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Capitolo II Lago e De Vecch

2.8 La trasformazione urbanistica

Gli italiani si distinsero anche nell’urbanistica.

La nostra politica urbanistica nel Dodecaneso non era esclusivamente coloniale nel carattere come per le città italiane della Libia e dell’Africa orientale. Al con-

trario, l’Italia tentò di incorporare elementi architettonici tradizionali locali, principalmente quegli elementi che erano considerati parte della tradizione loca- le. Le sistemazioni greche esistenti vennero armoniosamente integrate nelle nuove aree delle città. Ma più che per reali intenzioni di integrazione fu per mo- tivi topografici che non si poté prescindere dall’inglobare nella “città moderna”, con evidente contrasto di segni, le preesistenze greche e turche, che continuaro- no a mantenere ben distinte le dueidentità.

Le nuove architetture degli edifici realizzati durante l’occupazione italiana pre- sentarono quindi delle connotazioni morfologiche molto diversificate.

La nuova Rodi, con il moderno centro direzionale, si sviluppò in tempi brevi nell’area compresa tra la zona costiera del Mandracchio, la punta di Rodi e il monte Smith. Secondo la tradizione coloniale europea, mantenne una rigida se- parazione territoriale tra i gruppi etnici conservando i vecchi quartieri. Un lungo viale di circonvallazione, costruito intorno alla città murata, congiungeva le nuove periferie con i quartieri greco ed ebraico. Il foro italico, un ampio viale che dalla Porta dei Cervi (il simbolo di Rodi) si dirigeva verso il vecchio porto di Mandracchio, diventò l’asse principale della nuova città. Vi furono costruiti i più importanti edifici amministrativi: le scuole, la residenza del governatore, le banche, le ville dei funzionari.

I nuovi edifici avevano caratteristiche morfologiche molto diversificate trovando fonti di ispirazione nello stile rinascimentale, nel Barocco, nel Gotico veneziano e nell’orientaleggiante. Non mancavano anche edifici in puro “stile littorio”.(22)

Lago si avvalse dal ’24 al ’27 dell’opera dell’architetto Florestano Di Fausto, progettista noto per i suoi interventi nelle colonie, chiamato a Rodi come re- sponsabile delpiano regolatore e consulente per la parte artistica.(23)

Dotato di personalità molto forte, impose gran parte dei suoi progetti per la co- struzione di edifici pubblici,scontrandosi perfino con il governatore. Fra le sue opere sono da menzionare la caserma Regina, la biblioteca, la casa del fascio, il palazzo del Governo. Per quest’ultimo edificio Di Fausto si ispirò allo stile goti-

co-rinascimentale del Palazzo Ducale di Venezia. Tra i nuovi palazzi niente si collegava direttamente all’architettura greca, anche perché la Rodi del 1912 comprendeva soltanto l’antica città nata nel primo Medioevo e sviluppatasi du- rante il dominio dei Cavalieri Gerosolimitani.(24)

Lago, inoltre, favorì gli scavi ed i restauri del patrimonio archeologico, non solo classico (acropoli di Lindo), ma anche medioevale (quartieri interni alle mura e castello dei Cavalieri) e per rendere maggiore e più fruibile l’indubbia attrattiva dotò la città di Rodi anche di alcuni moderni impianti alberghieri e di una pas- seggiata lungomare. Diede anche impulso allo sfruttamento delle sorgenti terma- li. Gli studi sulle proprietà terapeutiche delle varie acque, presenti nelle isole, fu- rono iniziati nel 1927 e portarono a preferire tra tutte quelle di Calitea, a Rodi, che sono cloruro-solfatiche a sodio e magnesio come quelle di Montecatini.Le acque furono captate da sei diverse polle, tutte fredde (17° C), miscelate con

un’acqua simile, ma contenente un maggior quantitativo di Sali, che era traspor-

tata per mare a Coo tramite cisterne e, infine, immesse nelle tubature che le por- tavano allo stabilimento termale. Il complesso alberghiero-termale di Calitea prese a funzionare nel 1929.(25)

Il governatore Lago ottenne da Roma carta bianca prospettando la politica di in- tervento in tutti i settori che avrebbe dovuto simboleggiare lo splendore e il fasto dell’espansionismo fascista.

Nel Dodecaneso, anche prima dell’occupazione italiana, prevalevano le strutture economiche, semplici e funzionali: la maggioranza degli isolani viveva comun- que in casette modeste, di terra e mattoni, tinteggiate di bianco. Le classi più ab- bienti potevano permettersi facciate e balconi neoclassici, ma in generale l’architettura dell’arcipelago era condizionata dalla miseria e dalla scarsità di ri- sorse. Gli italiani trasformarono questo panorama, introducendo una varietà di stili architettonici e costruendo edifici che svettavano su tutte le strutture preesi- stenti.

degli abitanti rimase senza tetto e solo una piccola parte della città vecchia rima- se intatta.

Il prezzo in termini umani fu estremamente alto per una cittadina: si contarono infatti 150 morti e 600 feriti. Quasi tutte le famiglie ebbero almeno una vittima. Oltre un terzo dei morti aveva meno di quindici anni di età e ben 39 di loro ave- va meno di dieci anni.

La gente del posto apprezzò molto l’ottima organizzazione degli italiani. Soldati e carabinieri fecero confluire rapidamente la popolazione nel porto,per traspor- tarla poi in aperta campagna. Procurarono cibo abbondante, vestiti, riparo.

Data la portata della tragedia, è significativo che anche l’efficienza dell’opera di soccorso e di ricostruzione degli italiani abbia trovato grande risonanza nella tradizione orale:

“Gli italiani correvano, correvano. Aiutarono, e come! Erano quasi nudi quando corsero fuori dalle caserme per prestare aiuto a chiunque ne avesse bisogno. Andarono da ciascuno per offrire aiuto, chiedendo dove fosse la sua famiglia, per appurare se qualcuno fosse rimasto da qualche parte sotto le macerie.”

Gli italiani volevano dar prova di saper gestire la crisi, per questo motivo non fu concesso di approdare alle navi di soccorso inviate dagli espatriati, dall’arcidiocesi greca di Atene e dal governo greco. La stampa ellenica diede e- videnza a quelle che furono denunciate come prove della barbarie italiana, ma il governo coloniale intendeva semplicemente dimostrare di non aver bisogno di aiuto.

Il regime coloniale dimostrò anche partecipazione umana alla tragedia e ci furo- no generose donazioni per la ricostruzione. Il governatore Lago elargì 4.000 lire, il Re diede 30.000 lire, Achille Starace 50.000 a nome del partito fascista, men- tre il personale della filiale del Dodecaneso della Banca di Sicilia ne raccolse 245.

L’immagine italiana di efficienza fu ulteriormente rafforzata dalla ricostruzione di Coo. Oltre 150 unità abitative popolari furono rese disponibili a condizioni

accessibili: l’affitto andava dalle 15 lire al mese per case con una stanza da letto fino alle 35 per case con tre stanze da letto. Chi poteva permettersi l’acquisto fu incoraggiato con mutui a interesse del tre per cento di durata cinquantennale. Fi- nanziamenti a condizioni favorevoli furono anche concessi per riparare le abita- zioni che avevano subito danni rilevanti.

L’innovazione che colpì maggiormente gli abitanti di Coo fu la qualità delle ca-

se costruite dopo il terremoto. La differenza rispetto al precedente dominio ot-

tomano fu evidente alla popolazione locale.(26)