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Capitolo II Lago e De Vecch

2.14 La militarizzazione delle isole

Il progetto della definitiva italianizzazione dell’Egeo, affidato a De Vecchi, era comunque principalmente fondato sul ruolo militare che il Dodecaneso avrebbe

dovuto assumere nel nuovo quadro stabilito dai confini dell’impero. Con l’arrivo del quadrumviro in Egeo veniva introdotta una novità amministrativa e militare: il governatore concentrava nella sua carica poteri civili e militari, in virtù dei quali tutte le forze impiegate nella difesa dell’arcipelago erano poste sotto il suo comando, coadiuvato da un Ufficio Militare composto da rappresentanti delle tre forze armate.

Con il governatorato di De Vecchi si prevedeva per Rodi un esteso programma di attrezzatura militare, sia in vista del distaccamento di nuove truppe che di nuove postazioni per armamenti, depositi e attrezzature logistiche.

L’Italia, comunque, sin dai primi anni’20 aveva iniziato l’opera di fortificazione delle isole, per contrastare il nascente nazionalismo turco.

La Turchia era allarmata dalle bellicose intenzioni italiane, dal massiccio pro- gramma militare, dall’arrivo di migliaia di italiani tra militari e civili. Il segreto

di queste attività ed il divieto di sorvolo ingigantivano le apprensioni turche

sull’effettivo potenziale bellico dell’arcipelago. All’epoca i rapporti italo-turchi erano tesi.

I motivi di attrito erano la pesca lungo tutte le coste dell’Anatolia e il contrab- bando che effettivamente molti dodecanesini praticavano in quegli anni.

Gli incidenti tra pescatori dodecanesini e la guardia costiera turca si moltiplica- rono.

Un’altra ragione del contendere era costituita dall’attribuzione degli isolotti pro- spicienti Castelrosso. L’articolo 6, secondo paragrafo, del trattato di Losanna, prevedeva che tutti gli isolotti che si trovano a distanza inferiore alle 3 miglia dalle coste, dovevano essere riconosciuti allo stato rivierasco; quindi, nel caso di Castelrosso - che è quasi attaccata all’Anatolia - gli isolotti dovevano essere tur- chi.

La Turchia, subito dopo l’entrata in vigore del trattato, si mosse per confermare la propria autorità sugli isolotti. Nell’ottobre del 1923, gendarmi turchi sbarca- rono a Karavola, l’isolotto più distante da Castelrosso, inalberando la bandiera

della loro repubblica e mostrando l’intenzione di voler occupare anche gli altri isolotti, compresi Rho e Strongili. Tale intenzione allarmò la popolazione di Ca- stelrosso che da secoli aveva attività economiche sugli isolotti, come il pascolo, la raccolta di legna e la pesca, ma il monito turco fu altrettanto preoccupante per le autorità italiane, visto che Rho e Strongili erano importanti dal punto di vista strategico, poiché controllavano l’accesso al porto di Castelrosso rispettivamente

dal nord e dal sud dell’isola e, inoltre, perché su Strongili c’era un faro per la

navigazione in tale zona marittima.(44)

L’Italia, da parte sua, era in procinto di attuare un intervento militare in Anato- lia.

L’Italia fascista non faceva mistero delle sue mire espansionistiche sulla regione di Adalia, anche perché non mancava il pretesto per una possibile invasione; in- fatti il governo turco forniva segretamente aiuti ai ribelli libici, che proprio in

quegli anni impegnavano duramente le truppe italiane.

L’ambasciatore ad Ankara, Orsini Baroni, così riferì a Mussolini il 17 aprile 1926:

“Ad Ankara regna grande nervosismo perché è nella convinzione generale che nei prossimi giorni l’Italia attac- cherà la Turchia. Il nervosismo è aumentato dal fatto che realmente sonostate richiamate sotto le armi sette clas- si.”

Già nell'agosto 1924, l'Ufficio Operazioni dello Stato Maggiore Centrale aveva preparato un promemoria riassuntivo sull'eventualità di una spedizione italiana in Anatolia.

Nell'opinione degli ufficiali che redassero il documento, in un quadro di una Turchia fortemente instabile, con uno stato d'animo fortemente xenofobo, poteva essere probabile un attacco a quella delle potenze occidentali che si presentava in posizione di maggiore debolezza nel concerto europeo e cioè l'Italia, la quale si sarebbe trovata anche in una difficile posizione diplomatica in caso di un con- flitto mediterraneo. Quindi era l'Italia, quella meno forte tra le potenze occiden-

tali, che poteva subire degli attacchi da Ankara, certamente memore delle inva- denze italiane e occidentali in genere; una Turchia desiderosa di ottenere nuovi successi bellici, quali quelli ottenuti contro i greci, per dimostrare a livello inter- nazionale la sua forza, peraltro già saggiata con le negoziazioni per il trattato di Losanna.

Inoltre la situazione in Turchia sembrava ancora inastabile per i numerosi pro- blemi, anche sociali da risolvere; le strutture del nuovo stato potevano collassare improvvisamente e certamente le altre potenze europee non avrebbero mancato di approfittarne. Era chiara la rivalità per l'egemonia politica nel Mediterraneo, in particolare proprio nel bacino orientale.

Era altresì evidente come a livello internazionale vi fosse il reale timore di un imperialismo italiano rivolto al Levante, anche per la ben nota necessità di e- spansione dell'Italia oltre i confini, a causa del grande aumento demografico e dell'insufficienza del suolo italiano per dare lavoro e quindi alimentare una po- polazione costantemente in sviluppo.

L'Italia però - gli estensori del promemoria facevano questa considerazione - a- veva già nel settore del Mediterraneo orientale una buona posizione strategica, con la triangolazione Augusta-Lero-Tobruk che, secondo l'opinione del tempo, avrebbe assicurato possibilità di manovra migliori di quella relativa a Malta- Cipro-Giaffa, in mano agli inglesi, o della linea francese Biserta-Beirut.

Qualsiasi gesto di forza italiano in Oriente sarebbe stato molto temuto, e di con- seguenza contrastato, come era successo con il bombardamento di Corfù, effet- tuato in seguito all'uccisione del generale Tellini nell'agosto del 1923: la forte reazione di Inghilterra e Francia all'episodio, volta anche a fare pressioni sul go- verno di Roma perché abbandonasse il Dodecaneso, dimostrava che qualsiasi movimento dell'Italia nel settore orientale veniva non solo temuto ma anche de- cisamente impedito. Lo scoppio di un nuovo conflitto con i turchi avrebbe sicu- ramente determinato, secondo l'opinione degli analisti militari, una profonda o- stilità da parte delle altre potenze: i turchi, approfittando di questa situazione,

avrebbero opposto una lunga resistenza, sicuri del mancato intervento europeo a fianco dell'assalitrice.

D'altra parte però, nel promemoria lo Stato Maggiore scriveva a chiare lettere che in quel momento le forze armate italiane erano in grave crisi: per assicurare le dotazioni necessarie a mobilitare solo venti divisioni, sarebbero occorsi mezzi finanziari che il Bilancio della Guerra aveva potuto avere solo in parte. Pertanto per una eventuale azione contro la Turchia non si poteva contare in quel mo- mento che su quelle venti divisioni, le quali tra l'altro non erano nemmeno com- pletamente equipaggiate.(45)

Lo scopo di una eventuale spedizione contro la Turchia poteva essere la definiti- va imposizione della volontà italiana per avere una influenza politica ed econo- mica e dei presidi militari su quelle terre: l'obbiettivo poteva essere raggiunto o con una azione bellica ad oltranza o mediante una azione militare limitata, con carattere di pressione, e con una azione esclusivamente navale o aerea.

La prima ipotesi, una guerra ad oltranza con la Turchia, non veniva considerata possibile, con la limitazione a solamente venti divisioni mobilizzabili: la Turchia avrebbe potuto schierarne altrettante.

Quindi una spedizione che potesse avere qualche sicura possibilità di ottenere ri- sultati concreti doveva poter obbligare i turchi ad accettare l'urto tattico decisivo in una zona costiera in cui la padronanza del mare e la piena disponibilità di tut- te le forze e di tutti i mezzi assicuravano all'Italia la più ampia possibilità di suc- cesso.

Le azioni che venivano prefigurate come possibili andavano da una dimostra- zione navale al blocco o all'occupazione di qualche isola, a bombardamenti na- vali e aerei. Solo però un sistematico bombardamento di Smirne e dei maggiori centri ferroviari della regione, partendo dalla base di Lero avrebbero potuto por- tare un risultato di una certa importanza, sempre che le forze armate italiane si fossero limitate a operazioni non coperte dalla neutralità degli Stretti sancita dal trattato di Losanna.

Tali operazioni difficilmente avrebbero potuto essere prolungate e la reazione contraria dei neutrali sarebbe stato un ulteriore elemento per incoraggiare la re- sistenza turca.

Fra le operazioni che avrebbero potuto avere una forte pressione e essere una re- ale minaccia poteva essere annoverata l'occupazione delle isole di Imbro e Te- nedo, alle quali i turchi avevano così tanto tenuto durante le trattative per la pace di Losanna: queste potevano rappresentare un serio pericolo per la sicurezza ter- ritoriale dell'Anatolia, se fosse stata costituita in queste due isole una base aerea dalla quale poter bombardare Costantinopoli e altri importanti centri turchi mili- tari e civili: ma queste due isole, possibili obbiettivi militari e navali, erano state dichiarate zone neutralizzate nel trattato di Losanna. Il non rispetto della neutra- lità poteva comportare pericolose alleanze e altrettanto pericolose conseguenze. Se si accettava l'idea di operazioni di questo tipo, il Regio Esercito avrebbe do- vuto partecipare solamente fornendo truppe occorrenti a presidiare le due isole e a difendere il Dodecaneso. Infatti, in questo quadro di attacco alla repubblica di Kemal Ataturk, non era da escludere una reazione dei turchi contro l'arcipelago, proprio a causa della vicinanza del possedimento alla terraferma. Contro questo tipo di reazione poteva essere efficace una vigilanza esercitata dalla Marina e dall'Aeronautica.(46)

Nell’ottica di una guerra futura contro la Turchia, Lero fu scelta come base na- vale principale.

L’isola è situata di fronte al golfo di Mandelia all’estremo limite nord del Dode- caneso; è prevalentemente montagnosa ed ha una superficie di 55 kmq. Incunea- ta in direzione nord-ovest - sud-est, è posta sulle rotte che dallo stretto dei Dar- danelli accedono al Mediterraneo orientale attraverso tre canali compresi tra le isole di Mykoni, Nikaria e Samos.

L’isola di Lero ha una forma irregolare con sette baie e si sviluppa per circa 15 km di lunghezza con strozzatura nella parte centrale larga poco più di un chilo- metro. La baia di Portolago (attuale Lakki), ampia, con fondali adeguati e ben

protetta dai venti, era forse l’unico vero porto fungibile in tutto il Dodecaneso. Per allestire questa base navale la Regia Marina aveva speso nel solo 1928 l’ingente cifra di 28 milioni dell’epoca. La base era dotata di un’officina per la manutenzione e per le riparazioni di media entità al naviglio minore, di una sta- zione sommergibili in grado di assistere quattro battelli, di un bacino galleggian- te di carenaggio per unità subacquee e siluranti da 1.600 t di portata, serbatoi in- terrati per combustibili e carburanti, centrale elettrica con gruppi elettrogeni e difese antichimiche in caverna, nonché di una polveriera protetta e di due infer- merie con 300 posti letto.

Il dispositivo di difesa dell’isola era articolato su batterie antinave, antisiluranti e miste antisiluranti e antiaerei.

L’armamento delle batterie non differiva sostanzialmente da quello delle difese costiere delle basi navali metropolitane italiane. Anche a Lero, infatti, le artiglie- rie utilizzate nelle batterie erano riciclate, ossia si trattava di pezzi provenienti dalla trasformazione/demolizione di navi da guerra o da batterie dimesse della Grande Guerra.

Erano cannoni di vario calibro: 152/50, 120/50, 102/35, 76/50, 76/40. I calibri maggiori come il 152 ed il 120, erano impiegabili in funzione esclusivamente antinave, mentre il 102 e il 76 avevano doppia valenza, antisilurante e contrae- rei.

La prima batteria ad essere costruita a Lero fu la “Lago” nel 1925, sita sul monte Appetici di fronte alla costa turca. Fu seguita nel 1926 dalla “Ducci” a protezio- ne della baia di Portolago.

Accurati sopralluoghi topografici dei tecnici del Genio permisero di localizzare le posizioni dominanti atte a garantire la migliore copertura orizzontale. Tuttavi- a, l’orografia molto irregolare dell’isola, con numerose baie e varie colline com- prese tra i 100 ed i poco più di 300 metri di altezza, non permetteva una copertu- ra completa da poche posizioni dominanti.

lievo dell’isola; solo della marina c’erano oltre 80 bocche da fuoco di svariati calibri disperse su una superficie di appena 55 kmq. Su un’isola così brulla (uni- ca eccezione la zona centrale del Monte Meraviglia) le postazioni, tutte a cielo aperto, erano facilmente visibili dall’alto.

La configurazione delle batterie navali ed antiaeree era piuttosto semplificata e standardizzata per limitare i costi: costituite da una piattaforma circolare con un muretto di protezione alto circa un metro ed al centro un blocco di fondazione in calcestruzzo (profondo circa due metri) con vitoni per l’ancoraggio del cannone. Le riservette ed i depositi munizioni principali erano costituiti da bunker interra- ti in cemento, un corridoio unico collegava i vari ambienti tra cui un ricovero per i serventi.

Il personale addetto alle principali batterie era composto di circa 35 unità dei va- ri gradi. Era convinzione diffusa che non fossero necessarie difese ravvicinate robuste poiché la natura impervia e rocciosa delle coste rappresentava di per sé stessa una valida difesa naturale e che quindi le batterie più elevate non avessero da temere assalti da terra.

Il vero tallone d’Achille delle difese era costituito dai cosiddetti “settori morti verticali”, zone rocciose immediatamente a ridosso delle batterie che non pote- vano essere battute a causa della limitata possibilità di tiro in depressione dei cannoni (meno di 10 gradi).

Prima dell’entrata in guerra vennero allestite anche alcune postazioni antiaeree con moderni cannoni da 90/53 e mitragliere binate da 37/54.(47)

Lero era un vero possedimento della Regia Marina, anche se erano presenti le al- tre forze armate: l’aeronautica con un idroscalo e l’esercito con alcuni distacca- menti della divisione “Regina”. La marina deteneva una supremazia da cui tutto dipendeva, dalla rete di avvistamento aereo/navale sino alla difesa contraerea. Tutte le batterie, eccetto le postazioni tattiche di difesa ravvicinata costiera (ar- mate con personale dell’esercito), erano state costruite con i fondi del Ministero della Marina e servite da marinai.

Anche nell’isola di Rodi furono realizzate un buon numero di batterie costiere antinave in modo da battere e coprire tutti i quadranti. La progettazione e la struttura delle batterie era identica a quelle di Lero.

In tutte le altre isole minori vi erano presidi militari e distaccamenti di carabinie- ri reali la cui funzione era più che altro rispondente all’esercizio di sovranità na- zionale. Da un punto di vista militare, in caso di guerra, ogni piccola isola a- vrebbe dovuto resistere il tempo sufficiente al sopraggiungere dei rinforzi.

I rapporti italo-turchi migliorarono verso la fine degli anni venti, grazie anche ad alcune mosse della diplomazia fascista, come la firma del trattato di neutralità con la Turchia nel 1928 (con il quale si rinunciava definitivamente ad ogni e- spansione in Anatolia) e la mediazione italiana nel riavvicinamento greco- turco.(48)

Negli anni trenta lo scenario politico e militare era profondamente cambiato, la Turchia non costituiva più una minaccia mentre sia la Francia che il Regno Uni- to, con i loro mandati e possedimenti mediorientali, divenivano i principali anta- gonisti.

Dopo l’incidente di Ual Ual del dicembre 1934, che innescò la crisi etiopica, i rapporti con questi due paesi, già incrinati, peggiorarono ulteriormente.(49)

Nel maggio 1935, Mussolini dichiarò guerra all’Etiopia.

La mobilitazione militare italiana era destinata a rendere definitiva lo sposta- mento del paese verso l’alleanza con la Germania hitleriana, modificando dun- que la politica estera del regime.

Il governo di Londra inviò a scopo dimostrativo la Home Fleet nel Mediterrane- o.

La minaccia rappresentata dal Dodecaneso, che gli inglesi paventavano da de- cenni, divenne reale.

Alla luce di questi mutamenti il baricentro di difesa si spostò a Rodi, dove furo- no costruiti i due importanti aeroporti di Maritsa e Gadurrà ed un aeroporto di dimensioni più ridotte a Cattavia, località situata nell’estremo sud dell’isola.

Vennero allestite basi aeree anche a Coo e a Scarpanto.

La posizione geografica di Rodi costituiva un’importante testa di ponte per ef- fettuare incursioni aeree nella vicina area d’influenza anglo-francese, datochè i bombardieri ivi dislocati avrebbero potuto colpire obiettivi come Cipro, la Siria, il Canale di Suez, Alessandria d’Egitto - base principale della Mediterranean Fleet - e il terminale petrolifero di Haifa, in Palestina - vena giugulare dei rifor- nimenti inglesi - dove erano operative raffinerie alimentate da un oleodotto che portava il petrolio dall’Iraq, con annessi importanti depositi di carburanti.

Sotto il governatorato di De Vecchi, il costo delle opere di rinforzo delle basi stanziate nell’arcipelago ammontò a circa 36.000.000 di lire, cifra che dimostra come il regime desse notevole importanza al Dodecaneso, divenuto pedina indi- spensabile degli assetti mediterranei. Con Lero e Rodi faceva sistema la base ae- ronavale di Tobruk, in Libia: l’asse verticale delle tre basi avrebbe permesso di bloccare i traffici marittimi francesi ed inglesi da est ed ovest e avrebbe isolato a ponente Gibilterra e ad oriente Suez.

L’eventuale invio di rinforzi britannici nel Mediterraneo orientale avrebbe dovu- to scontrarsi con il cordone rappresentato dal sistema delle isole italiane.

Questa nuova strategia fu approntata nel corso di una riunione tenuta il 22 gen- naio 1937 presso il capo di Stato Maggiore Generale che la presiedette.

Analizzando le proposte di rafforzamento presentate dalle diverse armi e dal go-

vernatore De Vecchi emerge il seguente prospetto:

Forza armata Preventivo spese

Marina £ 50.000.000

Esercito £ 40.000.000

Aeronautica £ 15.000.000

Governatore £ 23.400.000

Totale £ 128.400.000

Il divario tra il totale preventivato e le risorse finanziarie stanziate dal governo era dunque abissale: il costo del Dodecaneso risultava alquanto elevato, tanto più che Roma avrebbe dovuto ancora sostenere le spese per la messa in sicurez- za di tutte le altre colonie dell’impero fascista. Quindi nonostante le continue proteste del governatore dodecanesino i finanziamenti non aumentarono.

De Vecchi inoltre fin dai primi giorni di mandato intervenne nell’organizzazione militare del Dodecaneso, rivendicando il potere assoluto nel gestire direttamente le forze armate del possedimento.

D’altronde era molto difficile per una personalità come De Vecchi accettare li- miti o rientrare nelle proprie competenze, una volta nominato governatore con poteri militari e civili. La sua era una personalità che non ammetteva contraddit- torio o limitazioni.(50)

Nell’ottica di De Vecchi le isole avrebbero costituito un formidabile sistema di difesa, la cui principale forza stava nel reciproco appoggio di un’isola rispetto ad un’altra ed era necessario, pertanto, che ogni isola fosse dotata di forze suffi- cienti a garantire il protrarsi della resistenza.

Per dimostrare ciò fu organizzata, dal 9 al 14 aprile 1939, un’esercitazione belli- ca al fine di collaudare il funzionamento della strategia difensiva e testare il meccanismo di trasmissione degli ordini. Il fulcro delle operazioni difensive fu Lero e si puntò strategicamente all’aiuto reciproco fornito dalle diverse isole. I vertici militari si dimostrarono soddisfatti dei risultati conseguiti: organico suffi- ciente, discreta tempestività d’intervento, mentre si rivelarono insufficienti le armi contraerei e Coo si dimostrò più importante del previsto, inoltre De Vecchi riconobbe l’estrema utilità dei MAS e richiese con insistenza che ne venissero inviate tre squadriglie.

Nelle esercitazioni successive risultarono scarse le armi automatiche messe a di- sposizione della difesa costiera, ma la vera lacuna furono i collegamenti che se- condo il governatore avrebbero essere maggiori e più fluidi, pertanto fu inviata a

Roma una richiesta di “perfezionamento delle difese” che venne accettata e fi- nanziata con 5.900.000 lire.

L’impegno finanziario per rendere il Dodecaneso pronto ad un eventuale scena- rio di guerra ad oriente fu notevole ma i fondi furono largamente inferiori a quanto richiesto, perché l’impero ebbe un costo alto per la conquista e uno anco- ra più elevato per il mantenimento. Inoltre gli sforzi finanziari di quel periodo erano indirizzati in particolar modo a sostenere le truppe italiane inviate nella penisola iberica a dare appoggio al generale Francisco Franco, l’artefice del sol-

levamento militare che il 20 luglio 1936 aveva provocato lareazione del gover-