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Cesare Maria De Vecchi e la fascistizzazione delle isole

Capitolo II Lago e De Vecch

2.10 Cesare Maria De Vecchi e la fascistizzazione delle isole

Il 22 novembre 1936, per raggiunti limiti d’età, il governatore Mario Lago veni- va collocato a riposo. Da quella data fino al 1940 si svolse il governatorato di Cesare Maria De Vecchi, conte di Val Cismon: fascista della prima ora, qua- drumviro della marcia su Roma, comandante della milizia volontaria, poi gover- natore della Somalia (1923) e ministro dell’Educazione Nazionale (1935- 1936).(30)

Egli governò il Dodecaneso con eccessiva durezza, con un rispetto pedante del cerimoniale e della ideologia fascista sviluppando una forte tendenza all’accentramento gerarchico: si rese soprattutto inviso alla comunità greca, tur- ca ed ebraica delle isole, per le cui tradizioni e diritti nutriva poco rispetto.

In realtà la rimozione di Lago era legata alla politica estera di Mussolini il quale, dopo la creazione dell’impero, volle fascistizzare il Dodecaneso e trasformarlo in una fortezza che avrebbe dovuto controllare l’Egeo orientale.

Gianni Baldi, futuro giornalista, che si trovava a Rodi per espletare il servizio di levacome ufficiale di complemento, ne traccia un ritratto impietoso:

“L’uomo era ottuso, prepotente e per giunta bigotto. Esercitava un occhiuto controllo anche sulla vita privata, sulla condotta morale non solo dei dipendenti del governatorato, ma anche di tutti gli ufficiali di stanza a Rodi. Pretendeva inoltre, o perlomeno gradiva che gli addetti civili e militari del governatorato, oltre agli alti gradi del- le forze armate, fossero presenti, la domenica mattina, alla messa nella grande cattedrale di San Giovanni, cui egli stesso per primo e nel banco di prima fila, devotamente presenziava.

De Vecchi era un vero maniaco di cerimonie e cerimoniali, e qualsiasi ricorrenza patriottica o fascista gli serviva per inscenare cortei e parate militari, cui egli stesso partecipava in divisa di generale dell’Esercito o della Milizia (rivestiva entrambi i gradi) a seconda della particolare circostanza. Anche la semplice cerimonia dell’alzabandiera, che si svolgeva quotidianamente nella piazzetta del governatorato al Mandracchio, aveva as- sunto sotto la sua egida le forme di un complicato rituale con il cambio della guardia a passo di parata e l’intervento della banda militare.

Un’altra sua ridicola mania era “la romanità”. E’ vero il fascismo aveva fatto di Roma antica un mito culturale, e anzi un culto; ma lui, l’allobrogo di Val Cismon, l’interpretava e onorava a suo modo, cioè stupidamente e con manifestazioni buffonesche. Si raccontavano al riguardo storielle divertenti, che anche se non erano vere appari- vano verosimili. Si diceva ad esempio che, appena arrivato a Rodi come governatore, avrebbe voluto far abbatte- re tutti i minareti della città murata, perché secondo lui quelle vistose insegne della fede islamica erano in contra-

sto col carattere cristiano e crociato della Rodi dei Cavalieri. Un’altra volta visitando Lindo e sembrandogli che quei templi greci per le loro colonne doriche e ioniche fossero simili a quelli romani, dichiarava e anzi decideva all’istante che tutti gli antichi monumenti ellenistici dell’isola dovessero considerarsi d’ora innanzi “romani”. Per fortuna quando stava per commettere qualche irreparabile sciocchezza, gli veniva da Roma, e dall’Alto, il consiglio di smetterla; e così per un po’ di tempo se ne stava tranquillo.”(31)

Il compito di De Vecchi era quello di restaurare l’ortodossia fascista che il trop- po tollerante Mario Lago aveva trascurato, come evidenziò lo stesso quadrumvi- ro in un rapporto inviato al ministro degli Esteri Galeazzo Ciano dopo quaranta giorni dal suo insediamento a Rodi:

“Le qualità ottime del senatore Lago venuto a Rodi agli albori del fascismo hanno trovato ostacoli ad aggiornarsi adeguandosi alla marcia compiuta dal regime in questi quattordici anni di vita e di cammino al passo di corsa. Il periodo di transizione che la rivoluzione mussoliniana ha potuto ammettere per un paio d’anni, dopo il suo av- vento e dopo la marcia su Roma, era diventato qui, cristallizzandosi, come una regola di vita così che il fascista dell’anno XV, entrando nel profondo della vita politica del possedimento, si trovava in pieno disagio o in uno strano mondo non dissimile da quello delle parrucche incipriate. Interrogato questo strano mondo, dal quale ci sentiamo così lontani, sopra le ragioni di un simile stato di cose anacronistico, se ne aveva la risposta fumigena che la particolare situazione politica del possedimento imponeva.”(32)

De Vecchi non perse tempo a realizzare il programma di fascistizzazione per cui era stato lì spedito. La relativa autonomia delle tre comunità etniche, greca, e- brea e turca che avevano sino ad allora convissuto pacificamente con gli italiani fu spazzata via. Furono eliminati tutti i giornali greci, vietati i matrimoni misti, abolito il regime elettivo delle comunità locali, aboliti i tribunali religiosi, impo- sto l’obbligo dell’italiano come lingua primaria.

De Vecchi descrisse così la situazione politica e sociale del Dodecaneso al suo

arrivo:

“A Rodi trovai una situazione tutt’altro che allegra. C’erano contrasti religiosi in piedi; beghe politiche e dissidi tra i vari gruppi etnici che formavano la popolazione delle varie isole. La chiesa, come si può immaginare, conti- nuava a favorire i vari gruppi irredentisti anche se Lago per stroncare questa attività, nella speranza di ingraziarsi gli ortodossi locali, li aveva spinti a proclamarsi indipendenti dal patriarca di Costantinopoli, il quale guidava la sua chiesa in funzione, naturalmente, degli interessi greci.

proibitive e se mai qualcuno voleva uscire dal buio dell’analfabetismo, era costretto a ricorrere alle scuole tenute dai religiosi delle varie comunità.

Inutile dire che presso le scuole ortodosse si insegnava, fra l’altro, a considerare l’Italia come un paese oppresso- re. Provvidi pertanto a riordinare questo settore della vita locale, disponendo la costruzione di edifici scolastici e disciplinando, al tempo stesso, il funzionamento delle scuole confessionali che passarono sotto il controllo dello stato.”(33)

Un obbiettivo di lungo periodo del governo coloniale era stato quello di assimi- lare gli isolani e di fare del Dodecaneso una vera e propria estensione del territo- rio metropolitano.

L’ex governatore Lago riteneva che “l’italianizzazione” sarebbe potuta avvenire

solamente dopo un lungo periodo di convivenza e transizione.

Egli stesso aveva sempre respinto l'idea di far iscrivere al pnf i sudditi egei, mo- tivando così la sua decisione: “Non possiamo che compiacerci di questa popola- zione che, sotto tutti i riguardi, si manifesta rispettosa, ossequiente, e, nel com- plesso ligia all'Italia ed al suo regime. Ma non mi sembra che per ora si possa pretendere di più. Fascismo significa patriottismo alla seconda potenza; ed io credo che non possano seriamente appartenervi persone da solo cinque anni di- ventate suddite italiane, che hanno mentalità ancora non assimilata alla nostra, che, se pure vissute in ambiente politicamente amorfo, sono abituate da secoli ad un segreto orgoglio di razza e religione. La nuova generazione darà senza dub- bio elementi di ben altro fondamento patriottico; ed è per questo che, mentre non ravviso l'opportunità di accogliere sudditi locali nel fascismo, sto dando svilup- po all'Opera dei Balilla nell'Egeo, cercando di attrarvi giovinetti indigeni. Da questi trarremo poi dei buoni fascisti”.