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aujth;n ajei; eijaujth;n ajei; eij

aujth;n ajei; eij



nai,nai,nai,nai,

kai; ouJvtwı th;n tou dialevgesqai duvnamin pantavpasi diafqerei. (135b 8-c 5);

ed una fusione perfettamente analoga fra i due concetti la incontriamo anche nel Cratilo, in cui Socrate, in polemica con gli estremismi di certe posizioni eraclitee, la necessità del tratto di ‘Stabilità’ dell’

eij



doı

, indispensabile sia al suo poter ‘essere conosciuto’, sia all’esistenza stessa del Conoscere:

...eij de; ajei; wJsauvtwajei; wJsauvtwajei; wJsauvtwı ejvcei kai; to; ajei; wJsauvtwı ejvcei kai; to; ı ejvcei kai; to; ı ejvcei kai; to; autoauto autoauto ejsti,ejsti,ejsti,ejsti, pw



ı aj;n tou



tov ge metabavlloi hj;

kinoi



to, mhde;n ejxistavmenon th



ı auJtou



ijdevaı…

(439e 3-5)142

Seguendo in particolare questi ultimi due brani, se ne deduce che Platone, se ciò corrispondesse alle sue intenzioni, potrebbe benissimo fare a meno dell’avverbio

ajeivajeivajeivajeiv

nel

parlare dell’

oujsivaoujsivaoujsivaoujsiva

, o, detto più in generale, di formulazioni atte a descrivere l’Intelligibile nei termini delle sue caratteristiche atemporali, come avviene di fatto in alcune particolari occasioni; un caso straordinario al riguardo è rappresentato dal Fedro in cui, nell’arco dell’intera narrazione del periplo compiuto dall’Anima cibernauta nell’Iperuranio, sino alla spiegazione del sorgere della mania amorosa (cfr. 247b 6-251a 7), il filosofo non ricorre una sola volta al concetto di Eternità per descrivere le realtà contemplate dalla

yuchv

,

preferendo una terminologia tutta concentrata sul loro Essere, e scegliendo come concetti

alternativi che ne rafforzino il senso, quelli di Verità e di Purezza:

oujsiva ojvntwı oujoujsiva ojvntwı oujoujsiva ojvntwı oujoujsiva ojvntwı ouj



sasasasa

estremamente articolata che delineeremo nel capitolo successivo, e che comunque costituirà uno dei temi cardine dei futuri sviluppi della presente ricerca.

142

La domanda che nel Cratilo viene lasciata aperta troverà risposta nel Sofista nella teoria del Conoscere

come ‘fare’ e dell’Essere conosciuto come ‘patire’, che consentirà il Movimento sia del Soggetto conoscente

che dell’oujsivaoujsivaoujsivaoujsiva, senza che questa debba venir meno al principio della sua Invarianza atemporale (cfr. 248 b 2- 249a 2, e 249b 8-c 8).

187 (247c 7),

ta; ojvnta ojvntwıta; ojvnta ojvntwıta; ojvnta ojvntwıta; ojvnta ojvntwı

(247e 3),

ta; ojvntata; ojvntata; ojvntata; ojvnta

(248a 5),

thththth



ı touı touı touı tou



ojvntoı qevaıojvntoı qevaıojvntoı qevaıojvntoı qevaı

(248b 4),

tw

twtw

tw



n ajlhqwn ajlhqwn ajlhqwn ajlhqw



nnnn

(248c 3-4),

to; ojvn ojvntwıto; ojvn ojvntwıto; ojvn ojvntwıto; ojvn ojvntwı

(249c 4),

kavlloı, toukavlloı, toukavlloı, toukavlloı, tou



ajlhqouajlhqouajlhqouajlhqou



ıııı

(249d 5),

ta; ojvntata; ojvntata; ojvntata; ojvnta

(249e 5),

twtwtwtw



n ejkein ejkein ejkein ejkei

 (250a 6),

kaqaroi; ojvnteıkaqaroi; ojvnteıkaqaroi; ojvnteıkaqaroi; ojvnteı

(250c 4-5),

aujto; to; kavlloıaujto; to; kavlloıaujto; to; kavlloıaujto; to; kavlloı

(250e 2). Probabilmente questa scelta non va interpretata come un’intenzione di togliere all’Eternità il suo valore di connotazione essenziale dell’ambito eidetico: tendiamo invece a ritenere che l’utilizzazione della nozione di Eterno si renda didatticamente indispensabile in quei contesti squisitamente ‘ascensivi’, punto questo sul quale ci soffermeremo nel capitolo successivo, in cui per poter intendere il dislivello ontologico fra Idee ed apparenze, sulla base dei loro rispettivi attributi, si richiede la comprensione preliminare del radicamento dei due ambiti oggettuali nelle modalità ben distinte della loro esistenza. In quest’ottica si capisce, perlomeno intuitivamente, come mai in un contesto che tratta, come è il caso del Fedro, dell’Anima disincarnata, la quale si trova perciò ‘già’ in quel luogo a lei congernere e familiare, per usare le parole del Fedone, l’esigenza di ribadire la distinzione delle oujsivai dai sensibili mediante la loro Atemporalità non costituisca un imperativo. La possibilità dunque, di ‘togliere dialetticamente’ l’aaaajjjjeiveiveiveiv, sia che questa Aufhebung avvenga nell’Essere stesso, che in un suo genere determinato, dovrebbe costituire una

prova sufficiente a sostegno della tesi che l’Eternità platonica non è concepita né nel

Fedone né nel Timeo come una sorta di durata.

Apprestandoci a concludere questa sezione della ricerca, sentiamo il bisogno di fare una breve precisazione, relativa al fatto che nel corso di tutta l’analisi svolta sinora abbiamo parlato dell’Eternità in termini, alternativamente, di ‘Atemporalità’ e di ‘Permanenza’: ciò non è stato il frutto di un atteggiamento dettato dal caso, e neppure del bisogno di spezzare semplicemente la monotonia linguistica. Infatti, che nonostante le osservazioni appena svolte in merito all’opportunità di riconoscere all’

ajiwvnajiwvnajiwvnajiwvn

platonico caratteri di Atemporalità, cioè di trascendenza rispetto alla dimensione temporale, non sia improponibile parlarne

anche in termini di Permanenza143, è provato dal passo del Timeo in cui gli si attribuisce un

143

Pur ritenendo che in definitiva Platone non chiarisca fino in fondo la distinzione fra Permanenza ed Atemporalità, propende per una lettura “timeless” dell’Aion anche Richard Sorabji, in Time, Creation and the

Continuum, 1983, il quale, riprendendo l’impossibilità dichiarata da Platone che l’Essere Eterno sia soggetto a divenire più giovane e più vecchio, fa giustamente osservare che se è lecito interpretare queste asserzioni, sulla scia di quelle contenute nelle prime due deduzioni del Parmenide, come l’espressione di una concezione

‘quantitativa’ del Tempo, l’eventualità che dietro alla nozione di aijwvn si celi un concetto di durata è da escludersi a priori (p. 111). Inoltre, anche in una prospettiva meno ristretta di quella che voglia vedere nel

188 “Rimanere nell’Unità”: il Demiurgo difatti crea il tempo, che si muove secondo l’ordine

del numero, proprio a partire dall’Essere Una dell’Eternità:

...poiei

 mevnontomevnontoı aijwmevnontomevnontoı aijwı aijwı aijwnonononoı ı ı ı ejn eJni;

ejn eJni;ejn eJni;

ejn eJni;

kat jajriqmo;n ijou



san aijwvnion eijkovna, tou



ton oJ;n dh; crovnon wjnomavkamen.

, 37d 6-7. Tuttavia l’atto generativo così descritto, non costringe a leggere per forza in questa Permanenza una sfumatura durativa, soprattutto se si riflette sulle implicazioni teoretiche che questa autentica derivazione del crovnoı dall’Uno dovrebbe presupporre: del Tempo vi sono infatti sia “parti”,

mevmevmevmevrh crovnourh crovnourh crovnourh crovnou

, che “forme”,

eijvdh crovnoueijvdh crovnoueijvdh crovnoueijvdh crovnou

, 37e 4, limpido segnale che la duplice dinamica, dimensionale o matematica, e categoriale, in azione sullo

sfondo dell’intera cosmogenesi -

eijveijveijveijvdesiv te kai; ajriqmoidesiv te kai; ajriqmoidesiv te kai; ajriqmoidesiv te kai; ajriqmoi



ıııı

, 53b 5-, deve giocare un ruolo ben preciso anche nel quadro della creazione del

crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

a partite dall’

aijwvnaijwvnaijwvnaijwvn

.

contro Whittaker, op.cit.), piuttosto concludere in favore di una specie di legame fra Unità ed Eternità

decisamente più forte di quello puramente aritmetico:

«If the partlessnes of eternity is to differ significantly, it must be partlessness in some much more radical sense. Perhaps the sense is that eternal things cannot in any way have lives divided into earlier and later phases. But if that is so, it is hard to see how they can still have duration.» (idem).

Le argomentazioni di Sorabji riescono particolarmente convincenti anche in relazione alla ‘problematica’ attribuzione al Tempo dell’appellativo di immagine “eterna” (37d 7), che hanno spinto ancora Whittaker ad assimilare pressoché interamente l’Eterno platonico ad una ‘durata infinita’ (ibid., nota 34), e prima di lui Cornford, in Plato’s Cosmology, 1937, a distinguere invece fra due specie di durata, la “unchanging” o “eternal duration” e la “everlastingness in time” del cosmo, da non ritenersi comunque in contrapposizione reciproca (cfr. p. 98 e p. 102). In proposito, osserva Sorabij, l’assegnazione al crovnoı dell’epiteto aijwvnioı, «[…] does not show eternity to involve duration, for it must be understood in the light of the heavy qualifications which have preceded it: it was not possible to confer eternity completely on the generated thing, but only a likeness of eternity. If, then, time is immediately said to be eternal, this must be in a different way from the model, and the latter may still be eternal in the sense of being timeless.» (ibid., p. 110). La

Somiglianza fra il tempo generato ed il suo Paradigma, non implica infatti in nessun modo che entrambi debbano avere carattere durativo. Bella infine la riflessione che faceva Fraccaroli, op.cit., p. 201 nota 3: «Certo è che se l’immagine deve rappresentare il paradimma in ciò che gli è sostanziale, ciò che nel paradimma è sostanza nell’immagine sarà fenomeno e qualità, ma non potrà mancar mai.», donde l’autore deduce l’infinità del tempo cosmico.

In favore di una visione atemporale dell’Aion Tempo Ideale, “trascendente e divino”, a partire da

considerazioni di ordine matematico e non solo, si pronunciava anche Degani, op.cit., p. 80:

«Per aijwvn, fisso nella puntualità aoristica dell’“è”, ogni concetto di estensione temporale -anche se illimitata- è fuori luogo: poiché, come il punto matematico è privo di dimensione, così esso non ha alcuna estensione, ovvero durata; non comporta divisioni temporali […]».

Sulla stessa linea, cfr. inoltre P. Philippson, op.cit., pp. 88-89, e, della stessa autrice, Origini e forme del mito

189 Limitandoci ad un mero accenno in proposito potremmo dire che il Permanere dell’Eterno nello

eJvn

non può essere interpretato processualmente, né dal punto di vista dimensionale, in

quanto l’Unità non appartiene, in senso stretto, alla serie numerica (cfr. in particolare sia

la considerazione della

monavı

nel Fedone come principio generale della Disparità, in 105c 6 sgg., che il processo di produzione dei ‘Numeri’ nella seconda deduzione del Parmenide 143a 6 sgg., in cui è la

diavnoia

a cogliere la

eJterovthıeJterovthıeJterovthıeJterovthı

fra l’Uno e l’Essere che genera la serie degli

ajriqmoivajriqmoivajriqmoivajriqmoiv

), né analogamente, da quello categoriale, in quanto il memememevvvvnein ejnein ejnein ejnein ejnnnn eJniveJniveJniveJniv

di quella ‘Forma Ingenerata di Tempo’ che è l’aijwvnaijwvnaijwvnaijwvn, è indicativo piuttosto del suo

restare nell’Unità della sua stessa Idea, se non addirittura allusivo alla sua dipendenza ultimativa dal pantelwpantelwpantelwpantelwı eJvnı eJvnı eJvn ı eJvn (Parm. 157c 4, ed ancora 158a 5: aujtwaujtwaujtwaujtw/ tw/ tw/ tw/ tw/ eJniv/ eJniv/ eJniv/ eJniv, 159c 5:

to; wJ to; wJto; wJ

to; wJı ajlhqwı ajlhqwı ajlhqwı ajlhqwı eJvnı eJvnı eJvnı eJvn144). In entrambi i casi saremmo dunque in presenza di una Permanenza da intendersi come una pura inclusione concettuale nell’Uno145.

144

Siamo profondamente persuasi che la quarta e la quinta deduzione del Parmenide, dalle quali sono rispettivamente tratte queste tre asserzioni intorno all’Uno, siano determinanti per la comprensione della dinamica concettuale interna alla Protologia platonica.

145

Di fronte a questo ‘Essere nell’Unità’ si schiudono senza dubbio delle prospettive ermeneutiche estremamente profonde. Per arrivare ad una comprensione maggiormente adeguata del legame fra l’aijwvnaijwvnaijwvnaijwvn e lo eJvneJvneJvneJvn, bisognerebbe esaminare la difficile questione dei legami fra l’oujsivaoujsivaoujsivaoujsiva, la taujtovthıtaujtovthıtaujtovthıtaujtovthı e la eJnovthıeJnovthıeJnovthıeJnovthı, con un

occhio rivolto alla domanda inerente agli eventuali rapporti di anteriorità e posteriorità ontologica sussistenti fra loro. Un’indagine sistematica svolta in questa direzione si rivelerebbe particolarmente feconda, se si pensa che, data la natura insieme dimensionale e categoriale del Tempo, dietro alla genesi di crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı potrebbero celarsi anche alcune fondamentali implicazioni protologiche. Il coinvolgimento della teoria dei Principi, veicolata dalla tradizione indiretta, nella stessa genesi del Tempo dall’Eternità, non è un’ipotesi peregrina, come dimostrano sia il dibattito intra-accademico che le esegesi neoplatoniche, per i quali dobbiamo limitarci qui a rinviare, rispettivamente, a H. Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica,1982 (in particolare a quanto detto in relazione al nun a p. 165 ed alla relazione ontologica anteriore-posteriore a pp.

166, 256, 262 sgg., 274 n. 21, 295), ed a Plotino, Enn. III 7, 2-6; 11 1-5, con l’illuminante interpretazione che del ‘plotiniano’ ejn eJni; mevnein ha dato W. Beierwaltes in Plotin über Ewigkeit und Zeit, 1967, pp. 154-155, ed infine a Proclo, In Platonis Timaeum Commentaria, Libro D, 241B 9-242D 15. Per restare nell’ambito di un’analisi puramente ontologica, dell’avviso che lo eJvn in questione sia l’unità dello stesso Aion, è E. Vollrath,

cit., p. 260. La posizione cui ci sentiamo più vicini, che presuppone come già compiuto il passaggio dalla considerazione dell’Eternità ancora entro i confini del nesso Essere-Eterno, a quella della propria idealità, è quella di J. Halfwassen, op.cit., 1997, p. 156: qui si evince che l’aijwvnaijwvnaijwvnaijwvn può essere considerato ora come parte di quell’Uno-Tutto eidetico che è il Vivente Intelligibile, ora nell’Unità della sua propria Idea, ora come Unità della stessa Totalità eidetica, cioè come Idea dell’Unità dell’Essere in quanto tale:

«…das Eine, in dem die Ewigkeit verharrt ist dabei nicht das überseiende Eine selbst, sondern die in diesem gründende Einheit des Seins, das seiende Eine als das umfassende Ganze aller Ideen (vgl. Parm. 142b ff.). Was

190 *

Concludendo, diciamo che per quanto abbiamo potuto verificare sino a questo momento, la concezione platonica del rapporto fra Eternità e Tempo delineata nel Fedone e nei dialoghi tradizionalmente considerati come appartenenti allo stesso periodo, si è dimostrata coerente con quella che il filosofo, esplicitandola nella sua autonomia ontologica, ci ripresenta nel Timeo.

also die Ewigkeit als das einheitliche Ganze des Seins auf einmal ist, das bildet die Zeit auf eine unvollkommene und verschwommene Weise ab [...] Die Ewigkeit dagegen ist als die in sich gesammelte unzerteilte Einheit des Seins der Modus, in dem die unveränderlichen Ideen die volle und eigentliche Wirklichkeit sind.».

Halfwassen tuttavia, non sembra propendere per il riconoscimento di un legame diretto fra l’Aion e l’Uno ‘Superessenziale’, optando invece per una esplicazione del concetto di Eternità al livello della ‘sola’ oujsiva.

Personalmente, quella della sussistenza di un nesso più profondo fra l’aijwvn aijwvn aijwvn aijwvn e l’ajgaqovnajgaqovnajgaqovnajgaqovn, è un’ipotesi che non

ci sentiamo affatto di escludere, a prescindere dallo stato che si voglia riconoscere al Bene relativamente al suo rapporto con l’Essere. Per fare infine ulteriore chiarezza su questa ‘duplice componente’ del platonico

aijwvn, in cui coesisterebbero in maniera non contraddittoria atemporalità e permanenza, non si può

prescindere dal confronto speculativo con i filosofi della scuola Eleatica, per stabilire se la concezione

191

Capitolo 3. Una questione di priorità: la domanda

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