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Capitolo IV L'armistizio ed il ritorno alla Grecia

4.6 La battaglia di Lero

dunque stretta d’assedio.

Al comando di Lero si trovava il capitano di vascello Luigi Mascherpa poi no- minato contrammiraglio. Nell’isola non vi erano truppe tedesche e dopo la resa di Rodi Mascherpa si rifiutò di cedere le armi. La base navale era intatta e forni- ta di scorte alimentari sufficienti. La difesa era formata da 24 batterie con un centinaio di cannoni. Nel porto si trovavano il cacciatorpediniere “Euro” e alcu- ne motosiluranti. Invece tutti sommergibili erano rientrati in Italia. Le truppe ita- liane erano composte da 8.000 uomini distinti in 6.000 marinai, 1.200 fanti, 400 avieri e 400 tra carabinieri e finanzieri.

Ai soldati italiani si aggiunse un contingente di circa 2.000 inglesi.

I tedeschi si resero conto che per prendere Lero avrebbero dovuto prima distrug- gere tutte le sue batterie. E per questo trasferirono a Rodi e più tardi a Coo un in- tero corpo aereo, sottraendolo al fronte russo.

Da ex-alleati degli italiani conoscevano benissimo la dislocazione di tutte le loro batterie e sapevano che erano posizionate allo scoperto e che le contaeree ave- vano un calibro troppo piccolo, tranne le mitragliere binate Breda da 37mm e i cannoni da 90/53, presenti però in numero esiguo.

Il 26 settembre i tedeschi cominciarono a bombardare Lero. Ebbe così inizio una battaglia durissima che sarebbe continuata senza interruzioni fino al 17 novem- bre. I tedeschi godevano anche del vantaggio che a Lero non esisteva alcuna for- za aerea.(20)

Dopo la conquista tedesca dell’isola di Coo e del suo aeroporto, le uniche basi dalle quali potevano decollare i caccia necessari a contrastare gli stukas tedeschi erano collocate in Egitto e a Cipro, troppo lontane per un intervento diretto. Gli inglesi tentarono anche di ottenere dalla neutrale Turchia l’utilizzo di alcuni aeroporti costieri vicini al Dodecaneso. In questo senso furono effettuati molti sforzi diplomatici per convincere il governo di Ankara. La Turchia però conces- se soltanto il permesso di far ancorare le navi nelle insenature della costa più vi- cina a Lero e alle altre isole, ma non quella di usare gli aeroporti.(21)

Il 6 novembre iniziò l’attacco decisivo, i bombardamenti crebbero spaventosa- mente d’intensità. L’obbiettivo era lo smantellamento delle installazioni militari e la riduzione al silenzio delle batterie di cannoni.

Durante l’assedio furono da noi sparati oltre 150.000 colpi di cannone, con un tormento quasi insostenibile per i pezzi che alla fine non poterono svolgere che il tiro navale perché a forza di sparare le molle di ritorno in batteria si erano

snervate e il cannone, a forti elevazioni, non si toglieva più dalla posizione di

rinculo. Il 12 novembre i tedeschi sbarcarono, mentre un forte nucleo di paraca- dutisti veniva lanciato nel centro dell’isola.

Il giorno dell’invasione germanica, l’efficienza della difesa anglo-italiana era ri- dotta a queste percentuali: difesa costiera al 70%; antisbarco al 30; contraerea al 20; comunicazioni di tiro al 10.

I soldati e i marinai resistettero tenacemente, malgrado le comunicazioni tra i comandi e le varie postazioni fossero interrotte.

I combattimenti cessarono soltanto la mattina del 17 novembre.

Nonostante l’intercessione inglese, i tedeschi fucilarono decine di ufficiali e sol- dati italiani.

La perdita di Lero, dove meno di duemila tedeschi riuscirono a sopraffare più di ottomila italiani e il contingente inglese, non deve destare stupore. Intanto l’isola era stata trasformata in fortezza con sistemi e mezzi risalenti alla prima guerra mondiale, ma è da notare che i tedeschi riuscirono ad espugnare con corpi alta- mente specializzati fortezze modernissime come Eben Emael in Belgio o la Li- nea Maginot. A Lero lo sbarco avvenne dopo 35 giorni di incessanti bombarda- menti aerei, che distrussero gran parte delle istallazioni militari e civili e fiacca- rono gravemente il morale dei difensori.

Inoltre mancò il coordinamento tra le forze italiane e il contingente britannico. I britannici ordinarono, adducendo come pretesto che i tedeschi potevano sbar- care con uniformi italiane, che i nostri reparti non uscissero dalle opere fortifica- te, facendo praticamente fallire il piano difensivo.

Lo stesso ammiraglio Mascherpa era inviso agli inglesi. Mascherpa si compor- tava come chi difendeva la sovranità italiana sul Dodecaneso, una scelta contra- ria alla politica britannica.

I rapporti con il comando inglese si incrinarono fin dal primo giorno. Poche ore dopo lo sbarco, il generale Brittorous, comandante del contingente britannico, aveva inviato a Mascherpa un proclama già firmato, che era già stato affisso per le vie di Lero. Vi era scritto che il generale inglese dichiarava di essere giunto nell’isola per occuparla. Ma l’ammiraglio italiano si oppose con cortese e ferma decisione al contenuto di quel proclama nel quale veniva ignorata l’appartenenza dell’isola all’Italia. Mascherpa comunicò a Brittorous che il Dodecaneso era ter- ritorio italiano e Lero non era stata occupata dagli inglesi con un’azione militare. Brittorous fu costretto a cambiare i termini del suo proclama scrivendo che no- minava l’ammiraglio Mascherpa comandante delle forze armate e della popola- zione civile delle isole italiane dell’Egeo.

Un altro episodio confermò la fermezza di Mascherpa nel voler imporre la su- premazia italiana a Lero.

Il 22 settembre 1943, al seguito di un convoglio britannico, arrivò nel porto dell’isola il cacciatorpediniere greco “Principessa Olga”. Era una delle poche navi che all’inizio dell’occupazione italo-tedesca della Grecia, erano riuscite a rifugiarsi nei porti alleati. L’arrivo del cacciatorpediniere apparve inopportuno per Mascherpa, il quale protestò presso il comando alleato. Gli fu risposto che la nave greca era stata utilizzata data la scarsità del naviglio da impiegare in quel settore dell’Egeo. L’ammiraglio accettò le spiegazioni inglesi, ma l’equipaggio greco, memore dell’attacco italiano al proprio paese, dette sfogo al rancore. Infatti, quando una cisterna italiana si affiancò alla nave per rifornirla, i greci lanciarono contro la bandiera tricolore e i marinai getti d’acqua e vari oggetti. Mascherpa, venuto a conoscenza dell’incidente, protestò immediatamente con gli inglesi e disse loro che se lo stesso giorno i greci non avessero presentato le loro scuse, avrebbe dato ordine alle batterie di far fuoco sul cacciatorpedinie-

re.(22)

Anche Mascherpa subì la stessa sorte dell’ammiraglio Campioni, ultimo gover- natore dell’Egeo, venendo fucilato a Parma nel maggio 1944 dopo essere stato condannato a morte per alto tradimento dal Tribunale Specialedella r.s.i.(23)

Delle isole del possedimento soltanto Castelrosso non fu conquistata dai tede- schi e divenne la sede principale del comando britannico per le operazioni nell’Egeo.

Alla data dell’armistizio era presente sull’isola un presidio militare italiano composto da una compagnia mitraglieri e da un distaccamento di artiglieria che disponeva di due mortai da 81, una batteria su 4 pezzi da 75/27 e 4 mitragliere da 20mm.

Il reparto era comandato dal capitano di fanteria Augusto Rossi che era anche Delegato di Governo.

Gli inglesi sbarcarono sull’isola all’alba del 10 settembre.

Castelrosso divenne inizialmente l’avamposto e successivamente il centro di smistamento militare e logistico degli alleati in Egeo.

La sua distanza da Rodi e dalle altre isole la faceva ritenere abbastanza sicura dalle incursioni della Luftwaffe.

Gli inglesi presero accordi con il comando italiano circa la difesa dell’isola ed installarono loro nuclei presso tutti i nostri servizi, intervenendo anche negli af- fari civili.

Il 15 settembre si verificò un incidente tra gli italiani e l’equipaggio di un cac- ciatorpediniere francese ormeggiato in rada. Infatti, durante la notte alcuni mari- nai transalpini avevano ammainato, in segno di disprezzo, la bandiera italiana che sventolava sulla banchina del porto, portandola a bordo della loro unità. Ne era derivata un’immediata violenta agitazione del presidio italiano che si era dislocato spontaneamente al posto di combattimento.

L’incidente, anche grazie all’intermediazione inglese, venne ricomposto però da quel giorno il tricolore italiano non sventolò più su Castelrosso.

Il 27 settembre, avendo il presidio inglese raggiunto la cifra di 400 uomini, ven-

ne deciso dal comando alleato il trasferimento della guarnigione italiana nei

campi d’internamento in Turchia.

Gli inglesi, inoltre, asserendo che l’isola avrebbe potuto essere oggetto di asse- dio da parte dei tedeschi, ordinarono agli abitanti di evacuare totalmente Castel- rosso. L’intera popolazione venne imbarcata su navi che la trasferirono nei cam- pi profughi di Gaza, nell’allora colonia inglese della Palestina.(24)

Dopo la sconfitta di Lero, gli inglesi non fecero più niente per riprendersi il Do- decaneso. Le isole occupate non rappresentavano più un pericolo per le forze al- leate poiché la marina britannica aveva conquistato il dominio di tutto il Medi- terraneo fino all’Egeo orientale e l’aviazione tedesca era stata dirottata sul fronte russo e in patria. Perciò Rodi era diventata una fortezza assediata, ridotta alla

fame, sottoposta a frequenti e inutili bombardamenti da parte della RAF.

4.7 L’occupazione tedesca del Dodecaneso e la dominazione