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eij~naieij~nai

eij~nai

che fanno del fenomeno appunto un

gignovmenongignovmenongignovmenongignovmenon

.

La contrapposizione fra l’

ejxaivfnhı

ed il

crovnoı

poi, caratteristica di tutta la terza deduzione del Parmenide, così come anche l’esplicito ricorso che in essa viene fatto al Principio di Contraddizione (cfr. 155e 8-11), invitano a cercare tracce di

metabolhvmetabolhvmetabolhvmetabolhv

all’interno della stessa dimensione atemporale dell’Intelligibile, o perlomeno segnali di quella forma ultimativa di essa che garantisca il passaggio fra Generi Sommi come quelli del Moto e della Quiete menzionati nel Corollario112.

112

In questa sede preferiamo non azzardarci nemmeno a tentare di illustrare, anche solo schematicamente, quelli che potrebbero essere ritenuti i fondamenti ontologici della presenza di una ‘potenza di cambiamento’ in ambito eidetico, facendo ovviamente molta attenzione a precisare il significato di un eventuale Mutamento

Intelligibile (cfr. infatti, per contrasto, Resp. II e Soph.); uno fra i numerosi indizi che tale ipotesi sia plausibile è certamente fornito dalla definizione che in Leg. X 895a 2 ed 896b 1 viene data della yuchvyuchvyuchvyuchv come ajrch; ajrch; ajrch; ajrch; ed aijtiva th~ı kinhvsewı kai; metabolh~

aijtiva th~ı kinhvsewı kai; metabolh~aijtiva th~ı kinhvsewı kai; metabolh~

aijtiva th~ı kinhvsewı kai; metabolh~ıııı, che lascerebbe supporre l’esistenza di attività epistemologiche intrinseche alla sfera Ideale. Il merito di aver riconosciuto un parallelismo esplicito fra l’analisi del concetto di cambiamento svolta nel Parmenide e la teoria delle varie specie di Movimento e di mutamento esposta nel libro X delle Leggi spetta ancora a Cornford, op.cit., pp. 197-199, che vede nel Corollario “the earliest enumeration of all the kinds of becoming and change recognised later by Aristotle” (p. 199); Cornford tuttavia non concede spazio alcuno alla possibilità che la terza deduzione abbia un’attinenza ontologica o epistemologica alla concezione platonica della yuchv, respingendo in blocco sia l’approccio ermeneutico neoplatonico che quello hegeliano (ibid., pp. 202-203), per i quali invece propende chi scrive, d’accordo con altri interpreti (solo per menzionare un paio di esempi, cfr. M. Jean Wahl, Étude sur le Parménide del Platon, 1926, p. 171, e Andreas Speiser, Ein Parmenideskommentar, 1937, p. 47).

Temi come questi, che hanno il raro pregio di mostrare quanto sia sensato non rimanere ancorati a distinzioni artificiose fra teoria delle Idee e Psicologia (si pensi ancora alla iJvsh ajnavgkhiJvsh ajnavgkhiJvsh ajnavgkhiJvsh ajnavgkh che lega indissolubilmente l’esistenza dell’Anima all’esistenza degli eijvdh in Phaed. 76e 5), richiedono ad ogni modo approfondimenti di tutt’altro tenore. È d’obbligo al riguardo rinviare alle riflessioni svolte da Leon Robin, pur nel quadro di una

143 Per mantenerci entro i limiti delle attuali riflessioni, possiamo infine osservare che il Corollario del Parmenide, consentendoci di tradurre l’espressione ‘Causa del divenire’ nel concetto di ‘Causa del mutare ciclico dell’essere nel non essere’, si presta a fare da contesto privilegiato per l’analisi del rapporto specifico fra Tempo ed Eternità, in quanto, avendo già avuto occasione di vedere come il passaggio ininterrotto fra

ojvnojvnojvnojvn

e

mh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn

non determinasse esclusivamente la natura del diveniente, ma anche quella della sua

gevnesiı

gevnesiıgevnesiı

gevnesiı

, l’asse della domanda relativa alle cause dell’essere un

gignovmenongignovmenongignovmenongignovmenon

si può tranquillamente anche spostare sulle ragioni della temporalità di tale

gignovmenongignovmenongignovmenongignovmenon

, cioè

sulla Causa dell’esistenza e della struttura costitutiva dello stesso crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı, e su questo

aspetto del problema torneremo, anche con qualche osservazione preliminare a futuri approfondimenti, nella terza sezione della nostra ricerca

Riprendendo, dopo questa incursione nella teoria platonica dell’Istante, a considerare nello specifico i rapporti fra gevnesiı ed oujsiva per mezzo del Parmenide, e tenendo sempre a mente gli spunti del Simposio, anche spostando la visuale in modo da poter considerare la questione nell’ottica della dimensione temporale stessa, non è difficile pervenire a conclusioni, che ci limitiamo qui ad esporre in modo non del tutto sistematico, come si dovrebbe, perfettamente analoghe a quelle appena tratte per il gignovmenon.

Come si arguisce dai vari passaggi estratti dal Parmenide cui abbiamo fatto riferimento precedentemente, il

nu~nnu~nnu~nnu~n crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

si svela nella sua appartenenza a tutti gli effetti al continuum temporale113

: che il processo del divenire si sviluppi costantemente a partire

ricostruzione della Protologia platonica a partire dalle testimonianze indirette, relativamente alla necessità di concepire l’Intelligibile come capace in Se stesso di kivnhsiıkivnhsiıkivnhsiıkivnhsiı e metabolhvmetabolhvmetabolhvmetabolhv, che possano anzi fungere da modello per quelle loro immagini evanescenti che si manifestano nei fenomeni, in La Théorie Platonicienne

des Idées et des Nombres d’apres Aristote, 1908, pp. 491-494.

113

Pur senza approfondire i rapporti e la possibilità di assimilazione reciproca fra l’eij~nai ed il givgnesqai, svolge delle considerazioni particolarmente interessanti Hans Günter Zekl nella sua edizione del dialogo (1972), soffermandosi soprattutto sul contributo apportato dal Soggetto conoscente nella posizione di un ora concepito non come entità indivisibile, bensì dotata ancora di una certa estensione. Zekl perviene così, per altra via, alle medesime conclusioni:

«Der im vorigen Beweis in Fluß gebrachte Zeitprozess wird nun zum Anhalten gebracht; das läuft auf eine Infinitesimierung der Jetztzeit hinaus, in der „ist“ gesagt werden kann. So weit geht die Entwicklung jedoch nicht, sondern es ist für das „Jetzt“ der folgenden Konstruktion charakteristisch, daß es ausgedehnt vorgestellt bleibt. Diese Konstruktion fixiert ein abstraktes Jetzt auserhalb der Zeitreihe, auf dem der Beobachter steht und den zeitlichen Progress von etwas auf der Reihe verfolgt; dieses muß, wenn es an dem ihm gegenüberliegenden Jetztort in der Reihe gelangt, anhalten, um aus der Vergangenheit in die Zukunft zu wandern. Dieser Ort läßt sich dann, je nach Stand des Beobachters, willkürlich ansetzen (152d8-e2).», in nota 190, p. 158.

144 dal

nu~n

in direzione dell’

ejvpeita

, abbandonando il presente in cui era per raggiungere quello in cui sarà, e dunque, in realtà, non solo non saltandolo mai in nessuno stadio del proprio svolgimento, dovendo anzi necessariamente rientrarvi in contatto per poter ‘Essere quel divenire’114, dimostra la coessenzialità del

nu~nnu~nnu~nnu~n

non soltanto a ciò che procede col Tempo (

to; proiovnto; proiovnto; proiovnto; proiovn, , , ,

termine che, oltre a significare ‘ciò che passa’, rinvia anche al Passare del Tempo in generale115 ), bensì al

crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

medesimo (152b 2-d 5); tutto ciò che è immerso nel flusso temporale infatti non perde mai il contatto con l’essere perché il

nu~nnu~nnu~nnu~n

è ogni momento del

crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

(152d 7-8); e poiché il tempo ‘cammina’ (152a 3-4), il

presente assume, né più né meno dello

eJvneJvneJvneJvn

che viene ad incontrarlo nel suo avanzare, le sembianze del

givgnesqaigivgnesqaigivgnesqaigivgnesqai

; nel

crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı

dunque, l’

ejvstinejvstinejvstinejvstin

ed il

givgnetaigivgnetaigivgnetaigivgnetai

si equivalgono

(identità che in 152e 2-3 è rafforzata dall’ajeivajeivajeivajeiv).

114

Su questo punto ci troviamo invece in dissenso dallo Zekl che attribuisce alla considerazione del presente come mero ‘punto di partenza’ del divenire, la responsabilità per l’incapacità del nu~n crovnoı di arrestare il

givgnesqai dell’Uno; diversi sarebbero stati gli esiti del ragionamento se si fosse concepito il presente come

luogo, anche solo momentaneo, dell’inclusione di passato e futuro (idem). Personalmente non abbiamo l’impressione che le due prospettive siano sostanzialmente differenti: le tre dimensioni temporali risultano infatti inscindibilmente connesse a prescindere da quale delle due rappresentazioni della collocazione iniziale del presente rispetto all’una o all’altra delle due si preferisca; in ambedue i casi infatti è lo stesso nu~n a determinare, nel procedere innanzi col crovnoı cui esso appartiene, il se stesso che lo ha preceduto come passato, e quello di là da venire come futuro. L’invito di Platone a pensare lo svolgersi del divenire a ‘cominciare’ dal nu~nnu~nnu~nnu~n rende anzi molto bene il concetto sia dello ‘scaturire’, forzandosi a riflettere sul crovnoı come su di un’entità ontologicamente autonoma, delle forme del tempo l’una dall’altra, sia del contributo indispensabile apportato dal Soggetto filosofante nello stabilirne i confini reciproci, imponendo, grazie al presente, un ‘inizio’ al divenire del diveniente. Il nesso innegabile (ripensando al Teeteto, 186a 9 sgg.), sussistente fra le forme del Tempo e l’attività gnoseologica del Soggetto conoscente, non deve però indurre a ritenere che esse esistano in qualità di astrazioni utilizzabili arbitrariamente e prive di consistenza ontologica propria: da un lato infatti gli eijvdh crovnoueijvdh crovnoueijvdh crovnoueijvdh crovnou sono entità generate oggettivamente a partire dall’Eternità, e

dall’altro la yuchvyuchvyuchvyuchv, che in quanto Principio di ogni Movimento e mutamento, può a buon diritto essere

considerata, con la dovuta attenzione ai passaggi intermedi, anche come ‘Causa del tempo’, è una realtà omnipervasiva (come si evince dal Timeo, 34b 3-9, 36e 2-5), tale dunque da includere in sé sia l’ambito della Soggettività che quello dell’Oggettività, in quanto Principio dell’Autoconoscenza. All’imponenza

delle conseguenze derivanti dal riconoscimento di una funzione Causale dell’Anima e della sua Intelligenza nel processo di Creazione del crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı dall’aijwvn,aijwvn,aijwvn,aijwvn, anche in relazione alla possibilità di comprendere le

dimensioni temporali nella loro ‘individualità’, accenneremo nella conclusione generale del lavoro.

115

Così risulta da numerosi luoghi delle Leggi (684a 4-5, 698e 6-7, 700d 2-4, 730c 7-d 2, 769d 3-4), e dalle Lettere, 330a 3.

145 Questi, in sintesi, sono gli esiti derivanti dall’aver assimilato l’

eij~nai

alla

mevqexiı oujsivaı

meta; crovnou

(151e 6-152a 5).

In qualità di movimenti -

kinhvseiıkinhvseiıkinhvseiıkinhvseiı

, Tim. 38a 2-, prendendo qui la nozione di Movimento con le dovute cautele ed in connessione ai mutamenti realizzantesi negli aijsqhtav, le forme del tempo offrono il terreno alla

metabolhvmetabolhvmetabolhvmetabolhv

fra

ojvnojvnojvnojvn

e

mh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn

, ed il

nu~nnu~nnu~nnu~n

non può risultarne esente in quanto, facendo parte integrante del ‘tempo che cammina’, è esso stesso

poreuovmenoı

poreuovmenoıporeuovmenoı

poreuovmenoı

.

Ad offrire una conferma aggiuntiva del fatto che la dimensione temporale del presente non si sottragga al divenire, dandogli anzi spazio, sono ancora due passaggi del Parmenide: il primo, tratto dalla sezione conclusiva della prima deduzione, asserisce l’impossibilità di conferire all’Uno qualunque tipo di determinazione temporale,

Oujde;; ajvra crovnou aujtw~/ mevtestin, oujd jejvstin ejvn tini crovnw/. Oujvkoun dhv, wJvı ge oJ lovgoı aiJrei~. Tiv ouj~n;

to; hj~n kai; to; gevgone kai; to; ejgivgneto ouj crovnou mevqexin

dokei~ semaivnein tou~ pote; gegonovtoı

; […]

Tiv dev

;

to; ejvstai kai; to; genhvsetai kai;

to; genhqhvsetai ouj tou~ ejvpeita tou~

[

mevllontoı

]; […]

To; dTo; dTo; dTo; de; dh; ejvsti kai; to; e; dh; ejvsti kai; to; e; dh; ejvsti kai; to; e; dh; ejvsti kai; to;

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