, aveva assicu- rato per tutta la durata del trasporto, dello sbarco e dell'avanzata delle truppe, il dominio del cielo.

Ancora una volta, secondo la relazione ufficiale, le tre Armi avevano collaborato in modo che la loro azione era "risultata armonicamente fusa".

Da questa relazione, nonostante i termini trionfanti, viene fuori invece un quadro estremamente fosco di quella che era la reale situazione del Dodecaneso sia co- me base di appoggio per operazioni d'attacco (mancanza di carburante, mezzi idonei al trasporto), sia per una difesa che avesse dovuto essere di forte contrasto a operazioni nemiche.(44)

Nel settembre 1941 a questo piccolo corpo di spedizione subentrò la divisione “Siena” che occupò la parte orientale dell’isola, la zona del golfo di Mirabello, di Agios Nicolaos, Sitia e l’altopiano di Lasithi.(45)

L'occupazione della penisola balcanica e la conquista di Creta furono brillanti successi per le forze armate tedesche.

Contestualmente, il protrarsi del conflitto rendeva sempre più vulnerabile l’economia tedesca, perché i suoi mercati di approvvigionamento di materie prime si restringevano. Pertanto venne considerata necessaria l’invasione dell’Unione Sovietica, che infiammò ulteriormente il fronte orientale.

Hitler già nel dicembre 1940 aveva indicato il 15 maggio 1941 quale data d'ini- zio dell'operazione "Barbarossa". A causa dell'intervento in Grecia ed in Jugo- slavia, l'attacco ad est non poté iniziare se non il 22 giugno: cinque fatali setti- mane di ritardo che risulteranno tra le cause principali della mancata occupazio- ne di Mosca prima che l'inverno russo bloccasse, per il 1941 e poi in pratica de- finitivamente, l'avanzata tedesca in territorio sovietico.

3.9 L’ammiraglio Campioni governatore delle Isole Italiane