• Non ci sono risultati.

Il Dodecaneso e l’Anatolia erano inscindibilmente legate tra di loro; l’Italia ave- va bisogno delle isole per mantenere la zona d’influenza nella costa anatomica e aveva bisogno di quest’ultimo territorio per far valere i suoi diritti sulle isole. L’archeologo e storico dell’antichità Roberto Paribeni, arrivava persino a giudi- care il possesso del litorale anatolico più importante rispetto a quello dellaLibia:

“Se vogliamo respingere per sempre da noi il pericolo di essere affamati, dobbiamo entro il Mediterraneo costi- tuire il nostro sicuro granaio. La Libia che impellenti ragioni di equilibrio politico ci imposero di assicurare al nostro dominio, non arriverà forse mai, o solo dopo la soluzione di ardui e ponderosi problemi idrici, a produrre cereali in quantità sufficiente per l’esportazione. Con l’Anatolia meridionale nelle nostre mani e una buona flot- ta, l’Italia esce finalmente di minorità, consegue la vera indipendenza, perché non avrà mai più a temere di poter essere presa o costretta per fame.”(48)

Quel possedimento insulare dal clima dolcissimo, ottenuto quasi per caso, era importante in chiave strategica e militare, ma era considerato scarsamente inte- ressante per un eventuale emigrazione.

L'Anatolia rappresentava invece per l'Italia non soltanto un nuovo e più facile sbocco per la sua manodopera, ma anche un territorio dal quale ricavare, oltre ai prodotti agricoli, anche materie prime.

In particolare l'acquisizione del bacino carbonifero di Eraclea avrebbe non solo bilanciato l'espansione franco-inglese in Medio Oriente, ma avrebbe garantito una sicura fonte di approvvigionamento di un elemento strategico, anche se for- se quel carbone non sembrava essere di ottima qualità. Per il generale Badoglio, in quel periodo Sottocapo di Stato Maggiore, le miniere di Eraclea, zona occupa-

ta dai francesi, costituivano una necessità assoluta e l'unica occupazione effetti- vamente redditizia in quel settore.

In quel bacino carbonifero già nel 1907 la Società Italiana d'Oriente aveva chie- sto e ottenuto una concessione, ma non aveva potuto agire da sola, per l'opposi- zione della Francia e si era dovuta accontentare quindi di avere solamente una partecipazione nella preesistente società francese che di fatto divenne così italo- francese. Comunque la società produceva circa mezzo milione di tonnellate di carbone l'anno, garantendo un certo rifornimento all'Italia.(49)

Il primo ministro britannico David Lloyd Gorge, almeno inizialmente, vedeva con favore un’ipotetica zona di espansione economica e di popolamento in A- dalia:

“Egli non proponeva che all’Italia fosse offerto un mandato per l’intera Anatolia, ma perché, egli domandava, non si sarebbe dovuto invitarli ad esercitare la polizia ed a sviluppare una parte dell’Anatolia, dove essi avrebbe- ro trovato un paese non dissimile dal loro.

Molte delle sue valli meridionali - un tempo fertili - erano pressoché prive di popolazione.

Gli era stato detto che prima della guerra l’emigrazione italiana andava da 800.000 a 900.000 persone all’anno. Perché non sarebbero state deviate verso queste regioni non sviluppate e non popolate della Turchia? Egli senti- va che l’intera disposizione di spirito dei rappresentanti italiani sarebbe mutata se le questioni avessero potuto essere discusse come un tutto unico in quello spirito.”(50)

Le ambizioni italiane però si estendevano su tutta l’Anatolia.

Smirne, la città più importante della costa anatolica occidentale con un buon porto, era evidentemente l’obbiettivo più ambito. Tutta la vita del litorale egeo dell’Asia Minore affluiva a Smirne e ne defluiva; questa metropoli era però a prevalenza etnica greca (250.000 su 400.000 abitanti).

Già nel 1913 il giornalista Giovanni Bevione, poi futuro senatore, che si trovava in Turchia su incarico ufficioso del governo italiano per meglio calibrare le ini- ziative nel settore delle ferrovie, scriveva:

“La concessione di Adalia non è che un’anticamera. Adalia non può essere che una tappa della nostra marcia. I tre sangiaccati a cui si limita la concessione di studi per la ferrovia non sono adeguati alla nostra potenzialità, non possono soddisfare le nostre legittime aspirazioni.

Altro bisogna cercare, altro bisogna fare, senza fretta, con metodo, con continuità di vedute e di volontà.

La prima cosa che bisogna tener presente è che tutto il blocco occidentale dell’Anatolia, quello che solo interessa noi italiani, ha una pupilla ,uno sbocco, un centro che si chiama Smirne.

Smirne è la seconda città dell’impero ottomano.

Non si può svolgere ad occidente della ferrovia di Anatolia un’azione efficace senza interessarsi di Smirne. Interessarsi di Smirne non significa volerla prendere d’assalto. Significa volervi esercitare un’azione legittima di civiltà.

E’ diffusa nell’aria la volontà presente e potente, tesa a maggiori cose. Cosi’ deve essere, perché nulla faremo in questo ultimo lembo di Asia Minore, se trascurassimo Smirne.

A Smirne dobbiamo lavorare con tenacia, con fede, con sacrifici, perché Smirne è il cervello e il cuore dell’Anatolia occidentale.

Ad Adalia abbiamo preso la nostra prima ipoteca. Fra Smirne ed Adalia deve svolgersi la nostra opera. Niente altro che questo, poiché teniamo le isole che lo comandano, ha da essere il lotto dell’Italia.”

Sin dalla fine del 1918 l’Italia vi aveva dislocato una nave stazionaria per parte- cipare al controllo interalleato del porto e alla normalizzazione della vita dell’importante comunità di levantini italiani, tra cui molti ebrei, con la riapertu- ra del consolato e delle scuole italiane in gran parte rette da religiosi. In città era inoltre residente un ufficiale della Regia Marina con compiti informativi. Erano alternativamente stazionari gli incrociatori "Liguria", "Piemonte", gli esploratori "Nino Bixio", "Venezia", "Premuda" e il cacciatorpediniere "Agordat".(51)

A Versailles, fra il 24 aprile il 7 maggio 1919, durante l’assenza della delega- zione italiana per i dissidi sulla città di Fiume, gli alleati spinsero la Grecia ad occupare Smirne, riconosciuta all’Italia come spettante alla sua zona di influen- za.

Quello che si voleva rinnegare alla Conferenza della Pace era non soltanto la previsione di specifici compensi territoriali per l’Italia, ma anche e soprattutto il concetto della partecipazione italiana alla divisione dei territori ottomani in po- sizione paritaria rispetto a Francia ed Inghilterra. Liberatasi dell’ipoteca russa sugli stretti, la Gran Bretagna voleva adesso liberarsi di quella italiana sulla co- sta anatolica, demandandone le competenze ai fidi greci. Per Roma si voleva prevedere una presenza limitata ad Adalia, rimettendo tutto il restante territorio di spettanza ex-italiana alla sovranità di Atene, dalla cui presenza nell’area egea

Londra non traeva motivi di preoccupazione.

Al suo ritorno la nostra delegazione presentò un esposto sull’Asia Minore:

“La delegazione italiana sostiene che nessuna discussione concernente le aspirazioni greche può venire iniziata da parte della commissione, perché l’assetto di questi territori rivendicati dai greci non può logicamente essere separato dal resto dell’Anatolia tanto dal punto di vista etnografico quanto da quello economico o politico. La regione rivendicata dal signor Venizelos, o ad ogni modo una gran parte di questa regione, è stata oggetto di accordi tra l’Italia da una parte e la Francia e la Gran Bretagna dall’altra, e precisamente: l’articolo 9 del Patto di Londra del 26 aprile 1915, e l’accordo di Londra del 18 agosto 1917 ,tra la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. In considerazione di questi accordi, la delegazione italiana considera che i governi contraenti non sono in posi- zione di accordare alla Grecia, neppure sotto forma di suggerimento, o tracciando le linee di frontiera su delle carte geografiche, alcun territorio che essi abbiano già ammesso, mediante precedenti accordi, come appartenenti all’Italia in tutto o in parte. Invero la zona rivendicata dal signor Venizelos, colla città di Smirne, è compresa quasi interamente nella zona attribuita all’Italia mediante l’accordo dell’agosto 1917; e per l’articolo 9 del Patto di Londra del 1915, che non contiene alcuna limitazione geografica precisa, sembrerebbe che a un preliminare scambio di vedute tra gli alleati dovrebbe aver luogo prima di giungere ad una decisione in merito alle aspirazio- ni greche.

La delegazione italiana considera che l’accordo dell’agosto 1917 è attualmente valido fino al momento in cui po- trà essere sostituito da un altro accordo. E’ vero che questo accordo era soggetto al consenso russo, ma questo consenso non poté essere dato giacché la Russia ha cessato di esistere. Questa riserva, pertanto è caduta per forza delle circostanze.

Lo stesso vale per quanto riguarda le isole dell’Egeo occupate dall’Italia. La delegazione italiana attira l’attenzione sulle disposizioni dell’articolo 8 del Patto di Londra del 26 aprile 1915, secondo il quale nessuna proposta contraria poteva essere avanzata da parte degli alleati senza il consenso dell’Italia.

D’altra parte, la delegazione italiana dà il suo pieno consenso, per ciò che la concerne, alla dichiarazione dei go- verni di Francia e Gran Bretagna del novembre scorso, che dispone per l’amministrazione della Siria e della Me- sopotamia, ma che non pregiudica in alcun modo la validità degli accordi tra i due governi.

Per queste ragioni la delegazione italiana ha espresso il parere che la Commissione non può giungere ad alcuna decisione in merito alle rivendicazioni greche riguardanti le isole occupate dall’Italia o a proposito dell’Asia Mi- nore, ed essa ha pertanto formulato le sue riserve quanto alla salvaguardia degli interessi dei diritti dell’Italia.”(52)

Il 2 maggio fu ad arte messa in giro la voce che a Smirne i turchi massacravano, per istigazione degli italiani, la popolazione greca, ed il primo ministro inglese Lloyd George, rendendosi interprete dei desideri del governo di Atene, chiese che una forza internazionale fosse mandata ad occupare la città.

pando la città con l’appoggio diplomatico e la fornitura di armi da parte britan- nica, malgrado le proteste dell’Italia. I contingenti francesi, inglesi ed italiani che presero parte allo sbarco furono minimi, nonostante i tentativi di Clemence-

au e Lloyd George di mascherare questa operazione come interalleata.

Adalia, pur essendo il secondo scalo marittimo dell’Anatolia meridionale, era meno prossima agli stretti di quanto non lo fosse Smirne; ma in compenso era più vicina al Dodecaneso e si prestava certamente meglio al progetto italiano di unire le acque dell’arcipelago alle grandi vie di comunicazione anatoliche. Ada- lia era un porto di preziosa collocazione geografica, ma privo di quell’aria pro- gredita e cosmopolita che si respirava a Smirne o in altri porti dell’impero otto- mano. Inoltre e fortunatamente, mancava ad Adalia una massiccia presenza elle- nista, potenzialmente pericolosa, ma vi abbondavano in compenso le vestigia dell’antica dominazione romana, elemento che sempre solleticava l’orgoglio ita- liano. In ogni caso, benché rappresentasse più o meno la metà delle originarie aspirazioni italiane, la regione di Adalia non era poca cosa. Comprendeva tre sangiaccati (Adalia, Burdur e Menteshè), per un totale di 440.000 kilometri qua- drati e di 560.000 abitanti.

Nell’Anatolia prospiciente al Dodecaneso l’occupazione voleva presentarsi co- me una penetrazione pacifica intesa al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione; ingente l’impegno per il soccorso sanitario, con la costruzio- ne di ambulatori medici dell’esercito e della marina nelle varie località, il ripri- stino delle linee di navigazione e del cabotaggio locale per favorire la ripresa dei commerci e assicurare l’arrivo di derrate alimentari, la rimessa in efficienza dei servizi locali e la ospitalità offerta nelle isole italiane ai profughi turchi di Smir- ne.

Nel marzo 1919, la Regia Marina aveva inviato ad Adalia la corazzata Regina Elena, al comando del capitano di vascello Alessandro Ciano, fratello del più ce- lebre Costanzo. Il 28 marzo il comandante Ciano, a seguito di gravi disordini scoppiati in città, inviò a terra due compagnie di marinai con mitragliatrici, allo

scopo di mantenere l’ordine pubblico a protezione del personale interalleato re- sidente e dei sudditi italiani.

Poi, ai primi di aprile, venne sbarcato ad Adalia un reparto di bersaglieri. Il suc- cessivo 11 maggio vennero effettuati sbarchi di marinai e di soldati nelle zone più a nord di fronte alle isole del Dodecaneso, a Scalanova, Kukuk, Bodrum, Marmaris; in un secondo tempo venne stabilito un presidio a Port Vathy, l’attualeKas, sulla costa di fronte l’isola di Castelrosso occupata dai francesi. Scalanova, a levante di Samos, era una posizione chiave tra il Grande e il Picco- lo Meandro per l’accesso ad Aydin, importante nodo ferroviario e stradale a sud di Smirne. Le occupazioni fino ai centri dell’interno con reparti dell’esercito tra- sportati da mercantili italiani scortati dalla Regia Marina vennero condotte a termine del mese di giugno con un totale di una diecina di migliaia di uomini e l’aspra disapprovazione a Parigi in seno alla conferenza di pace.(53)

Il 17 maggio 1919 a Versailles ci fu la protesta degli alleati per l’occupazione di

Scalanova di cui si faceva portavoce Clemenceau:

“Il presidente degli Stati Uniti, il Primo Ministro di Gran Bretagna ed io siamo stati informati che truppe italiane hanno occupato Scalanova sbarcando marinai e soldati, occupando le dogane e innalzando la bandiera italiana. Saremmo molto grati se il Primo Ministro d’Italia volesse farci conoscere se questa informazione è esatta, ed in tal caso quali ragioni lo abbiano influenzato nel prendere un’azione senza dare ai suoi colleghi alcuna previa no- tizia delle intenzioni del Governo italiano.

Noi siamo tanto più ansiosi in quanto questo sbarco è stato preceduto da altri sbarchi ad Adalia, Marmaritza e Budrum, intorno ai quali pure non fummo consultati. Vorremmo fare osservare che non abbiamo mai iniziato azioni in Turchia senza previa intesa con il collega italiano.

Nel caso del recente sbarco greco a Smirne noi discutemmo la proposta con lui prima che fossero dati ordini ad un singolo distaccamento greco di lasciare il territorio greco, e lo stesso signor Orlando consentì alla spedizione e ad uno sbarco collettivo con gli alleati per occupare i forti.

Noi siamo anche obbligati ad esprimere la nostra meraviglia per l’azione dell’autorità italiana, se è vera, in vista del fatto che io vi avevo informato che, a parere della maggioranza dei colleghi del Consiglio dei Quattro, Scala- nova non doveva essere inclusa nella sfera di influenza italiana in Asia Minore. Vi saremmo molto obbligati se poteste darci piena informazione il più presto possibile riguardo a questi fatti, ritenendo impossibile per il Consi- glio dei Quattro cercare di trattare il problema del prossimo Oriente se uno dei membri persistentemente prende iniziative per proprio conto, senza consultare gli altri.”(54)

Il governo italiano giustificò l’occupazione del litorale meridionale dell’Anatolia, con la necessità di riportare nella zona quell’ordine turbato dallo sbarco greco a Smirne.

Il 18 maggio giungeva la risposta italiana alla nota degli alleati:

“Le occupazioni italiane in Asia Minore, circa le quali sono state richieste informazioni dal presidente degli Stati Uniti e dai primi ministri di Francia e di Gran Bretagna, sono state determinate da imperiosi motivi di ordine pubblico e si sono effettuate senza nessun conflitto del genere di quelli verificatesi in occasione dello sbarco gre- co a Smirne.

La provincia di Adalia, per circa un mese, prima che avvenisse l’occupazione italiana, si trovava incontestabil- mente in preda all’anarchia. Le ulteriori occupazioni sono di carattere puramente militare, al pari delle altre compiute dalle potenze alleate in Turchia, e non hanno alcuna influenza sulla decisione finale concernente la sor- te definitiva dei vari territori appartenenti all’impero ottomano.

Ciò premesso, e per quanto dunque la definitiva sistemazione di quei territori non sia per ora in questione, il pre- sidente del Consiglio d’Italia non può fare a meno di ricordare, in rapporto, ai primi ministri di Francia e di Gran Bretagna, le disposizioni dell’articolo IX della Convenzione di Londra del 26 aprile 1915, ed i diritti che sulla base di tale articolo furono riconosciuti all’Italia.

Quanto al rilievo della mancata previa comunicazione, il signor Orlando desidera a sua volta osservare che la causa stessa, ed il modo di quelle occupazioni, escludono la possibilità di una previa comunicazione. Per altro fu ad insaputa del signor Orlando che venne rivolto alla Grecia l’invito di partecipare con truppe all’occupazione di Smirne.

Si comprometteva così di fatto, se non di diritto, la decisione definitiva circa quella città, in merito alla quale a- vevano avuto luogo, fra il Governo italiano e quello greco, in conformità del desiderio delle potenze alleate, ed erano tuttavia in corso, convenzioni che mostravano tutto lo spirito conciliativo che animava a tale proposito il Governo italiano.

Del pari, nessuna previa comunicazione venne fatta al presidente del Consiglio d’Italia sull’avvenuta occupazio- ne francese di Eraclea.

Il presidente del Consiglio d’Italia desidera, da ultimo, assicurare il presidente degli Stati Uniti ed i primi mini- stri di Gran Bretagna e di Francia, che, non meno di essi, egli ha a cuore di addivenire, in piena ed amichevole intesa coi suoi colleghi, ad una definitiva soluzione del problema mediterraneo: la quale col rispondere appieno allo spirito ed alla lettera degli accordi che determinarono l’entrata in guerra dell’Italia, valga a dare, anche su questo punto, all’Italia, la soddisfazione giustamente reclamata dalla Nazione.”(55)

Tuttavia le assicurazioni italiane non impressionarono favorevolmente gli allea-

ti, come si può evincere da questa nota del 28 giugno 1919:

“Se l’Italia persiste dopo le nostre insistenti proteste a mantenere truppe in Anatolia, ciò non può essere che per- ché essa cerca di ottenere con la forza tutto ciò che essa reclama come diritto. Ciò è totalmente incompatibile con

la vera alleanza; la sua fine inevitabile è un isolamento completo. Spetta agli uomini di stato italiani di dire se ciò è o non è l’interesse dell’Italia. Per noi e per il mondo la perdita sarebbe immensa, perché il servizio che l’Italia ha reso all’umanità, aiutando il ristabilimento di una pace durevole grazie alla cooperazione internazionale, è senza prezzo.

Per l’Italia significherebbe la perdita di ogni assistenza od aiuto ulteriore da parte di coloro che sono stati i suoi associati.

Per noi una tale fine sembrerà disastrosa, ma se la politica italiana persegue il suo corso senza cambiamenti, essa sembra anche essere inevitabile.”(56)