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Capitolo II Lago e De Vecch

2.9 La politica religiosa

Per quanto riguarda la religione, il governo italiano si mantenne inizialmente tol- lerante, permettendo agli abitanti di esercitare liberamente il proprio culto.

Il periodo dell’occupazione prefascista delle isole egee fu caratterizzato da un certo disinteresse per le questioni religiose. In quel periodo liberale, ispirato piuttosto ai principi anticlericali del Risorgimento, le questioni religiose erano viste come un fatto interiore dell’individuo, mentre per ciò che riguardava l’amministrazione esterna del culto, questo era regolato dalle leggi di pubblica sicurezza. Il clima di neutralità dello stato italiano nei confronti delle questioni religiose incominciò a modificarsi intorno al 1924, quando con la ratifica del trattato di Losanna, il Dodecaneso passò sotto la sovranità italiana.

Nel 1922, cioè due anni prima, in Italia il potere era stato assunto dal fascismo

col quale la politica religiosa rivestì un ruolo sempre più importante come stru-

mento di politicainterna ed estera.(27)

Nel Dodecaneso i vescovi della chiesa ortodossa erano riconosciuti come i leader naturali della comunità greca; essi avevano notevoli poteri in settori come l’istruzione e la giustizia. La chiesa greca era articolata in una struttura assai ampia. Il Dodecaneso si divideva in quattro vescovati; Rodi (la cui diocesi com- prendeva anche Simi, Castelrosso, Piscopi e Calchi), Coo (cui faceva riferimen-

to anche Nisiro), Scarpanto e Caso e infine Calino (di quest’ultima diocesi face- vano parte anche Lero e Stampalia). Patmo era un’unità ecclesiastica separata, governata dall’abate del monastero di S.Giovanni. Sebbene il vescovo di Rodi avesse una posizione di gran lunga preminente rispetto agli altri prelati, formal- mente ciascuno dei quattro vescovi riconosceva il primato del patriarca di Co- stantinopoli, l’autorità che lo aveva nominato.

La chiesa poteva pertanto esercitare un’influenza molto ampia, raggiungendo anche le più piccole comunità locali e i prelati erano in un’ottima posizione per influenzare l’opinione pubblica.

Tuttavia, a partire dalla metà degli anni ’20, Mario Lago avviò una lenta opera- zione volta a separare i vescovi locali dal Patriarcato di Costantinopoli e mirata a costituire un polo ecclesiastico autonomo rispetto al centro dell’ortodossia gre- ca. La chiesa di Rodi venne dichiarata autocefala e il suo vescovo venne desi- gnato come il patriarca dell’arcipelago. La motivazione principale della nuova politica ecclesiastica di Lago non fu esclusivamente religiosa, ma ebbe forti connotati politici, legati soprattutto al mantenimento dell’ordine pubblico: i capi religiosi, infatti, oltre ad esercitare un forte ascendente sulla popolazione loca- le,venivano nominati direttamente da Costantinopoli ed erano quindi i principali responsabili dell’irredentismo locale.

Tagliare i rapporti con il centro e procedere autonomamente alla nomina dei ve- scovi avrebbe permesso di scegliere solamente i chierici collaborazionisti e più fedeli al governo italiano.

Quindi ottenere il controllo della chiesa avrebbe significato conquistare il mo- nopolio morale degli abitanti e tale operazione, in concomitanza con l’istruzione scolastica, avrebbe permesso di attuare uno dei principali obbiettivi, consistente in una lenta e progressiva assimilazione culturale della popolazione.

Le elites locali denunciarono la politica religiosa di Lago come tentativo di di- struzione del potere politico della chiesa ortodossa e di conversione al cattolice- simo romano, suscitando la reazione della popolazione e del basso clero.

Nel 1929 furono avviate le trattative tra i vertici italiani e le autorità religiose lo- cali: Fozio II, favorevole all’autonomia del clero, ma timoroso di non ottenere l’appoggio dei fedeli, propose a Lago di richiedere un mandato popolare per po- ter attuare l’autocefalia, cosa che il governatore rifiutò.

L’alto clero locale era d’accordo con il governo italiano poiché l’autonomia l’avrebbe svincolato dall’autorità costantinopolitana, ma allo stesso tempo era preoccupato dalla diffidenza del basso clero, del popolo e dello stesso patriarca. Infatti Fozio II cercò vanamente di conciliare le due posizioni per ottenere un’autonomia autorizzata dal popolo, ma le posizioni di Lago e quelle dei bassi prelati si rivelarono inconciliabili. Pertanto, nel 1934, l’alto clero decise di pro- cedere, anche senza l’approvazione popolare, all’autocefalia che, se realizzata, avrebbe equivalso ad una scisma. Infatti molti sacerdoti dodecanesini reputarono la decisione come un alto tradimento dell’ortodossia: a Lero un giovane prete chiamò la popolazione a radunarsi in piazza per la protesta, mentre al suono del- le campane veniva sventolata la bandiera greca. Uno dei vescovi firmatari, Apo- stolos Kavakoupolos, dovette essere scortato al ritorno a Calino, mentre i suoi seguaci vennero ostacolati nell’amministrazione del culto.

Il 19 ottobre i preti dell’isola giurarono sulla Bibbia imperitura opposizione alla minaccia papale e fondarono l’”Unione Nazionale di Calino”, capeggiata da Mi- khail Tsougranis, prelato e capo carismatico dei tumulti isolani. Davanti alla re- crudescenza del dissenso il vescovo fu costretto a procedere alla chiusura di tutte le chiese e all’annullamento delle festività del calendario liturgico. I carabinieri intervennero cercando di arrestare Tsougranis, ma furono ostacolati dai credenti, che permisero al prete di fuggire alla cattura e di espatriare in Grecia, con la fa- ma di eroe della resistenza e celebrato come il pioniere della rivolta anti-italiana. Quando la popolazione di Calino venne a conoscenza della riapertura delle chie- se, autorizzata dal vescovo filo-italiano, si radunò per manifestare il proprio dis- senso.

siderata prassi accettata solo nelle occasioni solenni, scoppiarono tafferugli con il cordone di carabinieri inviato per presidiare la chiesa.

I carabinieri riuscirono a contenere la rivolta, ma il giorno seguente, quando ar- rivò l’ordine del podestà di prelevare i bambini da scuola per portarli in chiesa, la situazione precipitò gravemente, rischiando di far scoppiare una nuova ondata di rivolte. I bambini rimasero a casa e le autorità procedettero con l’arresto di in- segnanti e presunti cospiratori, mentre ci furono nuovi tafferugli tra le donne dell’isola e i carabinieri. Da Coo arrivarono il giorno seguente i rinforzi militari e la popolazione locale cercò di ostacolare le operazioni di sbarco con un fitto lancio di pietre. La “guerra dei sassi” vide ancora una volta in prima linea le donne, che, a differenza degli uomini, forti di non poter essere colpite dal fuoco dei carabinieri, opposero una strenua resistenza.

Tuttavia un pastore si aggregò al lancio dei sassi e fu immediatamente colpito alla testa da un proiettile, rimanendo ucciso sul colpo. Dopo l’uccisione, visto il crescente nervosismo dei militari, che avrebbe potuto provocare ulteriori vitti- me, le donne si allontanarono dalla zona degli scontri.

Nelle settimane seguenti le forze dell’ordine procedettero a numerosi arresti nei confronti di tutti gli individui considerati direttamente coinvolti nel sobillamento delle continue rivolte popolari, ma solo in minima parte i provvedimenti riguar- darono le donne.

La convinzione dell’elemento locale che alimentò l’antipapismo era quella di una congiura vaticana mirante a manipolare la coscienza della popolazione e a riportare a sé una frangia di quella chiesa ortodossa perduta nel 1054, in modo

da creare una chiesa dodecanesina fedele ai riti ortodossi ma obbediente al Pa-

pa.(28)

Malgrado tutto ciò, le trattative per l’autocefalia vennero riprese, ma inutilmen- te, in quanto il Santo Sinodo di Costantinopoli subordinò questa volta l’approvazione dell’autocefalia alla conoscenza, con un referendum, della volon- tà del popolo ortodosso del Dodecaneso.(29)