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pate dalle truppe italiane e poi eventualmente restituite alla Turchia permanesse- ro nell’influenza italiana. D’altronde era questa una pretesa abbastanza logica vista la corsa alla spartizione dell’impero ottomano in sfere d’influenza che le altre potenze stavano accaparrandosi affannosamente all’inizio del 1913. In quel periodo, infatti, tutte le potenze europee guardavano con avidità al progressivo disfarsi dell’immenso impero ottomano.

Dopo la conclusione del trattato di Santo Stefano, l’Inghilterra aveva dimostrato alla Turchia la necessità di esserle vicina per sostenerla contro la Russia e, me- diante trattative tenute segretissime,aveva ottenuto nel 1878, il consenso turco per l’occupazione di Cipro, qualora la Russia avesse occupato Batum, Ardahan, Kars: poiché tale premessa si verificò l’Inghilterra procedette immediatamente all’occupazione di Cipro.

L’isola, pur rimanendo sotto la teorica sovranità ottomana, era sottoposta all’amministrazione civile e all’occupazione militare provvisorie della Gran Bre- tagna, che vi esercitava di fatto ogni diritto sovrano; nel novembre 1914, come rappresaglia per l’entrata in guerra della Turchia, l’Inghilterra aveva trasformato

l’amministrazionedi Cipro in annessione piena al proprio impero coloniale.

D’altronde la posizione di Cipro, a guardia di una delle zone vitali dell’impero britannico, il canale di Suez, era troppo importante e vantaggiosa.

La Germania era un’altra nazione che aveva mostrato fin dall’inizio del XX se- colo un grande interesse per le provincie dell’impero ottomano, in special modo per l’Iraq. Nel 1903 aveva ottenuto dalla Sublime Porta l’autorizzazione a co- struire una ferrovia da Berlino a Baghdad. Il pretesto ufficiale fu quello di favo- rire il trasporto dei pellegrini, in realtà il Reich ne avrebbe approfittato per la sua penetrazione all’interno dei territori dell’impero ottomano. Una delle clausole dell’accordo prevedeva la concessione di diritti minerari territorialmente limitati ad una fascia di 20 km su entrambi i lati dell’asse ferroviario.

L’Inghilterra - resasi conto del valore strategico delle linee ferrate - chiedeva di poter partecipare al progetto, riuscendo però ad ottenere soltanto un’appendice

periferica: la tratta Baghdad-Bassora.

Nello stesso modo la Francia aveva ottenuto una concessione per la tratta Alep-

po-Damasco-Gerusalemme, mentre la Russia aveva riconfermata una concessio- ne nell’Armenia ottomana, ai confini con l’Armenia russa.

La lotta per le concessioni ferroviarie fu molto forte in quel periodo, perché era evidente che la costruzione e la gestione di una linea ferroviaria comportava lo stabilimento di una forte zona di influenza per lo stato che la costruiva e ne ot- teneva l’amministrazione.

Nascevano così ai margini della presenza tedesca sul territorio turco metropoli- tano, tre zone di interessi economici delle altre potenze, zone che - negli anni successivi - assumeranno presto la valenza di zone d’influenza politica: la Me- sopotamia per la Gran Bretagna, la Siria per la Francia, l’Armenia per la Russia.

Enrico Corradini esaltava l’azione tedesca, che con così grande pervicacia per-

seguiva il suo obbiettivo ditrasformare la Germania in una potenza egemonica:

“La Germania s’è piantata con la sua influenza nel cuore dell’impero turco, a Costantinopoli, ed ha lanciato la proposta della ferrovia di Bagdad, grande ponte da Costantinopoli al Golfo Persico per l’Asia Minore. Avendo trovato la Russia ostile è riuscita a conciliarsela e tutte e due insieme proseguono il grande disegno. In quanto all’Inghilterra, la Germania sboccando con la sua ferrovia nel Golfo Persico, la ferirà di fianco nel suo impero delle Indie. Così la Germania continua la sua marcia conquistatrice verso l’Oriente.

La ferrovia di Bagdad sarà la via della sua nuova espansione commerciale. Passeranno per quella i suoi commes- si viaggiatori ed invaderanno l’Oriente; passeranno i suoi prodotti ed invaderanno l’Oriente. E un’incalcolabile ricchezza per quella via farà il cammino inverso, dall’Oriente alla Germania; un’incalcolabile ricchezza di cui godranno gli individui, tutte le classi, anche le proletarie,dell’impero germanico. Così uno stato, un impero, un imperatore fanno una politica veramente nazionale.”(33)

L’Italia però, in un primo momento, rimaneva quasi del tutto tagliata fuori dalla corsa per ottenere le briciole del bottino tedesco.

Rimaneva libero dalle zone d’influenza altrui soltanto il territorio turco di Ada- lia nell’Anatolia meridionale.

L’Italia firmava con l’impero turco un accordo che l’autorizzava alla costruzione di una ferrovia che andasse dal porto di Adalia, zona di forte interesse perché

ricca di miniere di carbone, all’interno dell’Anatolia.(34)

Nel frattempo, la nostra occupazione del Dodecaneso veniva sostanzialmente tollerata dalle autoritàottomane.

Durante il primo periodo di occupazione bellica, oltre ai proclami, furono ema- nati numerosi decreti governatoriali, destinati ad assicurare il regolare funzio- namento di tutti i servizi pubblici già esistenti ed in generale a tutelare in ogni modo la vita locale.

I principali provvedimenti emanati dal comando del corpo di spedizione nell’Egeo nel primo periodo dimostrano una costante volontà di derogare il me- no possibile alle norme vigenti prima dell’occupazione e di rispettare la sovrani- tà ottomana. Dei provvedimenti emanati in questo periodo molti avevano carat- tere transitorio; requisizioni, disarmi, competenza del tribunale di guerra, divieti di esportazione.

Alcuni riguardavano la materia di ordinaria amministrazione (elezioni, espro- priazioni, servizi pubblici), l’ordinamento giudiziario e l’ordinamento tributario. A Rodi, gli italiani si limitarono, apparentemente, a sostituire l’amministrazione ottomana in fatto di riscossione dei tributi e di mantenimento dell’ordine.

Tra i più caratteristici, la notificazione del 19 maggio 1912 n.8 la quale stabilì che le tasse e le imposte governative e municipali dovevano essere corrisposte come per il passato e la notificazione del 27 luglio 1912 n.55, che al paragrafo 10, autorizzò le navi appartenenti alle isole occupate dall’Italia ad inalberare la bandiera italiana, solo per il traffico tra le isole di nostra occupazione mentre sotto tutti i rapporti esse dovevano considerarsi di bandiera ottomana.

I primi proclami non ebbero quindi alcuna valenza giuridica ma solo politica. Questo perché, secondo le istruzioni ricevute per l’organizzazione del governo civile fin dall’inizio dal generale Ameglio si doveva regolare l’occupazione in modo da escludere atti che implicassero, almeno per il momento, l’intenzione di annettere il territorio o non restituirlo alla fine della guerra.(35)

impedire che queste cadessero in mano della Grecia. Non trovarono quindi mez- zo migliore per impedirlo che mantenere in Libia piccole aliquote di truppe in modo da ottenere senza sforzo un duplice risultato, cioè di continuare le difficol- tà frapposte alla affermazione italiana nelle nuove colonie e di affidare all’Italia la salvezza di Rodi e delle altre isole.

A gennaio 1913, la resistenza turca in Tripolitania sembrava cessata, ma non co-

sì in Cirenaica dove c’erano ancora soldati turchi, circa 500, a fronte di 100.000

soldati italiani. Formalmente l’Italia non era tenuta ad abbandonare le isole e molte voci in Grecia sostennero che vi fosse un’intesa segreta tra Italia e Turchia per eludere l’impegno italiano di sgomberare le isole.(36)