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L’occupazione tedesca del Dodecaneso e la dominazione italiana nominale, 1943-

Capitolo IV L'armistizio ed il ritorno alla Grecia

4.7 L’occupazione tedesca del Dodecaneso e la dominazione italiana nominale, 1943-

Come era accaduto in tutta l’Europa soggiogata dalle truppe di Hitler, anche nel Dodecaneso e soprattutto nell’isola principale, le popolazioni autoctone e italia- ne subirono pesantemente la loro presenza.

Rodi, la più abitata di tutte le isole, subì maggiormente le conseguenze della guerra: la carenza di cibo e di medicinali provocò carestia e gravi malattie; i te- deschi imposero la propria presenza col pugno di ferro attraverso il coprifuoco e ordini quotidiani che limitavano le libertà più elementari della gente; la folta comunità ebraica che venne lasciata in pace dagli italiani, anche dopo le leggi razziali, fu deportata dai nazisti nei lager della Germania edella Polonia.(25)

Una tragica sorte toccò anche ai militari italiani deportati verso i campi di con- centramento tedeschi: stivati a migliaia nei mercantili, una buona parte morì af- fogata per effetto degli attacchi inglesi. Infatti il 23 settembre, 1.800 uomini fu-

rono caricati sul piroscafo "Donizetti". Intercettato da due navi da guerra britan- niche e cannoneggiato, il "Donizetti" si capovolse e nessun prigioniero poté sal- varsi. Un'altra nave, l'"Orione", che imbarcava oltre 4.000 prigionieri italiani, a causa del maltempo andò a schiantarsi contro gli scogli a sud del Pireo: soltanto 21 si salvarono dal naufragio. Un'altra tragedia colpì la motonave "Petrella" che trasportava 6.500 prigionieri: silurata da un sommergibile britannico, sbandò su un fianco rimanendo a galla per circa un'ora. I prigionieri tentarono di salvarsi precipitandosi fuori dai boccaporti, ma i soldati di guardia falcidiarono con le mitragliatrici tutti coloro che tentavano la disperata impresa. Soltanto 26 furono i superstiti.

A Rodi dopo la deportazione dell’ammiraglio Campioni, l’amministrazione civi- le passò al vicegovernatore Iginio Faralli, un diplomatico serio e coraggioso che fece di tutto per alleviare le sofferenze della popolazione e dei militari italiani che i tedeschi avevano fatto rimanere nell’isola in stato di prigionia.(26)

Inoltre riuscì ad aiutare molti soldati italiani sfuggiti alle maglie dei rastrella-

menti tedeschi di settembre, assumendoli come dipendenti dell’amministrazione

civile.

Tuttavia il governo civile delle isole dipendeva completamente dai tedeschi e dai fascisti, tornati nuovamente in auge dopo la liberazione di Mussolini dalla sua prigionia sul Gran Sasso.

Nei confronti dei fascisti, però, manifestò così scarso servilismo al punto che es- si chiesero ai tedeschi di allontanarlo sostenendo che il governatorato era un co- vo di badogliani. Il comando germanico allora impose a Faralli e ai suoi dipen- denti il giuramento alla repubblica sociale, cosa che venne fatta nonostante l’iniziale rifiuto.

Nessuno di loro, comunque, accettò di indossare la camicia nera e di prendere la tessera del fascio repubblicano.(27)

Faralli, nei primi tempi, dovendo pur sempre mostrare una presa d'atto del nuo- vo regime, aveva modificato la formula di giuramento dei podestà, vice podestà

e consultatori dei comuni, evitando qualsiasi riferimento non solo al re ma anche al duce:

“Nel nome di Dio e della Patria giuro che osserverò lealmente le leggi dello Stato e le disposizioni del Governo, che adempi- rò a tutti gli obblighi del mio ufficio con diligenza e con zelo per il pubblico bene e nell'interesse dell'amministrazione. Giuro che non apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concili con i doveri del mio ufficio.”

Nel marzo 1944, quando ormai i tedeschi avevano compreso che un nuovo go- vernatore non sarebbe più giunto, Kleemann pretese che entro pochi giorni Fa- ralli ed i suoi dipendenti prestassero giuramento alla repubblica sociale italiana, pena il collocamento a disposizione, che implicava la deportazione.

Posto dinanzi ad una scelta che avrebbe potuto causare seri rischi, non solo per lui ma anche per la sua famiglia, considerati i pericoli che avrebbe che avrebbe comportato la deportazione non solo a causa dei tedeschi, ma anche degli ingle- si, che affondavano quasi tutto il naviglio nel mar Egeo, il vice governatore si mostrava tuttavia non incline ad eseguire quanto richiestogli.

Fu però vivamente pregato di restare al suo posto da diversi funzionari, i quali temevano che, col suo allontanamento, i tedeschi ed i loro accoliti fascisti a- vrebbero avuto mano libera. Era ugualmente forte il rischio che i tedeschi con- segnassero il governo delle isole ai greci: in tal caso le condizioni della comuni- tà italiana, di fronte all'ostilità dei tedeschi e dei greci, sarebbero inevitabilmente peggiorate. Si riteneva, inoltre, prossimo uno sbarco alleato con l'intervento del- la marina italiana, di cui si sapeva che era cobelligerante, ed i funzionari italiani desideravano mantenere la loro posizione in modo che un comandante alleato che fosse sbarcato a Rodi potesse ancora trovare in piedi un governo civile ita- liano, nella speranza di non pregiudicare del tutto la sorte delle isole a guerra fi- nita. Considerato, infine, che un giuramento richiesto in quelle condizioni pote- va dirsi estorto, Faralli accettò di sottoscrivere l'adesione alla repubblica socia- le.(28)

Macchi era stato rivestito di quella carica non certo per meriti fascisti, ma perché gli amministratori italiani e gli stessi tedeschi conoscevano le sue qualità. Gio- vane ingegnere milanese, era arrivato a Rodi come ufficiale di complemento. Promosso capitano di artiglieria, fu nominato direttore della centrale di allarme per la difesa aerea dell’isola. Le sue conoscenze tecnologiche gli permisero di mantenere sempre efficiente quel servizio nonostante la mancanza di mezzi. Dopo la resa italiana i tedeschi gli chiesero di conservare l’incarico ai loro ordi- ni. Rifiutò l’offerta e allora, con l’autorizzazione germanica, passò sotto l’amministrazione civile italiana. Fu allora che Faralli lo nominò podestà.

I tedeschi erano interessati soprattutto a tutelare i propri interessi militari nella regione e lasciarono che i loro alleati fascisti della neo costituita repubblica so- ciale italiana continuassero a gestire gli affari civili, pur essendo questa ammini- strazione completamente svuotata di ogni potere.

Anzi, in numerose occasioni i tedeschi fecero capire chiaramente agli isolanichi

comandava davvero.

Nel novembre 1944 i tedeschi introdussero, sfidando apertamente l’autorità ita- liana, i consigli popolari, nei quali gli autoctoni potevano incontrarsi e discutere i principali temi economici e sociali, incoraggiando la popolazione locale a e- sprimere le loro rimostranze verso il governo coloniale italiano. Venne anche in- trodotto un giornale settimanale in lingua greca, ma la più chiara sfida all’autorità italiana si ebbe nell’ottobre del 1944 quando, in risposta alle richie- ste locali, il governatore militare tedesco dell’Egeo orientale approvò la riapertu- ra dopo sei anni delle scuole greche.

Nell'agosto 1944, in seguito alla decisione del Comando Supremo tedesco di ab- bandonare la Grecia, anche a Rodi fu inviato l'ordine di evacuazione; il generale Kleemann lasciò l'isola con il suo Stato Maggiore, seguito dalla parte migliore delle sue truppe, mentre giungeva, col compito di completare l'evacuazione, il colonnello delle ss Otto Wagener.

tirata nella penisola balcanica, ed in particolare la perdita di Salonicco (ottobre 1944), resero impossibile la prosecuzione dei trasporti aerei da Rodi al continen- te; Wagener e le restanti truppe tedesche rimasero perciò tagliati fuori, virtual- mente intrappolati. I britannici, che con un'azione di forza avevano occupato Scarpanto accolti entusiasticamente dagli isolani (i quali ottennero l'immediata abolizione dell'amministrazione italiana locale), dopo aver constatato l'abbando- no da parte del nemico delle isole di Stampalia, Gaidaro, Simi, Patmo, Lisso e Nisiro, ritennero che non valesse la pena di attaccare le residue guarnigioni tede- sche nelle isole di Rodi, Coo, Lero, Calino, Calchi e Piscopi (abbandonata e successivamente ripresa con un contrattacco dai tedeschi), limitandosi a control- larne le mosse in vista dell'inevitabile resa ed insediando un Quartier Generale avanzato a Simi.

Rinchiuso nella piazzaforte assediata di Rodi, Wagener si trovava in una situa- zione non facile.

Le truppe di cui disponeva non erano delle migliori, poiché costituite da compa- gnie di disciplina in cui si trovavano elementi sospetti o per le loro opinioni poli- tiche o per la loro nazionalità (austriaci, polacchi).

Le truppe italiane contavano uno scarso numero di combattenti e non davano molto affidamento.(29)

Il 15 ottobre 1944 Wagener emise un appello alla popolazione italiana del Do- decaneso, col quale ordinava che tutti gli uomini aventi cittadinanza italiana dai diciassette ai sessanta anni, che non appartenessero già al Reggimento Rodi (che comprendeva le camicie nere della milizia aderenti alle forze armate germaniche come combattenti) o che non prestassero già servizio come lavoratori presso i reparti tedeschi, si presentassero agli uffici del distretto militare, per essere ar- ruolati nel Reggimento Rodi oppure nel fronte di difesa interna per lavori d'im- portanza bellica.

Nessuno poteva sottrarsi all'obbligo del servizio militare o della mobilitazione civile, neanche gli impiegati o collaboratori del governo; chi si fosse rifiutato sa-

rebbe stato portato in campo di concentramento e trattato secondo la legge mili- tare, mentre il suo patrimonio sarebbe passato allo stato.

L'appello terminava così:

“Non mi spaventa l'impiego di qualsiasi misura pur di condurre indistintamente tutti gli uomini del Dodecaneso sul fronte della difesa. Al fronte si può cadere, chi si astiene dal combattere la battaglia per il suo popolo deve cadere.”

Il minaccioso proclama non ebbe successo, perché i pochi giovani che non a- vrebbero potuto sottrarsi alla chiamata erano stati fatti arruolare da Faralli nei carabinieri, mentre gli altri dimostrarono di essere impiegati in attività indispen- sabili; il comandante tedesco osservò che i nuovi arruolati avrebbero potuto go- dere di un miglior approvvigionamento, ma si dichiararono disponibili solo 25 cittadini italiani, dei quali circa la metà risultò inabile.(30)

I Reali Carabinieri continuarono a svolgere i loro compiti di polizia cercando tuttavia di favorire in tutti i modi le fughe dei militari italiani dall'isola verso le coste della vicina Turchia. Ciò fu reso possibile anche dall'attiva collaborazione della popolazione greca che fece fronte unito contro i tedeschi. Nell'isola esiste- va da già da tempo una rete di spionaggio e fiancheggiamento a favore degli Al- leati composta da elementi locali e da greci infiltrati da Cipro. Nel paese di Vil- lanova l'arciprete ortodosso Michele Lucas, dopo aver favorito la fuga di nume- rosi italiani, era riuscito a sminare un piccolo tratto di costa con l'aiuto di due genieri italiani che si nascondevano nella sua chiesa, i sergenti Langella e Lan- zotti. Quest'area sminata serviva come via sia di fuga sia di infiltrazione in pre- visione di operazioni di guerriglia e sabotaggio in supporto al sempre auspicato sbarco degli Alleati. Un'altra spiaggia sminata era disponibile sulla costa orien- tale nei pressi di Calithea.

Tuttavia nonostante questi propositi nessun piano venne attuato da parte ingle- se.(31)

la carenza dei generi di prima necessità. L’agricoltura locale e gli allevamenti di bestiame, ridotti per la guerra, erano costretti a provvedere prima di tutto ai bi- sogni delle truppe di occupazione tedesche, restando ben poco per la popolazio- ne locale e per i nostri soldati prigionieri.

Le risorse agricole del Dodecaneso, già in passato, non erano mai state sufficien- ti a nutrirne la popolazione: per fornire un esempio, nel 1940 la coltura del fru- mento rendeva 5 o 6 quintali per ettaro, quantitativo insufficiente ai bisogni lo- cali, si rendevano quindi necessarie continue importazioni di generi alimentari. La situazione si complicò con l'entrata in guerra dell'Italia, in seguito alla quale si ridusse il traffico marittimo verso le isole e venne introdotto il razionamento dei viveri per una popolazione valutata in 130.000 abitanti. Nel giugno 1942 a Roma i rappresentanti delle amministrazioni interessate (Esteri, Agricoltura, Trasporti, Governo dell’Egeo) e della Società Commerciale Italiana Mediterra- neo (SCIM) concordarono un piano di approvvigionamento della popolazione civile del Dodecaneso, esteso con alcune modifiche anche alle isole greche oc- cupate. Un anno dopo si decise di elaborare un nuovo piano, tenuto conto delle modificazioni subite per cause contingenti, impiegando i cereali di produzione locale, sino a tutto agosto 1943.

Dopo l'armistizio però le importazioni di viveri dall'Italia cessarono completa- mente. Nel Dodecaneso le razioni furono ridotte al minimo indispensabile, fa- cendo assegnamento soltanto sulle scorte disponibili. Il modesto patrimonio zoo- tecnico di allevamento non consentiva che qualche rara distribuzione di carne, nella misura massima di 200 grammi al mese a persona; i prodotti della pesca si erano fatti sempre più scarsi in seguito alla quasi cessazione di quell'attività a causa della guerra. Le isole che più scarseggiavano di prodotti agricoli non po- tevano prelevarne in quantità sufficiente dalle altre, dato che queste ultime ne avevano appena per soddisfare il proprio fabbisogno.

Infine, si presentava difficile, se non impossibile, ottenere l'approvvigionamento di una parte almeno del fabbisogno alimentare (cereali, legumi, uova) dalla Tur-

chia, per mancanza di valuta e di merci da dare in cambio.

Era invece fiorente il mercato nero che aveva contribuito a un'abnorme crescita dell'inflazione. Un chilo di pane, introvabile nei negozi, costava al mercato clan- destino 3000 lire di allora, quasi il doppio dello stipendio mensile di un impiega- to.

I campi coltivati erano stati recintati dai tedeschi col filo spinato e controllati da pattuglie armate che avevano l'ordine di fucilare sul posto chi osava oltrepassare i recinti.

Faralli chiese aiuto alle autorità italiane da cui dipendeva formalmente e cioè quelle fasciste. Ma gli fu risposto che era impossibile raggiungere l’isola circon- data com’era dal blocco britannico.

Serafino Mazzolini, sottosegretario agli Affari Esteri della rsi, chiese al Comita- to centrale della Croce Rossa Italiana di intervenire presso la Croce Rossa Inter- nazionale. Il nuovo commissario della Croce Rossa italiana, Coriolano Pagnozzi, fece sapere che il suo ente si era già a più riprese interessato della questione ri- guardante l'approvvigionamento del Dodecaneso, ma senza esito; egli stesso si riservava di trattare l'argomento personalmente a Ginevra, non appena fosse giunta l'autorizzazione a recarvisi. Anche il delegato della repubblica sociale ita- liana in Svizzera fece le più vive premure presso il CICR per ottenere che gli Al- leati non si opponessero al rifornimento di Rodi, precisando che le forze armate germaniche in Egeo erano largamente provviste di viveri e che quindi le 1.000 tonnellate destinate alla popolazione civile non avrebbero modificato la situa- zione militare dell'isola.(32)

Si mosse anche il podestà di Rodi Antonio Macchi, il quale inviò per lettera un

appello al presidente della Croce Rossa internazionale a Ginevra, Toeplitz, di cui era un lontano parente. Nella lettera il podestà accennava a una popolazione da sfamare di 120.000 persone, riferendosi probabilmente a tutti gli abitanti del Dodecaneso, forse esagerando volutamente per attirare maggiormente l’attenzione della Croce Rossa.

Inizialmente i vertici dell’organizzazione umanitaria indugiarono perché teme- vano che i viveri inviati potessero essere requisiti dalle truppe tedesche, invece di approvvigionare la popolazione civile. Dopo complicati negoziati venne rag- giunto un accordo per cui il comando tedesco si sarebbe impegnato nel permet- tere e assicurare che i viveri avrebbero raggiunto la popolazione.

Il 9 febbraio 1945 arrivarono le scorte di cibo, caricate su un grande pescherec- cio trainato da una motosilurante disarmata comandata da un ufficiale inglese e battente bandiera della Croce Rossa. A questo primo carico ne seguirono molti altri, anche dopo la resa della Germania, fino al febbraio del 1946 e ne benefi- ciarono molti prigionieri tedeschi.(33)

Il 9 maggio 1945, giorno della fine delle ostilità, terminava anche l’occupazione

tedesca del Dodecaneso.