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Capitolo III L'Egeo in guerra

3.7 L’intervento tedesco nei Balcan

Intanto, dopo l’avventata aggressione alla Grecia, l’esercito italiano era stato in- capace di sfondare il fronte di resistenza ellenico.

Il generale Visconti Prasca era stato sostituito dal generale Soddu, vice Capo di Stato Maggiore, e collocato in congedo assoluto.

Nel mese di dicembre i greci sferrarono la loro controffensiva. La demagogia fa- scista non poté occultare, alla prova dei fatti, l’insufficienza dei mezzi e delle at- trezzature. I greci avanzarono in Epiro, e dopo duri combattimenti catturarono il porto di Santi Quaranta, seguito dalle cittadine di Argirocastro, Pogradec e Hi- mara, occupando praticamente l’intera Albania meridionale. L’esercito greco

riuscì anche ad impossessarsi del passo di Klisura di grande importanza strategi- ca.

L'arretramento era generale, la linea del fronte italiano era tutta in movimento. Una ritirata ordinata, ma che si lasciava alle spalle una grande quantità di mate- riale, tra cui numerosi carri leggeri L/3 della divisione corazzata "Centauro" im- pantanati nel fango e successivamente rimessi in efficienza ed impiegati dai gre- ci.(32)

Il 4 dicembre 1940 Mussolini aveva confidato a Ciano:

“Ogni uomo compie nella sua vita l'errore fatale. E l'ho compiuto anch'io quando ho prestato fede al generale Vi- sconti Prasca. Ma come non farlo se quest'uomo appariva tanto sicuro di sé medesimo e se tutti gli elementi da- vano il maggior affidamento? E' il materiale umano con cui lavoro che non serve, che non vale.”(33)

Tuttavia i greci non furono in grado di portare a termine l’offensiva sferrata in direzione di Valona.

In dicembre il comando del gruppo d'armate in Albania venne affidato al genera- le Ugo Cavallero, nuovo Capo di Stato Maggiore in sostituzione del dimissiona- rio Badoglio.

Cavallero riuscì a riorganizzare in qualche modo i rifornimenti: a Durazzo ven- nero costruiti nuovi pontili e negli altri porti vennero effettuati lavori per au- mentare le capacità di sbarco. I convogli divennero regolari, riuscendo ad assi- curare un afflusso costante di uomini ed armamenti. Le forze italiane riuscirono ad attestarsi su una serie di posizioni difensive racchiudenti nella loro cerchia Tirana ed i porti di Durazzo e Valona.

Entro la fine del gennaio 1941 la spinta offensiva ellenica ebbe termine. Il fronte si stabilizzò in quanto entrambi gli avversari non erano abbastanza forti per mo- dificare lo stallo che si era venuto a creare.

A marzo gli italiani, dopo aver inviato nuove forze, lanciarono a loro volta un’offensiva con obbiettivo il passo di Klisura. L’assalto, durato dal 9 al 16 marzo, non riuscì però nell’intento di sfondare la linea di difesa ellenica e otten-

ne solo piccoli successi. Il bilancio dell'offensiva fu drammatico con la perdita di 12.000 uomini tra caduti e feriti.(34)

L’intervento tedesco rappresentava l’unica possibilità di volgere a nostro favore questa estenuante guerra di posizione.

La Germania era penetrata nei Balcani, assicurandosi il petrolio rumeno e i pro- dotti alimentari di cui erano ricche l’Ungheria e la Bulgaria. E questo risultato l’aveva ottenuto inducendo con le minacce o con le lusinghe i governi di questi paesi ad aderire al Patto Tripartito.

Soltanto la Jugoslavia aveva recalcitrato alle insistenti pressioni tedesche e ita- liane, ma il problema era considerato secondario. Il paese era povero e dilaniato da violenti contrasti intestini. Costruito a tavolino nel primo dopoguerra sulle rovine dell’impero asburgico, lo stato jugoslavo era un coacervo di ceppi etnici, di religioni e lingue diverse. Sloveni, croati, bosniaci, albanesi, ungheresi, mon- tenegrini erano in perenne conflittualità con i serbi, che rappresentavano il grup- po etnico dominante, e reclamavano la loro autonomia. La maggiore spinta sepa- ratista veniva dalla Croazia, che aveva dato vita al movimento insurrezionale fi- lofascista “Ustascia”, guidato da Ante Pavelic e alimentato da Roma.

Hitler aveva infine costretto il principe Paolo Karadorcevic, reggente di Jugo- slavia, ad entrare a far parte dell’Asse, ma alla fine del marzo 1941 questi era stato destituito da un gruppo di ufficiali dell’esercito, mentre veniva proclamato re il principe Pietro II Karadorcevic.

L’esigenza tedesca di costituire nei Balcani una riserva alimentare ed energetica per il Terzo Reich si era accresciuta quando, sul finire del 1940, Hitler aveva i- niziato in gran segreto la pianificazione dell’attacco all’Unione Sovietica, l’Operazione Barbarossa.

I tedeschi avevano infatti assoluto bisogno dell’egemonia su quei territori per salvaguardarsi le spalle prima di intraprendere l’attacco ad est.

Gli inglesi sin dall’inizio del conflitto italo-greco si erano insediati a Creta, ac- quisendo così le importanti basi aeronavali dell’isola.

Nello stesso mese di marzo Churchill inviò in Grecia, sottraendolo dalle esigen- ze del fronte nordafricano, un contingente di 60.000 uomini.

Il Primo Ministro inglese riteneva che con questo aiuto militare i greci avrebbero presumibilmente acconsentito a mettere a disposizione della Royal Air Force le grandi basi aeree di Salonicco, concessione che, fino a quel momento, essi ave- vano negato per non offrire pretesti alla Germania. Gli aeroporti di Salonicco avrebbero garantito ai bombardieri inglesi la possibilità di colpire i pozzi petroli- feri di Ploesti, in Romania.

La presenza di consistenti forze britanniche in territorio ellenico e l’atteggiamento recalcitrante della Jugoslavia offrirono ai tedeschi il pretesto per piegare con la forza delle armi queste due nazioni.

Il 6 aprile Hitler ordinò l’invasione della Jugoslavia ed informò Mussolini sui compiti affidati all’esercito italiano: proteggere il fianco destro dell’armata tede- sca e difendere i confini settentrionali dell’Albania. Le truppe italiane invasero

la Jugoslavia sulle orme di quelle tedesche, dopochè Belgrado era stata sottopo-

sta ad un bombardamento aereo che provocò 17.000 morti.(35)

Il 17 aprile l’esercito jugoslavo chiese l’armistizio.

Contemporaneamente la Wermacht diede inizio alle operazioni belliche contro la Grecia. In poche settimane le truppe tedesche annientarono le armate greche della Macedonia orientale e dell’Epiro, ricongiungendosi con gli italiani che combattevano in Albania. Il 23 aprile anche i greci firmarono l’armistizio.(36)

Il corpo di spedizione inglese e ciò che rimaneva dell’esercito ellenico si reim- barcarono per Creta dai porti dell’Attica e del Peloponneso.

Ad Atene venne instaurato un governo militare greco, sottoposto al controllo della Germania e dell’Italia, alla guida del generale Tsolakoglu.

L'occupazione italiana del territorio greco fu gestita dall'XI armata guidata dal generale Carlo Geloso, sostituito poi dal maggio 1943 dal generale Carlo Vec- chiarelli. Fu un processo lento, sia per lo scarso numero di uomini impiegati nel- le operazioni, sia per le difficoltà di comunicazione: i danni di guerra, soprattut-

to quelli alla rete ferroviaria della Grecia centrale, erano stati consistenti.

Alcuni grandi porti erano stati distrutti e il traffico marittimo faceva fatica a ri- prendere a causa delle mine dislocate in Egeo nel corso del conflitto. Le nostre truppe vennero concentrate soprattutto nei centri urbani, con rari presidi nelle zone rurali, e furono frammentate sul territorio, in particolare sul litorale e nelle isole con compiti di difesa. Questo tipo di occupazione a macchia di leopardo avrebbe molto indebolito le forze armate nella futura lotta contro il tenace mo- vimento di resistenza greco.(37)

L’Italia ottenne il controllo delle isole di Corfù, Zante, Cefalonia, Santa Maura e Itaca.

Inoltre occupò le Cicladi e le Sporadi settentrionali. Secondo i piani di Roma, le Cicladi e le Sporadi sarebbero state integrate nei possedimenti dell’Egeo. Nelle isole Cicladi e Sporadi le autorità civili rimasero in funzione, così come la gen- darmeria. Valeriano Valeriani fu nominato commissario civile per la nuova pro- vincia. I due arcipelaghi dipesero dal governo di Rodi in materia amministrativa, economica e commerciale. Tale scelta politica fu aspramente criticata da Vale- riani per le difficoltà e l’insicurezza dei trasporti. Inoltre, nei possedimenti dell’Egeo era in circolazione la lira, mentre nelle isole appena acquisite era in

circolazione la dracma. L’obbligo della preventiva autorizzazione delle autorità

italiane a Rodi riguardo alla trattazione degli atti, degli ordini di pagamento, dell’aumento degli stipendi e pensioni, dei prezzi di monopolio, di tasse e impo- ste generò enormi ritardi che nocquero enormemente alla condizione economica già precaria dei due arcipelaghi ellenici.(38)

Nonostante questi acquisti territoriali, l’Italia aveva dimostrato manifestamente

l’impossibilità di condurre una guerra autonoma dalla Germania.

La guerra parallela, su cui Mussolini aveva impostato l’intervento italiano, si reggeva su due presupposti: la vicina vittoria tedesca sulla Gran Bretagna e la capacità delle forze italiane di conseguire successi parziali su teatri diversi come base per la rivendicazione di una serie di annessioni al tavolo della pace.

Entrambi questi presupposti decaddero: la Gran Bretagna non fu conquistata e l’esercito italiano subì disastrosi rovesci sul fronte greco e in Africa settentriona- le.

Iniziava quindi la cosiddetta guerra subalterna, in cui l’Italia non fu più conside- rata al livello del III reich, ma un alleato di seconda fascia totalmente dipendente dalle decisioni di Berlino.