• Non ci sono risultati.

nu~n oujd jeijı auj ı auj ı auj ı auj~qi ~qi ~qi ~qiı ejvsesqai ı ejvsesqai ı ejvsesqai ı ejvsesqai che qui è ancora il crovnoı crovnoı crovnoı crovnoı a celarsi sotto le spoglie della genesi, rivelandosi per il solo a determinare il modo in cui i sensibili ci si presentano nel

loro apparire.

Nel tentativo di chiarire il senso di questa flessibilità intrinseca al concetto di generazione, sembrano venirci incontro due possibili soluzioni:

123 -la prima, più ovvia, suggerirebbe di leggere nel ricorso al termine gevnesiı un semplice riferimento al gignovmenon, cosa che avviene, parzialmente, anche nel caso della negazione del gigvnesqai

dia; crovnou

per l’ajivdioı ousiva (cfr. Tim. 38a 3-4), in cui Platone segnala di nuovo la presenza di una linea di demarcazione fra divenire e Tempo;

-la seconda, più sottile, permetterebbe di individuare nella

gevnesiı

di Tim. 38a 1-2 esattamente il trascorrere alterno dell’essere nel non essere, lettura autorizzata sia dal precedente riconoscimento delle forme del Tempo come forme di negazione di quell’ejvstin ontologico che è il solo a potersi predicare dell’oujsiva, sia dalla loro esplicita descrizione come ‘movimenti’(cfr. Tim. 37e 5-38a 2): la “generazione che procede nel Tempo” starebbe dunque ad indicare di nuovo quel moto apparente fra

ojvnojvnojvnojvn

e

mh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn

illustrato nel Parmenide, che, costituendo la natura stessa del

crovnocrovnocrovnocrovnoıııı

, avanza necessariamente con esso. Il tempo si ripresenterebbe perciò come

metabolhvmetabolhvmetabolhvmetabolhv

, riconfermando l’interscambiabilità dei concetti di

crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

e

gevnesiıgevnesiıgevnesiıgevnesiı

.

Estremamente significativo in proposito è il fatto che Platone ricorra anche in altre circostanze al concetto di gevnesiı nelle veci del crovnoı, come riteniamo avvenga sia nel celebre prologo del Timeo, con quel pregnante

gevnesin de; oujk ejvcongevnesin de; oujk ejvcongevnesin de; oujk ejvcongevnesin de; oujk ejvcon

, riferito all’ajei; ojvn in 27d 6, ed inteso come sinonimo di quell’oujdevpote ojvn di d 7, caratteristico del gignovmenon, ancora in d 6, che all’esordio della tripartizione che arricchisce la narrazione cosmogonica attraverso l’introduzione del terzo genere della cwvra (cfr. 48e 2 sgg.), in 48e 4-49a 1: ta; me;n ga;r duvo iJkana; hjn ejpi; toiı ejvmprosqen lecqeisin, eJ;n me;n wJı paradeivgmatoı eijdoı uJpoteqevn, nohto;n kai; ajei; kata; taujta; ojvn,

mivmhma de; paradeivgmatoı

deuvteron, gevnesin ejvcongevnesin ejvcongevnesin ejvcongevnesin ejvcon kai; oJratovn.

Si vede chiaramente che qualunque delle due opzioni ermeneutiche suggerite sopra si ritenga più convincente, non ci sia alcun motivo valido per rifiutare l’ipotesi dell’identità fra divenire e Tempo; mentre la seconda alternativa non necessita di ulteriori spiegazioni, in quanto presuppone in maniera più che palese l’unificazione dei due concetti, la prima invece affonda le sue radici in una problematica centrale per questa ricerca, che occuperà interamente il successivo capitolo: per questa via veniamo infatti catapultati direttamente nel cuore della questione relativa al nesso fra Essere e Tempo, dove possiamo subito toccare con mano la difficoltà strutturale al tentativo di stabilire un confine netto fra i due. Limitandoci alla considerazione dell’ambito sensibile, è evidente che nel rapporto fra

124 descrivere l’uno facendo a meno dell’altro99: da un lato infatti l’ambito fenomenico non è pensabile a prescindere dalla propria transitorietà, che è appunto la caratteristica principale di cui Platone si serve nel terzo argomento del Fedone per darci didatticamente ragione del suo apparire, e dall’altro il Tempo, intendendolo sia come il passare del fenomeno, che nella specificità delle sue singole dimensioni, non è né concepibile, né tantomeno trasferibile dal piano della consapevolezza interna a quello dell’articolazione linguistica, se non mediante le forme dell’Essere e della sua Negazione.

Di questa intrinseca compenetrazione era ben conscio Hegel, quando diceva, nel §.258 della sua Enciclopedia,

«In der Zeit, sagt man, entsteht und vergeht alles;…Aber nicht in der Zeit entsteht und vergeht alles, sondern die Zeit selbst ist dies Werden, Entstehen und Vergehen, das seiende Abstrahieren, der alles gebärende und seine Geburten zerstörende Kronos. - Das Reelle ist wohl von der Zeit verschieden, aber ebenso wesentlich identisch mit ihr.» (Enziclopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundriss, 1830, Band 9)100,

ed ancora, nell’aggiunta a questo stesso paragrafo, precisava come le stesse cose finite siano il Tempo, in quanto la temporalità è la loro “determinazione oggettiva”,

99

Su questo punto Taylor, op.cit., ancora a p. 188, proprio in virtù dell’impossibilità che il Tempo sussista privo di fenomeni, pur riconoscendo nel crovnoı un’emulazione diretta dell’Eternità (pp.186-187), sembrerebbe escludere radicalmente che esso possa avere una struttura sua propria, se ‘scollato’ dagli

avvenimenti che in esso si svolgono; subito poi però, nel descriverlo quale “carattere degli eventi”, precisa che sarebbe più opportuno definirlo come “il carattere più universale della natura, il suo ‘passare’ (trascorrere)”; Ciò equivale però a conferirgli, nuovamente, un’universalità che se anche non lo elevasse

ontologicamente rispetto alla sfera sensibile, ne svela comunque ancora una volta il carattere di ‘forma’ della dimensione fenomenica, per usare una terminologia quasi kantiana, e dunque il suo avere una natura in

qualche modo ‘propria’. Lungi dal voler giudicare negativamente questa oscillazione di Taylor, che anzi ha dei nobili precedenti in Plotino ed in Proclo (cfr. in proposito la splendida sintesi di Werner Beierwaltes, in

Denken des Einen, 1985, pp. 160-174), la segnaliamo a conferma della pregnanza speculativa di questo

complesso intreccio fra i piani logico, cosmologico, ontologico e dialettico, che mette veramente a dura prova anche gli esegeti più raffinati.

100

«Nel tempo, si dice, tutto si genera e si corrompe;…Ma non è nel tempo che tutto nasce e perisce, piuttosto il tempo stesso è questo divenire, nascere e morire, l’astrarre essente, il Kronos che tutto dà alla luce e che distrugge la sua stirpe. -Il reale è certamente distinto dal tempo, ma è altrettanto essenzialmente identico ad esso.», traduzione nostra.

125 «Die Zeit ist nicht gleichsam ein Behälter, worin alles wie in einen Strom gestellt ist, der fließt und von dem es fortgerissen und hinuntergerissen wird. Die Zeit ist nur diese Abstraktion des Verzehrens. Weil die Dinge endlich sind, darum sind sie in der Zeit; nicht weil sie in der Zeit sind, darum gehen sie unter, sondern die Dinge selbst sind das Zeitliche; so zu sein ist ihre objektive Bestimmung. Der Prozeß der wirklichen Dinge selbst macht also die Zeit; und wenn die Zeit das Mächtigste genannt wird, so ist sie auch das Ohnmächtigste.» (ibid., §. 258, Zusatz)101

È lampante perciò, che quanto più inscindibile, che non significa però non suscettibile di una fondazione al livello dell’Essere atemporale, risulta essere il legame fra il

crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

e l’

oujsivaoujsivaoujsivaoujsiva

, tanto più è legittimo parlare del Tempo come

gevnesiıgevnesiıgevnesiıgevnesiı

.

§.2: Il Crovnoı ed il gignovmenon.

Dopo aver tematizzato la possibilità di far coincidere il concetto di Tempo con il divenire del sensibile, è opportuno spendere alcune parole per verificare, ancora nel terzo argomento in favore dell’immortalità dell’Anima del Fedone se, come la simmetria del ragionamento presuppone, anche dal punto di vista del rapporto fra il

crovnoı

ed i

gignovmena

sia lecito dedurre le modalità complessive dell’apparire dei fenomeni dalla loro temporalità, in modo analogo a quanto era avvenuto riconoscendo nell’Unità, nella Non composizione, nella

Monoformità, nell’Indivisibilità, nell’Immutabilità, nel carattere Ingenerato e non da ultimo nell’Invarianza dell’Idea sia in rapporto a Se stessa che nel suo porsi in relazione agli altri Intelligibili, tutte caratteristiche derivabili dal loro Essere Eterne.

A fungere da linea guida all’intero procedimento dimostrativo era stata l’assunzione, fatta in 78c 3-8, secondo cui solamente quelle cose tali da non essere mai costanti, mhdevpote kata; taujtav, sarebbero state composte, suvnqeta. Dall’evidente constatazione, in 78d 10-e 6, che tutto quanto si relaziona all’Idea come una molteplicità determinabile tramite il legame

101

«Il tempo non è, per così dire, un contenitore in cui tutto quanto viene collocato come in un flusso che scorre e dal quale viene travolto e trascinato giù verso il fondo. Il tempo è solamente questa astrazione del logorare. Poiché le cose sono finite, perciò esse sono nel tempo; non è perché sono nel tempo, che esse vanno a fondo, bensì le cose stesse sono il temporale; l’essere tali è la loro determinazione oggettiva. È il processo delle cose reali stesse a produrre il tempo; e se il tempo viene detto la cosa più potente, allora esso è anche quella più impotente.», traduzione nostra. I testi di Hegel citati anche nel prosieguo del lavoro sono tutti tratti dalla Frankfurter Ausgabe, G.W.F. Hegel, Werke in 20 Bänden, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1970.

126 partecipativo in forza del quale essa viene considerata omonima con quell’eij~doı, non rimane mai invariabile né rispetto a sé stesso, né in rapporto agli altri elementi del medesimo insieme, -

oujvte aujta; auJtoi~ı oujvte ajllhvloiı oujdevpote...kata; taujtav

- si può concludere immediatamente che il sensibile avrà natura composta102. La derivazione di tutte le caratteristiche che vengono attribuite nel corso del ragionamento all’ambito fenomenico e che sono, in ordine cronologico, composizione, divisibilità, mutamento per alterazione ed implicitamente polimorfia, dalla sua impermanenza, ed a causa delle quali esso si manifesta in maniera completamente ‘opposta’ all’Intelligibile -

...pa~n toujnantivon

ejkeivnoiı...

-, è talmente palese da non richiedere ulteriori spiegazioni.

Tuttavia è interessante approfondire brevemente in che modo esse dipendano dall’

oujdevpote kata; taujta; oujdevpote kata; taujta; ejvceinoujdevpote kata; taujta; oujdevpote kata; taujta;

ejvceinejvceinejvcein

, tenendo appunto conto del fatto che questa espressione cela in sé il concetto di Tempo.

In proposito c’è un bel passo del Simposio in cui, oltre ad essere ribadito il profondo legame esistente fra disidentità e crovnoı, viene anche messa bene in luce la ragione esatta della dipendenza del modo di apparire del sensibile dal suo essere temporale. Ambedue questi aspetti divengono del tutto lampanti se si pensa, ad esempio, a quel fenomeno della crescita che è proprio di ogni essere vivente; è precisamente a questo evento biologico che fa riferimento Diotima di Mantinea, da cui Socrate dichiara di essere stato istruito ‘nelle cose d’amore’, quando, avendo convenuto che Amore è Amore del Bene e insieme dell’Immortalità, vengono individuati nel desiderio di generare e nella riproduzione i mezzi per tutti gli animali di conseguire la loro perpetuità, infatti ‘la generazione lascia sempre un giovane al posto di un vecchio’ :…th/ genevsei, oJvti ajei kataleivpei eJvteron nevon ajnti; tou palaiou...(207d 2-3). Giunti a questo punto del dialogo Diotima parla così:

«Poiché anche durante il tempo in cui ogni vivente si dice che vive come unità e che è lo stesso ([...] ejpei; kai;

ejn wJ~/ eJ;n eJvkaston tw~n zwv/wn zh~n kalei~taiejn wJ~/ eJ;n eJvkaston tw~n zwv/wn zh~n kalei~taiejn wJ~/ eJ;n eJvkaston tw~n zwv/wn zh~n kalei~taiejn wJ~/ eJ;n eJvkaston tw~n zwv/wn zh~n kalei~tai

kai; eij~nai to; aujtokai; eij~nai to; aujtokai; eij~nai to; aujtokai; eij~nai to; aujto

;) -per esempio si dice che è la stessa persona quella che da bambino giunga fino alla vecchiaia- (oiJ~on ejk paidarivou

oJ aujto;ı levgetai

eJvwı aj;n presbuvthı gevnhtai:) in

102

Che Platone non sembri voler dare un rilievo speciale a questa logica conseguenza, pur contenuta in quella che può considerarsi una sintesi della dimostrazione, in 80a 10-b 5, dipende semplicemente dal fatto che l’interesse del filosofo è spostato sul legame esistente fra yuchv ed eijvdh il quale, riconducibile tramite la

nozione dell’Invisibile alla condizione atemporale di entrambe (cfr. anche Phaed. 78e 5 sgg., e per l’esplicita attribuzione alla Psiche del medesimo modus existendi eidetico 79d 1-7), permette di sostenere la suggevneia

127 realtà esso si chiama nello stesso modo, ma non conserva mai in sé le stesse cose. (ouJ~toı mevntoi

ououououjjjjdedededevvvvpote tapote tapote ta;;;; pote ta auaujjjjtaauautata;;;; ta eeeejvjvjvjvcwn ecwn ejjjjn aucwn ecwn en aun aun auJJJJtwtwtwtw

~/ oJvmwı oJ aujto;ı kalei~tai,) Anzi sempre si rinnova e in altra parte deperisce, nei capelli, nella carne, nelle ossa, nel sangue e in tutto il corpo. (ajlla;

nevoı aaaajjjjeieieiei;;;; gignovmenogignovmenogignovmenogignovmenoıııı

,,,, ta; de; ajpolluvı, kai; kata; ta;ı trivcaı kai; savrka kai; ojsta~ kai; aiJ~ma kai; suvmpan to; sw~ma.)» (207d 4-e 1)

Il brano è davvero emblematico quanto alla precisione estrema con cui la transitorietà del fenomeno viene esaminata dall’interno della sua costituzione: difatti Platone ci offre qui, sollecitandoci a pensare il sensibile nella sua ‘individualità’, un’angolazione concettuale privilegiata muovendo dalla quale possiamo, da un lato, giungere alla conferma di alcune ipotesi delineate fino a questo punto, e dall’altro trarre alcuni ulteriori spunti di riflessione. Innanzitutto il filosofo respinge con decisione come scorretta, che poi è il perno intorno al quale ruota l’intero ragionamento, l’attribuzione al vivente sensibile di Unità ed Identità, e lo fa sulla base di un ragionamento che sottintende nuovamente il sussistere di un’interdipendenza fra il non essere mai allo stesso modo, il concetto di Tempo, e la nozione di generazione:

-innanzitutto il punto di partenza della deduzione è anche in questo caso, come nel Fedone, l’oujdevpote kata; taujtav ejvcein del fenomeno, analizzato qui esclusivamente nel proprio relazionarsi a se stesso, ragion per cui la terminologia alla quale eravamo stati abituati dall’argomento della non composizione prende qui la forma della ‘negazione che il singolo ente sensibile mantenga in se stesso le medesime cose’ -

oujdevpote ta; aujta; ejvcwn ejn

auJtw

~/-, detto in altri termini, seguendo il riferimento fatto esplicitamente in 207d 4 all’Unitarietà ed alla taujtovthı, se ne asserisce il ‘non essere mai rispetto a se stesso né uno né identico’;

-in secondo luogo questa sua inconsistenza ontologica si rivela per un trascorrere temporale: la nozione di crovnoı, dissimulata nella perifrasi “quello in cui ciascun animale si dice vivere” -

ejn wJ~/...eJvkaston tw~n zwv/wn zh~n kalei~tai

- è l’espressione più propria, ed insieme consente di prendere coscienza, di tale apparenza di unità e di invarianza;

-infine il passare intrinseco alla natura del fenomeno è inteso, di nuovo, come una

gevnesiı

: ogni sensibile può essere correttamente definito nella sua individualità come un’entità “sempre diveniente” -

ajei; gignovmenoı

- e questo suo divenire coincide con quello stesso tipo di mutamento per alterazione incontrato nella terza prova di Immortalità, che si manifesta nel generarsi e corrompersi.

128 Che il concetto di gignovmenon possa ritenersi comprensivo non soltanto del venire ad essere, bensì anche della corruzione dell’ente sensibile, menzionata espressamente nel brano del Simposio, è provato dal fatto che nel prologo cosmologico del Timeo, delle due sfere ontologiche che vengono contrapposte, l’una, quella dell’Essere Eterno non soggetto a gevnesiı, l’altra, descritta appunto come “ciò che sempre diviene”,

to; ajei; gignovmenonto; ajei; gignovmenonto; ajei; gignovmenonto; ajei; gignovmenon

, la seconda corrisponde appunto a quell’ambito apprensibile mediante i sensi ed opinabile, che non è mai veramente essere, essendo appunto gignovmenon kai; ajpolluvmenon:…

tiv to;

gignovmenon me;n ajeiv, oj;n de; oujdevpote…...to; d jauj



dovxh/ met jaijsqhvsewı ajlovgou

doxastovn, gignovmenon kai; ajpolluvmenon, ojvntwı de; oujdevpote ojvn.

(27d 6-28a 4).

Outline

Documenti correlati