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Il non essere mai allo stesso modo è perciò la manifestazione più propria della temporalità specifica dell’ambito fenomenico, in quanto descrive il suo stesso passare,

passare vicendevole dal non essere all’essere e dall’essere al non essere. Il tempo è

dunque pensato, nella maniera più lampante a cominciare dal Fedone, soprattutto perché qui la nozione di crovnoı è più suscettibile di una fondazione teoretica, grazie

de; mevllei kai; oujvpw ejvstin. ejk de; touvtwn kai; oJ ajvpeiroı kai; oJ ajei; lambanovmenoı crovnoı suvgkeitai. To; d jejk mh; ojvntwn sugkeivmenon ajduvnaton aj;n eij~nai dovxeie metevcein oujsivaı. (Libro D,

10, 217b 29-218a 3). Anche la visione aristotelica del nu~n, caratterizzato dal non essere parte del Tempo (to; de; nu~n ouj mevroı, D 10, 218a 3-19), rappresentandone piuttosto un limite (pevraı, D 10, 218a 20-25), ricorda molto da vicino l’intento parmenideo di concepire il nu~n ejstin dell’ejovn come dimensione extratemporale. Ad ogni modo Aristotele, con intenzioni tutt’altro che filoeleatiche, sottolinea la necessità di distinguere, non

qualitativamente, ma numericamente, i diversi ‘ora’ (cfr. ancora D 10, 218a 8-30), pena l’impossibilità, se appunto si fosse costretti ad ammettere la realtà di un nu~n unico ed indivisibile, di prendere coscienza del movimento o del mutamento intercorrente fra questi, e dunque del trascorrere del crovnoı inteso come funzione della kivnhsiı (cfr. complessivamente D 11, 218b 21 sgg.). Il concetto di nu~n anzi, assurgendo a criterio di riferimento per stabilire sia nel passato che nel futuro una relazione anteriore-posteriore (cfr. D

11, 219a 10-219b 2 e D 14, 223a 4-15), si fa garante sia della continuità del Tempo, che della sua stessa esistenza.

Come accenneremo subito, l’atteggiamento platonico rispetto alla valutazione delle forme del Tempo è sensibilmente diverso, e soprattutto perché il presente viene considerato come una dimensione temporale a tutti gli effetti, dando spazio anch’esso, non meno del passato e del futuro, alla generazione, come si evince sia dal Parmenide che dal Timeo. Sul fatto che tutti e tre gli eijvdh crovnoueijvdh crovnoueijvdh crovnoueijvdh crovnou possano essere concepiti come coesistenza di essere e di non essere, e quale rilevanza abbia questa chiave di lettura per la comprensione generale dei rapporti fra il crovnoı ed il proprio Paradigma è argomento che, fatte salve le osservazioni introduttive che stiamo per svolgere qui, approfondiremo nella terza sezione di questo lavoro, in cui delineeremo i fondamenti Dialettici del legame fra Tempo ed Eternità

118 all’eccezionale sottigliezza logica con cui Platone delinea il contrasto fra l’oujdevpote kata; taujtav ejvcein sensibile e l’ajei; kata; taujta; ejvcein eidetico entro la terza dimostrazione di Immortalità dell’Anima, come l’alternanza stessa fra

ojvnojvnojvnojvn

e

mh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn

: il Tempo è l’apparire dell’apparenza.

Data l’estrema complessità del tema indagato, è bene svolgere ancora un breve approfondimento che metta alla prova l’identitificazione richiesta, in prima istanza94, dal Fedone, fra ‘temporalità del sensibile’ e ‘tempo come concetto’: una volta determinati tanto il fainovmenon quanto il suo faivnesqai come commistione di essere e di non essere, ci si potrebbe legittimamente domandare perché mai se gli enti sensibili ed il Tempo condividono la medesima struttura, essi non si limitino a sovrapporsi o a confluire l’uno nell’altro in un risultato statico.

La giustificazione concettuale dell’esistenza di una chiara componente dinamica, intuitivamente implicita nel pensare il crovnoı come il trascorrere del sensibile, proviene, di nuovo, dai brani già discussi estratti dalla sesta deduzione del Parmenide, da 160b 5 a 162c 6; prendendoci la libertà di mettere momentaneamente da parte il fatto che il soggetto dell’ipotesi posta come seconda sia l’Uno che non è, in quanto il ragionamento può ritenersi valido qualunque sia la realtà presa in considerazione ed esaminata in rapporto al proprio non essere relativo (cfr. ancora Parm. 136a 4 sgg.), e concentrando invece l’attenzione sulla dinamica stessa del mutamento95, i passi in questione si prestano alla seguente sintesi:

94

Questa evidentissima mutua dipendenza non implica tuttavia l’assoluta inscindibilità, perlomeno da un punto di vista logico-dialettico, del legame, rispettivamente, tra Tempo e diveniente, e fra Eternità ed Essere, in quanto è sempre possibile, ed è anche auspicabile al fine di comprendere il concetto di ‘generazione del Tempo’, prendere in considerazione il rapporto fra il crovnoı ed il proprio paradigma, l’aijwvn, a prescindere dal suo nesso con gli ambiti oggettuali corrispondenti, come lo stesso Platone ci invita espressamente a fare nel Timeo, in particolare in 37c 6-d 7. Sul presupposto teorico di questa ‘scissione’, ovvero la matrice Dialettica del passaggio da una considerazione del Tempo come ‘temporalità’ del sensibile a quella del Tempo come ‘concetto’, rifletteremo ancora nel capitolo successivo.

95

La scelta di leggere l’argomentazione platonica sotto questa luce non è il frutto di un inconsulto atto di

uJvbriı, ma è dettata solamente da un’esigenza di semplificazione del parallelismo che sentiamo di dover

tracciare fra l’oujdevpote kata; taujta; ejvcein e la natura costitutiva del Tempo. In quest’ottica è preferibile partire da una considerazione complessiva del crovnoı rispetto al suo ‘modo di essere’, per evitare di doversi confrontare in maniera troppo repentina con il problema dell’unitarietà del tempo in generale, ed in particolare con quello dell’unità delle sue forme considerate singolarmente. Sarebbe infatti molto più opportuno collocare la riflessione sui rapporti fra crovnoı ed Unità nel contesto cosmologico-dialettico del Timeo, in cui, relazionandosi il Tempo direttamente all’Unità dell’Essere Eterno, non occorrerebbe più ‘ignorare’ le premesse delle ipotesi del Parmenide.

119 quell’essere tale da essere in quanto non è e da non essere in quanto è, è strettamente necessario che muti, cioè che appaia essere-non essere, e questo suo apparire ora l’uno, ora l’altro, presuppone un movimento.

A ben guardare, la sesta deduzione del dialogo ci offre una vera e propria definizione della temporalità in quanto tale, perché dire di un essere che esso ‘è in un modo ed insieme non in quel modo’, significa, stando alla struttura logica dell’argomentazione, che esso è e non è in qualunque dei due modi, essere o non essere, esso si presenti; ma ciò che non permane mai costante in nessuno dei due è appunto ciò che appare sempre diverso da come si manifesta inizialmente, ovvero è l’

oujdevpote kata; tauta; oujdevpote kata; tauta; ejvceinoujdevpote kata; tauta; oujdevpote kata; tauta; ejvceinejvceinejvcein

per eccellenza.

È così che, nel pieno rispetto della profonda simmetria logica sulla quale si regge la terza prova in favore dell’Immortalità del Fedone, e con un contributo chiarificatore non indifferente proveniente dal Parmenide, l’assumere il “non essere mai allo stesso modo” quale rappresentazione della transitorietà dei fenomeni, ci permette di trarre tre conclusioni fondamentali in merito all’intima costituzione del concetto stesso di tempo, pensandolo come

gevnesiıgevnesiıgevnesiıgevnesiı

:

-la prima è che il crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı si rivela per ‘un essere che non è ed un non essere che è’, un’entità che appare essere appunto in quanto non è ed appare non essere in quanto è;

senza voler entrare qui nel dettaglio di una discussione che andrebbe affrontata in sede squisitamente cosmologica, basti osservare che ognuna delle dimensioni del Tempo non può affermare il proprio essere se non negando quello delle altre due, e che tale negazione è parte integrante della stessa asserzione di esistenza di ciascuna di esse: il Tempo medesimo è per sua propria natura un

ojvnojvnojvnojvnkai; mh; ojvnkai; mh; ojvnkai; mh; ojvnkai; mh; ojvn

;

-la seconda conclusione, che permette di dare ragione del dinamismo presente nel sensibile, è che il Tempo risulta essere una specie di Movimento, in quanto è definibile in se stesso come ‘mutamento dell’essere nel non essere e del non essere nell’essere’; l’esistenza del

crovnoı

crovnoıcrovnoı

crovnoı

è ciò che autorizza a parlare di un ‘passare’ fenomenico, in quanto il concetto di Tempo è identico a tale ‘passaggio’: il crovnoıcrovnoıcrovnoıcrovnoı è questa stessa metabolhvmetabolhvmetabolhvmetabolhv96.

96

Vedremo, nella terza sezione di questa ricerca, quale sia la via che permetterebbe di sciogliere l’aporia derivante, da una parte, dalla necessità di ammettere una fusione fra Tempo e mutamento, e dall’altra, dalla constatazione che ‘qualunque’ tipo di metabolhvmetabolhvmetabolhvmetabolhv, inclusa appunto quella reciproca dell’ojvnojvnojvnojvn nel mh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn, a rigore non possa avvenire nel Tempo, come Platone sostiene senza sottintesi nel Corollario del Parmenide, in 156d 1 sgg., e nella sintesi incisiva di 156e 5-6: metabavllon d jejxaivfnhmetabavllon d jejxaivfnhmetabavllon d jejxaivfnhmetabavllon d jejxaivfnhı metabavllei, kai; oJvı metabavllei, kai; oJvı metabavllei, kai; oJvte ı metabavllei, kai; oJvte te te metabavllei, ejn oujdeni; cr

metabavllei, ejn oujdeni; crmetabavllei, ejn oujdeni; cr

120 Dipendendo dall’Anima quale sua sorgente generatrice, come vuole il Timeo, 36e 4-5:

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