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Le motivazioni per giustificare l’occupazione del Dodeca neso

Capitolo II Lago e De Vecch

2.4 Le motivazioni per giustificare l’occupazione del Dodeca neso

L’Italia fascista, erede della Roma imperiale, riteneva che fosse proprio dovere disseminare nel mondo la civiltà della metropoli, erigere nuove città e monu- menti, costruire strade e stabilire una nuova pax romana.

sformare le isole in una sorta di “vetrina” italiana nel Levante. Per far questo, la funzione di Rodi nel Mediterraneo e il suo avvenire erano protesi verso uno sfruttamento economico delle risorse agricole e industriali e uno sviluppo turi- stico, oltre che verso la diffusione della cultura italiana.

L’arcipelago, dopo il secolare stato di abbandono conosciuto sotto i turchi, entrò in pochi anni a far parte del mondo moderno, e l’edilizia, l’agricoltura, le opere di viabilità, le industrie, i commerci, il turismo, l’istruzione pubblica, la ricerca archeologica, la sanità, il sistema giudiziario furono rivitalizzati.

L’Italia, desiderosa di accrescere il suo prestigio internazionale, rivendicava una superiorità morale sulla Gran Bretagna e sulla Francia, in quanto il suo impero non era basato sullo sfruttamento egoistico ma sulla giustizia sociale. Le realiz- zazioni in campo coloniale erano considerate una prova della credibilità della nazione come potenza mondiale; inoltre, gli italiani col modernizzare le isole e soprattutto Rodi, avevano portato lavoro e benessere.

Tutto questo comportava però un enorme esborso di denaro pubblico ed energie, mezzi di cui l’Italia non disponeva nell’eguale quantitativo delle altre potenze coloniali.

Mentre negli altri paesi europei vi erano interessi economici consolidati, compe- tenze intellettuali e sociali concrete applicate agli imperi coloniali, l’Italia che

pure era stata da sempre in contatto con popoli e culture d’oltremare,disponeva

invece di pochi mezzi, di nessuna esperienza e di troppeaspirazioni.(9)

Sebbene l’arcipelago non avesse un grande valore economico, gli statisti italiani lavorarono sempre tenacemente per conservarlo al nascente impero coloniale. Il Dodecaneso, come del resto i territori africani, aveva soprattutto un valore sim- bolico nel momento in cui l’Italia perseguiva uno status di grande potenza attra- verso la creazione di un impero. La natura della dominazione italiana del Dode- caneso fu fortemente influenzata dal desiderio dell’Italia di acquisire prestigio sulla scena internazionale.

nazioni e per questo motivo investirono molto tempo e grandi energie per tra- sformare le isole in un avamposto moderno e italianizzato del territorio metropo- litano.

Tuttavia, da testa di ponte dell’imperialismo italiano che doveva essere, il Dode- caneso rimase una punta lasciata sola, in un Egeo e verso un Medio Oriente nei quali il ruolo diplomatico, economico e politico dell’Italia era ridotto al minimo. Considerare il territorio conquistato come una possibile colonia di popolamento rappresentava una delle ipotesi per legittimare l’occupazione del Dodecaneso presso l’opinione pubblica. Tuttavia, le isole si presentavano in condizioni di ar- retratezza e povertà, che difficilmente potevano essere utilizzate come valvola di sfogo per la manodopera eccedente.

Questa situazione era ben nota agli italiani, soprattutto per le indagini condotte in periodi immediatamente antecedenti da geografi e di vario genere sulla poten- zialità delle isole, che avevano fatto emergere un quadro alquanto desolante sul- le loro caratteristiche economiche e commerciali. Rodi, in particolare, era in una condizione di isolamento e povertà tale che neanche la Turchia, negli ultimi se- coli di dominio, le aveva riservato particolare attenzione.

Mario Lago, dopo il suo insediamento, si trovò ad affrontareuna situazioneeco-

nomica stagnante, resa evidente dal calo della popolazione autoctona, bilanciato solo nei numeri dall’afflusso di ebrei esuli da Smirne rioccupata dai turchi: vi era stato l’esodo della minoranza turca e l’emigrazione della componente greca verso la Grecia e verso le Americhe.

L’economia di sussistenza che aveva caratterizzato il periodo della dominazione ottomana (agricoltura e pastorizia: soprattutto legumi, frutta e tabacchi a Rodi e Coo, pecore e capre nelle altre isole) poteva bastare quasi solo alle necessità lo- cali; la pesca delle spugne era poco più di un palliativo; la solfatara di Nisiro era quasi esaurita; il turismo era appena sul nascere.(10)

Erano dunque necessarie nuove iniziative.

l’intenzione di avviare un programma economico al fine di risollevare le sorti del possedimentoche nulla aveva fruttato fino ad allora all’Italia:

“In nome di Sua Maestà il Re assumo il governo delle isole. Saluto le autorità civili e militari, le truppe di terra e di mare e la popolazione. Esigerò fedeltà e rispetto delle leggi e ne darò io stesso rapidamente l’esempio. Ogni mio atto avrà di mira il benessere e la prosperità delle isole congiuntamente al bene supremo dell’Italia. Ancora una volta Rodi è chiamata nella storia a realizzare il fecondo contatto di civiltà diverse. L’Italia vittoriosa intra- prende con ferma fede quest’opera di pace. Ad essa io dedicherò tutto me stesso e conto di essere facilitato nel mio compito dalla fiduciosadisciplina di tutti.

Viva il Re.

Rodi, 19 febbraio 1923.”

Dal punto di vista economico il governo di Rodi cercò di ricavare il massimo degli introiti possibili dalle isole: fu istituita una serie di imposte, tasse e tariffe, tra cui l’imposta fondiaria, l’imposta pro-capite, diverse tariffe sui prodotti loca- li, dogane, dazi portuali e imposte di bollo. Furono inoltre introdotti ulteriori monopoli rispetto a quelli esistenti durante la dominazione ottomana: il principa- le fu attribuito al TEMI (Tabacchi Egei Manifattura Italiana), ente che controlla- va la produzione e la manifattura del tabaccolocale.

La Compagnia Commerciale Italiana di Trieste ottenne l’esclusiva per lo sfrut- tamento di un lago salato a Coo, mentre alla CAIR (Compagnia Agricola Indu- striale a Rodi) furono affidate la vendita e l’esportazione di prodotti ortofruttico- li. Il trasporto navale nell’arcipelago fu assegnato alla Compagnia Commerciale Italiana per l’Egeo, che costrinse i navigatori locali ad abbandonare l’attività. Gli effetti del monopolio furono piuttosto duri sulla popolazione locale, poiché lasciavano l’intera iniziativa economica in mano ad enti italiani, con notevole danno per le piccole imprese private locali.

In seguito la situazione si aggravò ulteriormente a causa dei numerosi espropri di terre finalizzati alla creazione di una moderna e redditizia agricoltura.(11)