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poreuovmenoı crovnoı

di 152a 4-5)81

;

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Celebre fra le interpretazioni tese a sostenere il carattere sofistico degli argomenti qui citati del Parmenide, quella di Otto Apelt, che nelle sue Untersuchungen über den Parmenides des Plato, 1879, parte dalla considerazione che la costruzione del comparativo seguito da uno dei pronomina reciproca, corrispondente appunto al caso di un’espressione come presbuvteron eJautou givgnesqai, la quale per la sensibilità linguistica greca non dovrebbe significare nient’altro che ‘diventare più’ vecchio, viene interpretata da Platone in senso letterale, cioè autoreferenziale, per generare volontariamente un argomento eristico (p. 15). Fa specie tuttavia, che fosse lo stesso Apelt a proporre la soluzione di questo presunto sofisma, fornendo una motivazione

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analoga a quella che in seguito verrà ripresa invece da Cornford, e che condividiamo in pieno, proprio a sostegno della non contraddittorietà intrinseca all’asserire l’essere ed il divenire dell’Uno sia più vecchio che

più giovane rispetto a se medesimo (espresso negativamente nella prima deduzione, positivamente nella seconda), per la quale cfr. Plato and Parmenides, 1939, pp. 128, 186 sgg. Naturalmente la possibilità di

asserire il divenire e l’essere dello eJvn più vecchio rispetto al più giovane che era, così come quella di affermarne il divenire o l’essere più giovane rispetto al più vecchio che sarà, si regge sulla nozione di Uno

inteso come un Intiero (ragion per cui la partecipazione al crovnoı viene appunto decisamente negata nella prima deduzione), radicato dunque in una dimensione temporale caratterizzata da una ciclicità di tipo

continuo, concetto che viene esplicitato solamente nella seconda tappa della gumnasiva; Apelt acutamente si serviva, per rendere facilmente accessibile la continuità del Tempo, di cui che egli stesso riconosceva la presenza sullo sfondo dell’inferenza, dell’immagine di un fiume:

«Weiter aber kann ich nun auch hier die Uebergangsmomente nicht mehr als diskrete Theile, sondern al sim Fluss begriffen denken. Dann darf ich nicht mehr sagen, newvterovn ejsti eJautou, sondern newvteron givgnetai

eJautou, womit wir bei der obigen Wendung angelangt sind. Dieselbe ist also an sich gerade so berechtigt als

die erstere und bildet die nothwendige Ergänzung zu derselben. Nach diesem Recept könnte man, wie ich nebenbei bemerke, sehr leicht zeigen, dass ein Fluss zugeich vorwärts und rückwärts fliesst. Denn das fliessende Wasser muss immer porjrJwtevrw eJautou givgnesqai von der Quelle ab gerechnet; wenn es aber

porjrJwtevrw eJautou givgnetai, so muss es nach obigem auch ejgguvteron eJautou givgnesqai, -natürlich

wieder von der Quelle ab gerechnet- d.h. rückwärts fliessen» (p. 16).

In generale, gli argomenti circolari sul ‘più vecchio ed il più giovane’ sarebbero puri sofismi anche secondo A. Diès, Parménide, 1923, p. 77, che rinvia, a titolo esplicativo, a Resp., 438 b-c, 430 e Charm., 168a-169c. La scelta di servirsi in particolare del Carmide per dimostrare l’insensatezza dell’autopredicazione di termini correlativi, non è necessariamente indovinata: all’interno del medesimo passaggio infatti si tessono le lodi di

‘quel grande uomo -megavlou dh; tinoı...ajndrovmegavlou dh; tinoı...ajndrovmegavlou dh; tinoı...ajndrovmegavlou dh; tinoı...ajndrovıııı, 169a 1-2- che fosse in grado di distinguere a sufficienza se fra le cose che sono alcune siano per natura in grado di esercitare su se stesse la loro stessa duvnamiıduvnamiıduvnamiıduvnamiı’; è di fondamentale importanza osservare in proposito, che uno degli esempi riportati è quello di un “Movimento capace di muovere se stesso” -kivnhsikivnhsiı kivnhsikivnhsiı ı ı aujth; eJauth;n kineiaujth; eJauth;n kineiaujth; eJauth;n kineiaujth; eJauth;n kineinnnn, 168e 9-10-, concetto che anticipa indiscutibilmente la visione dell’Anima come ajrchv thajrchv thajrchv thajrchv thı kinhvsewıı kinhvsewıı kinhvsewıı kinhvsewı, in quanto appunto auJauJauJauJto; kinouto; kinouto; kinouto; kinounnnn (cfr. 245c 9 e c 7).

Siamo qui in dissenso anche dalla tesi sostenuta più di recente da P. Vidal-Naquet, in Temps des dieux et temps

des hommes, 1960, secondo cui nella seconda deduzione del Parmenide Platone proporrebbe una concezione lineare del tempo, contro le proprie convinzioni personali sulla sua ciclicità, espresse invece in Phaed. 72 b sgg., che sarebbe appunto la causa della fissità della contraddizione prodotta nell’Uno, il quale può solo o essere nel medesimo tempo prigioniero delle sue affezioni contrarie, o immobilizzarsi nell’istante (vedi Corollario). Solamente la positiva alternanza degli opposti in una dimensione ciclica garantisce il progresso del mondo, e la possibilità che il divenire si orienti verso l’Essenza (l’autore pensa qui alla gevnesiı eijı oujsivan di Phil. 54c). Il tempo stesso in quanto creato, è un misto (alternanza di essere e di non essere), e perciò Platone nel Parmenide mostrerebbe, consapevolmente, che il tempo lineare è la morte del tempo. pp. 72-75. Vidal Naquet ha ragione nel ribadire che la reale concezione del Tempo in Platone non è lineare, così come acutamente legge nel Tempo stesso quella mescolanza di eijeijeijeijnainainainai e di mh; eijmh; eijmh; eijmh; eijnainainainai tipica del fenomeno, e sulla

98 -inoltre, come si desume principalmente dalla seconda deduzione, in cui il legame fra lo eJvn e l’ojvn viene asserito in tutta la sua portata ontologica, producendo un’immediata

dialettizzazione interna all’Idea di Unità (cfr. 142c 7-144c 8), esso ci mostra dove in

effetti risieda il fondamento teorico della contemporaneità, e precisamente nel fatto che l’Uno non abbandona mai l’Essere in nessun momento del suo procedere assieme col Tempo, cioè ‘è’ sempre in ogni fase della sua

gevnesiıgevnesiıgevnesiıgevnesiı

,

quale ci soffermeremo lungamente in seguito. Tale ciclicità del crovnoı però viene rispettata in pieno nel

Parmenide: in assenza di una presupposta concezione ciclica di fondo della dimensione temporale, la struttura dei ragionamenti intorno al divenire ed all’essere dello eJvn in un modo e nell’opposto non avrebbe alcun senso,

neppure nel caso in cui si volesse leggere nell’Uno che è della seconda deduzione il comportamento di una mera unità sensibile e diveniente nel tempo (cfr. 136a 4-b 6 ), la cui esistenza cioè, se non è lineare, è tuttavia

limitata ad una durata finita; pure in questa eventualità, quantomeno in ordine ai rapporti dell’Uno che invecchia o ringiovanisce in relazione agli altri, non possono incidere la lunghezza e la brevità delle vite delle

singole ‘unità divenienti’, dovendo rimanere la differenza relativa delle loro età quantitativamente invariabile

(cfr. già Cornford, Plato and Parmenides, p. 128). Ciò risulterebbe impossibile se non fosse garantita una

continuità cronologica di base che consenta la sovrapposizione e la successione di ‘generazioni di uni che sono’. In favore della presenza di un Tempo concepito come continuo e ciclico sullo sfondo delle varie deduzioni si esprime invece A.H. Chroust, op.cit.,, pp. 15-20. Per quanto riguarda, complessivamente, la non contraddittorietà intrinseca alle prime tre deduzioni del Parmenide, ci limitiamo qui a rinviare a R. Trienes,

Das Problem der Dialektik in Platons Parmenides unter Berücksichtigung von Hegels Interpetation, 1989, pp. 99-111, che sottolinea in particolare come, nella seconda deduzione, l’Uno venga considerato in relazione alle

varie coppie di generi opposti, ma non nello stesso rispetto, poi ancora ad A. Speiser, Ein

Parmenideskommentar, 1959 (19371), p. 35, secondo cui le contraddizioni apparenti che si presentano nella seconda deduzione si sciolgono considerando l’estensione degli ambiti ontologici che il ragionamento va ad

includere, da quello sensibile a quello eidetico fino a quello protologico, ed infine al breve e bel commento al dialogo di G. Huber, Platons dialektische Ideenlehre nach dem zweiten Teil des Parmenides, 1952, che legge nella teoria dell’Uno che è la più coerente applicazione della koinwniva twn megivstwn genwn del Sofista. In favore di un’anticipazione contenuta sia nella seconda deduzione del Parmenide che nella prima della teoria dei generi sommi del Sofista, a partire dalla constatazione della presenza del non Essere nello oJvlonoJvlonoJvlonoJvlon rappresentato dall’Uno che è, si esprimeva anche Leon Robin, ne Les rapports de l’Être et de la

connaissance d’après Platon, 1957, che, pur ravvisando una componente di sregolatezza nell’applicazione della teoria della comunanza dei generi entro la gumnasiva del dialogo, dovuta al tentativo di sintetizzare parmenidismo ed eraclitismo, dice,

«Ainsi, dans les deux premières hypothèses, nous apercevons qu’il y a du non-être dans l’être, et que par suite les genres communiquent entre eux, mais que cette communication ne peut se faire à l’aventure et sans règle. Si cela est vrai, il faut dire que la discussion de ces deux hypothèses rejoint à la fois ce qu’on trouve dans le Sophiste et dans le Philèbe et, d’autre part, l’un des éléments capitaux du témoignage d’Aristote sur l’enseignement de Platon à l’intérieur de son école.» (p. 93).

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ouj gavr pou poreuovmenovn ge ejk tou~ pote; eijı to; ejvpeita uJperbhvsetai to; nu~n.

(152b 4-), e

To;

To;To;

To; ge mh;n nu~n ajei; pavresti tw~/ eJni; dia; panto;nu~n ajei; pavresti tw~/ eJni; dia; panto;nu~n ajei; pavresti tw~/ eJni; dia; panto;nu~n ajei; pavresti tw~/ eJni; dia; panto;ı touı touı tou~ eij~nai: ejvsti ga;r ajei; nu~n ı tou~ eij~nai: ejvsti ga;r ajei; nu~n ~ eij~nai: ejvsti ga;r ajei; nu~n ~ eij~nai: ejvsti ga;r ajei; nu~n

oJvtanper hj~/

oJvtanper hj~/oJvtanper hj~/

oJvtanper hj~/.

(152d 8-e 2)

Ciò significa che quando l’Uno cessa di divenire, per essere ciò che è in corso di divenire, questo è il ‘momento’ in cui esso manifesta la coesistenza simultanea di opposti attributi, attributi che ci siamo limitati a trarre dall’analisi delle relazioni cronologiche dello eJvn sia in rapporto a se stesso che agli altri, ovvero l’esser più vecchio e più giovane, e l’avere la medesima età. Per una contrastante analogia invece, nella prima deduzione l’Uno non veniva ad essere e non era contemporaneamente né più vecchio né più giovane né in rapporto a se stesso né agli

ajvlla

, proprio perché esso non partecipava in nessun modo del tempo. Tale ‘momento’ in cui il pensiero è in grado di riconoscere la presenza contemporanea nello

eJvneJvneJvneJvn

delle varie forme di contrarietà, è appunto quello della partecipazione al

parovnparovnparovnparovn

, in quanto ‘essere’ non vuol dire altro che questo, partecipazione

al tempo presente, così come l’‘essere stato’ denota il partecipare del tempo passato, ed il ‘sarà’ di quello futuro:

To; de; eij~nai ajvllo tiv ejstin hj; mevqeximevqeximevqexiı oujsivamevqexiı oujsivaı oujsivaı meta; crovnou tou~ parovntoı oujsivaı meta; crovnou tou~ parovntoı meta; crovnou tou~ parovntoııııı meta; crovnou tou~ parovnto

, wJvsper to; hj~n meta; tou~ parelhluqovtoı kai; auj~ to; ejvstai meta; tou~ mevllontoı oujsivaı ejsti; koinwniva; (151e 7-152a 2).

È chiaro che quanto detto non esclude l’eventualità di una relazione della nozione di simultaneità temporale anche con le altre due dimensioni del

crovnoı

, poiché nulla vieta che si possa concepire pure una contemporaneità di eventi riferibile al passato od al futuro. Prendendo ancora spunto dagli illuminanti indizi offerti dal Parmenide, basta osservare come il processo di divenire dell’Uno si sviluppi sempre con continuità tra il passato ed il futuro, per comprendere che la simultanea compresenza degli opposti può in effetti

verificarsi in qualunque momento del tempo (cfr. specialmente 140e 1-141e 7 per la prima deduzione con 152a 2–e 3 per la seconda). Per giungere a questa logica conclusione è sufficiente considerare quanto detto in 152b 2-5: il soggetto è sempre l’Uno che è,

100

jv

Esti

de; presbuvteron aj~r joujc

oJvtan kata;; to;n nu~n crovnonto;n nu~n crovnonto;n nu~n crovnon hj~/to;n nu~n crovnon

gignovmenon to;n

metaxuv tou~ hj~n te kai; ejvstai

;

ouj gavr pou poreuovmenovn ge ejk tou~ pote; eijouj gavr pou poreuovmenovn ge ejk tou~ pote; eijouj gavr pou poreuovmenovn ge ejk tou~ pote; eijouj gavr pou poreuovmenovn ge ejk tou~ pote; eijı to; ı to; ı to; ı to;

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