• Non ci sono risultati.

fuvsin ejvconfuvsin ejvcon

fuvsin ejvcon

,…b 11)60.

60

Una conclusione del tutto analoga era stata tratta ancora da Nicolai Hartmann nell’imponente monografia

Platos Logik des Seins, 19652, ponendo in correlazione diretta, rispetto al ruolo conferito alla negazione,

Simposio e Sofista, ma è chiaro che, data l’affinità strutturale esistente fra la presentazione delle caratteristiche eidetiche nel primo dei due dialoghi e quella cui ci ha abituati il Fedone, un discorso del tutto analogo possa valere anche per quest’ultimo. Hartmann sottolinea con estrema acutezza la funzione ad un tempo ‘ascensionale’ ed individuante della eJeJeJeJteroteroterovvvvthıterothıthıthı: è proprio la serie delle negazioni che si susseguono nell’innalzamento previsto attraverso i gradi dell’iniziazione erotica nel Simposio (209e 5 sgg.), che procede dai sensibili cosiddetti belli, sino alla contemplazione dell’aujto; to; kalovn, a condurre all’individuazione

dell’eij~doı come aujto; kaq jauJto e monoeidevı ajei; ojvn, rivelando che l’Essenza della Differenza consiste, per usare una terminologia hegeliana, in una ‘Negazione determinante’, Negazione che va quindi a concorrere alla natura stessa dell’Idea, essendo ciò che denota l’indipendenza di questa dalla sfera empirica, e comportando perciò che si debba intendere l’eij~doı come ‘un Positivo che ha in sé il Negativo’ (dunque, aggiungiamo noi, l’Essere platonico sarebbe sempre stato concepito come una conjunctio oppositorum). Questo significato poi e questo ruolo del mh; ojvn desumibili dal Simposio, sono gli stessi che incontriamo nel

Sofista, appunto in 258a-b; lasciando la parola all’autore,

«Wir sind Heute gewohnt, an die platonische Idee als an etwas Fertiges, Bewiesenes heranzutreten. Dabei freilich sehen wir nicht den langen Weg von Negationen, der hinter ihr liegt, den sie erst durchlaufen mußte, bevor sie zu einem positiven Seinswert geprägt werden konnte. [...] Die eigentümliche Sonderstellung der Idee, die ihr fast den Anschein einer Doppelnatur geben könnte, -sofern sie nämlich in keinem gegebenen Sein ihren adäquaten Ausdruck findet und andererseits doch „ist“, sofern sie gerade kraft ihres Nichtseins, kraft ihrer Negation alles Einzeldaseins, über dieses hinausgeht und so zum wahrhaften Sein, zur Quelle alles Einzeldaseins wird,- dieses kommt vielleicht nirgends bei Plato so sprechend und eindringlich, nirgends in so kraftvoller Urwüchsigkeit zum Vorschein, wie in den hochpoetischen Worten der Diotima im „Symposion“, deren nüchterner logischer Sinn aber unter aller Poesie unverkennbar hervorblickt. [...] Dasjenige, worauf die Negationen des „Symposion“ hinausführen, wird in zwei positiven Prädikaten mehr angedeutet als bestimmt; die Idee des Schönen ist aujto; kaq jauJto; meq jauJtou~ und monoeide;ı ajei; ojvn. Diese beiden Prädikate enthalten das einzige, was von der Idee als positiver Gehalt erfaßbar wird. [...] Überschauen wir diesen Weg zur Idee als Ganzes, so ergibt es sich, daß die Negationen tatsächlich auf den genauen Begriff des „Selbst“ hinausführen, den wir als ihren Abschluß und Gipfelpunkt dastehen sahen. Das in diesen Negationen Negierte ist, wie wir gesehen haben, eine Reihe von Beschränkungen; für die Idee sind also die Negationen zugleich Erweiterungen, Befreiungen. Aber diese letzte, höchste Negation, [si riferisce ai ti;ı lovgoı e ti;ı ejpisthvmh di

67 Ciò consente di spiegare già, in generale, come mai il rapporto tra l’essere oujdevpote kata; taujta; dei fenomeni e l’Essere ajei; kata; taujta; degli eijvdh possa presentarsi anche sotto forma di opposizione: se ci si concentra esclusivamente sul modo della relazione che questi due ambiti hanno rispetto a se stessi sia nel loro insieme che nelle loro unità strutturali, e queste ultime sia esse rispetto a se medesime, che rispetto a tutte le altre, il raffronto tra i due non può che condurre al riconoscimento di una ejnantiovthı; si tratta tuttavia di un rapporto di contrarietà da intendersi come modalità particolare di una relazione più ampia fra ‘specie’ soltanto Diverse, in quanto la relazione non può prescindere da ciò con cui è in relazione, ovvero l’ojvn, e proprio perché il Non Essere già nel Fedone non viene concepito come un opposto a quell’

oujsivaoujsivaoujsivaoujsiva

che pure sta prevelentemente, cioè anche nella sua Differenza Ideale, in un rapporto di Identità con se stessa61.

Symp. 211a 7] welche somit die Abwehr des „Anderen“ überhaupt bedeutet, enthält in sich selbst den Keim des Positiven. Sie muß sie umkehren, denn die Abwehr des „Anderen“ ist das „Selbst“.» (pp. 195-198). Sulla immensa portata che il riconoscimento del Non Essere come elemento costitutivo dell’Essere ha non solo per la comprensione del pensiero platonico, ma avrà anche per la speculazione successiva sui rapporti fra Identità e Differenza, ed in particolare sulla possibilità di una loro commistione reciproca, tema profondamente sentito sia in ambiente Neoplatonico che Idealista, insiste giustamente W. Beierwaltes, op.cit., pp. 19-21; per uno sguardo d’insieme è opportuno tenere presente almeno altri due contributi dell’autore sull’argomento, ovvero Identität in der Differenz. Zur Funktion von Differenz im neuplatonischen Denken, e

Differenz, Negation, Identität. Die reflexive Bewegung der Hegelschen Dialektik, ibid., rispettivamente pp. 24- 56 e 241-268.

61

Che la visione della dialettica come comunanza dei mevgista gevnh mutuabile dal Sofista, insieme alla concezione dell’Essere ‘relativo’ da essa inscindibile, e che si esprime appunto nell’asserzione dell’Essere del Eon essere, sia una Dialettica già da sempre implicita in tutta la produzione platonica, Fedone incluso (per il quale ci si appella in particolare al carattere di opposizione puramente ipotetica della nozione di qavnatoı nella dimostrazione finale in favore dell’Immortalità dell’Anima, in 102d sgg.), è tesi che era stata sostenuta con decisione da Enzo Paci, nel suo studio La dialettica in Platone, 1969, pp. 19-37 (specialmente p. 30 e sgg.). Tuttavia egli tende, nella convinzione di dover identificare la situazione dialettica sia con la condizione aporetica del sapere di non sapere socratico, che con la dimensione filosofica intesa quale momento erotico sulla scorta del Simposio (pp. 19-21), ad attribuire alla dialektikhv stessa il carattere di un metaxuv, in quanto essa, proprio per il fatto di cogliere la koinwniva, ovvero il carattere intrinsecamente relazionale dell’Essere, darebbe voce alla consapevolezza del filosofo di trovarsi costantemente in uno stato di privazione e di assenza (cfr. pp. 22-26 e p. 30). In conseguenza di tale rappresentazione, ci sia consentito dirlo, alquanto riduttiva di quella scienza che Platone definisce nella Repubblica il mevgiston mavqhma (libro VI 504a 2-505b 3, libro VII 532a 1-535a 1), Paci interpreta unilateralmente l’Esser presente dell’Intelligibile nella sfera sensibile esclusivamente nella forma del Non Essere, e conseguentemente il relazionarsi del divenire all’Idea come pura Alterità. Se certo non è scorretto, quando si pensi il rapporto fra fenomeni ed Idee nella sua ‘verticalità’,

68

sostenere che questo si estrinsechi principalmente come Differenza, non se ne può però automaticamente concludere, che la ragione ultima della difettività dell’ambito fenomenico rispetto all’Intelligibile risieda nel suo mero essere altro. Come abbiamo tentato di chiarire in queste ultime pagine, da un lato nell’essere diverso

del sensibile dall’Idea c’è tanta ajnomoiovthı quanta oJmoiovthı, e dall’altro, l’Alterità che stigmatizza il rapporto fra i due livelli ontici è reciproca: il fainovmenon si presenta come eJvteron rispetto all’ousiva in maniera esattamente analoga al porsi dell’ojntw~ı ojvn come eJvteron rispetto ad esso. Che poi il Diverso in quanto gevnoı concorra sia al compimento di quella Permanenza intrinseca alla Molteplicità Ideale, come risulta implicitamente dalla distinzione fra i due piani delineata nella terza prova in favore dell’Immortalità nel

Fedone, quanto appunto alla determinazione della differenza fra sensibile ed Intelligibile intesi, sulla scia della definizione del filosofo come dialettico data nel Sofista, quali specie diverse (253c 6-d 3 da cfr. con Phaed. 79a 6-7 e Resp. VI 509d 4), potrebbe costituire tutt’al più una condizione necessaria, ma certamente non sufficiente a fare della eJterovthı una sorta di ‘genere del sensibile’ tout court (p. 23). Un tale tentativo sfocia, come avviene nel caso di Paci, nell’asserire che l’Essere Ideale, manifestandosi nel sensibile come Non Essere, viene ad essere non essere (p. 20), con tutte le difficoltà inerenti alla necessità di dar conto selettivamente, cioè a prescindere dalla considerazione del Non Essere Intelligibile e del pur evanescente essere sensibile, di tale processo.

L’argomentazione sostenuta da Paci poi, che se il filosofo entrasse in possesso della conoscenza dell’Idea, identificandosi col sofovı, ciò comporterebbe una sorta di immanenza dell’essere nel non essere, ed un loro reciproco confondersi, si scontra radicalmente con la stessa concezione della dialektikh; ejpisthvmh delineata da Platone proprio nel Sofista: essa infatti non presuppone esclusivamente la capacità di cogliere il Diverso di ed in un genere del reale, bensì anche l’Identico, e per poter afferrare, anche al primo stadio della dialettica (cfr. Soph. 253d 5-8), l’Unità invariante dell’eij~doı a partire da una qualsivoglia molteplicità, sia pure sensibile, è necessario che l’Essere appaia nel fenomeno anche nella sua positività, pena l’impossibilità di compiere tale passaggio. Il dualismo latente in questa posizione, esplicantesi nel negare la piena realizzabilità della Conoscenza delle Idee, che sarebbe possibile sfiorare solamente attraverso una fugace visione e non possedere definitivamente (p. 23), è emblematico proprio per il suo essere un mero esito dell’aver concepito la differenza come patrimonio esclusivo delle apparenze.

Non era ovviamente un caso che Hartmann imboccasse invece la strada di una lettura Idealista in chiave

assoluta della relazione fra le due sfere ontiche («Die Dinge so sehen, wie sie »in Wahrheit« sind, daß heißt nach Platonischer Auffassung sie so sehen, wie sie in der Idee sind.», Zur Lehre…cit., p. 174), come logica

conseguenza del riconoscimento alla eJterovthı di un ruolo determinante nel delineare i tratti essenziali della sfera Ideale. Basti citare a titolo puramente esemplificativo uno dei tanti brani estraibili dal suo contributo, in cui Hartmann difende il Monismo dialettico di Platone contro all’errata comprensione degli eijvdh che avrebbe indotto Aristotele a muovere la celebre obiezione del cwrismovı:

«Platon […] half sich zunächst mit der Heterogeneität der Seinsweise selbst; und es scheint, daß auch seine mythischen Bilder von einer Jenseitsstellung der Ideen (von ihrem »überhimmlischen Orte« u. a.) nichts anderes bezwecken, als den direkt inhaltlich nicht greifbaren Unterschied anschaulich zu machen. Und wenn man sich die Problemsituation seiner Zeit hineinversetzt -in der es keine fertigen Begriffe gab [...] so wird es verständlich, daß jeder Versuch, den Unterschied der Seinsweise greifbar zu machen, notwendig den Eindruck des Chorismos machen mußte.» (ibid., p. 164, ma cfr. in generale p. 160 sgg.).

69 Un’indicazione abbastanza evidente del fatto che i due ambiti si relazionino attraverso la eJterovthı e non invece tramite l’ejnantiovthı, proviene proprio dalla terminologia adottata da Platone, in alcune circostanze, per parlare di entrambi, a cominciare precisamente da Phaed. 79a 6-7, dove tanto l’

ajidevı

, l’Intelligibile, quanto lo

oJratovn

vengono definiti

eijvdh

eijvdheijvdh

eijvdh

62

. . . .

Il ricorso fatto dal filosofo ad espressioni analoghe non è affatto insolito: una caratterizzazione tanto dell’ambito Ideale quanto di quello fenomenico come eijvdh o alternativamente come gevnh è presente nella Repubblica, nel libro VI, 509d 4 -ajll jouj~n ejvceiı

tau~ta ditta; eijvdheijvdheijvdheijvdh

, oJratovn, nohtovn; e subito poi in 509d 7-8 -…pavlin tevmne eJkavteron tmh~ma ajna; to;n aujto;n lovgon,

tov te tou~ oJrwmevnou gevnougevnougevnougevnouıııı kai; to; tou~

nooumevnou

,...-, e nel Timeo, in 48e 2-49a 1 -tovte me;n ga;r

duvo eijvdhduvo eijvdhduvo eijvdhduvo eijvdh

dieilovmeqa...ta; me;n ga;r duov iJkana; hj~n...eJ;n me;n wJı

paradeivmatoparadeivmatoı eij~doparadeivmatoparadeivmatoı eij~doı eij~doı eij~doıııı

uJpoteqevn, nohto;n kai; ajei; kata; taujta; ojvn,

mivmhma de; paradeivgmatomivmhma de; paradeivgmatomivmhma de; paradeivgmatomivmhma de; paradeivgmatoıııı deuvteron

, gevnesin ejvcon kai; oJratovn.-, 50c 7-d 2 -...

crh; gevnhgevnhgevnhgevnh dianohqe~nai trittav

, to; me;n gignovmenon, to; d jejn wJ~/ givgnetai, to; d joJvqen ajfomoiouvmenon fuvetai to; gignovmenon-, 52a 1-8 -...oJmologhtevon

eJ;n

eJ;neJ;n

eJ;n me;n eij~nai to; kata; taujta; eij~doı ejvcon

,...to; de; oJmwvnumon oJvmoiovn te ejkeivnw/

deuvteron

deuvterondeuvteron

deuvteron

,,,, aijsqhtovn...

trivtontrivtontrivtontrivton de; auj~ gevnogevnogevnogevnoıııı

oj;n to; th~ı cwvraı ajeiv...-63

.

Senza entrare nel merito di una riflessione critica mirata, che ci condurrebbe troppo lontano dai nostri scopi, e limitandoci invece a delle valutazioni più attinenti al genere di

Sul tema del dualismo o monismo ontologico di Platone, circoscritto all’ambito della sua rappresentazione dei rapporti fra Essere e tempo, ci soffermeremo anche nel terzo capitolo della ricerca.

62

Alla formulazione finale della distinzione fra i due ambiti ontici assunta in questa conclusione della terza dimostrazione in favore dell’Immortalità dell’Anima nel Fedone, con la quale Platone conferisce anche al sensibile nel suo complesso lo statuto di specie (eij~doı), dava, giustamente, un’importanza straordinaria Paul Natorp, come si evince da un passaggio del suo celebre Platos Ideenlehre, 19212:

«Desto mehr ist der große, folgenreiche Fortschritt hervorzuheben, daß jetzt das Wandelbare, nämlich das Gebiet des Sinnlichen, als zweite „Gattung dessen was ist“ neben dem Unwandelbaren, den reinen Denkobjekten anerkannt wird, während bis dahin nur dem Unwandelbaren, im reinen Begriff Erfaßlichen Sein, eine Wahrheit zuerkannt wurde, schlechthin hinausgehend über das Sinnliche, das nur scheint, nicht ist.» (p. 148).

63

Tuttavia, è difficile condividere la chiave di lettura suggerita da Natorp, che, sebbene mosso da un nobile e comprensibilissimo intento di assimilazione fra speculazione platonica e kantiana, legge nell’impiego della suddetta terminologia una volontà di ‘swzei~n ta; fainovmena’ tanto radicale da convincersi che Platone pervenga, proprio a partire dal Fedone, alla concezione di una ‘scienza del sensibile’, intesa in modo tale da giustificarne una certa autonomia ontologica dall’eijdoı, e che verrebbe poi rifinita e consolidata nei dialoghi cosiddetti tardi, in particolare nel Sofista e nel Timeo, e rispettivamente in 248 sgg., 254 d, ed in 51, 27 (luoghi così segnalati dall’autore in op.cit., p. 149).

70 ragionamento che stiamo svolgendo intorno alla nozione della Differenza, sia quella interna all’ambito Intelligibile, che quella ontologica sussistente fra i due piani, va osservato che i contesti in cui Platone chiama il sensibile ‘specie’ o ‘genere’, sono proprio tra quelli in cui il dislivello sussistente fra

fainovmena

ed

eijvdh

in termini di Realtà e Verità risulta anzi più accentuato che mai, e ciò costituisce già di per sé una ragione sufficiente a ritenere tale scarto ineliminabile, escludendo dunque di poter elevare i sensibili, considerati ‘per se stessi’, al livello della conoscibilità, a prescindere dalla flessibilità linguistica che il filosofo si concede nel presentarcelo64. A sostegno di questa prospettiva ermeneutica si può portare un caso estremo come è quello della nozione della cwvra nel Timeo, e qui basterà ricordare come l’averle conferito l’appellativo di eij~doı e di gevnoı (48e 4, 49a 4, 51a 7, 52a 8) non le garantisca affatto una consistenza ontologica paragonabile a quella eidetica: difatti non solo si sottolinea a più riprese il suo carattere amorfo (50b 8-c 2, 50d 5-e 1, 50e 4-5, 51a 1-3, 51a 7-b 2), e si precisa che essa può essere colta solamente mediante un ‘ragionamento spurio’ (52b 2:…met jajnaisqhsivaı aJpto;n logismw~/ tini novqw/, movgiı pistovn...), ma si specifica anche che l’assumerla come reale altro non è che il frutto di un’attività onirica, dettata dall’esigenza di pensare il gignovmenon come fisicamente esistente in un qualche luogo (52b 3-5:…pro;ı oJ; dh; kai; ojneiropolou~men blevponteı kai; famen ajnagkai~on eij~naiv pou to; oj;n aJvpan ejvn tini tovpw/ kai; katevcon cwvran tinav,...).

D’altro canto però non è neppure lecito credere che la scelta operata da Platone sia frutto di un mero uso elastico del linguaggio, o peggio ancora che sia dettata dal caso: la ragione più profonda di essa risiede con ogni probabilità nella precisa volontà di dimostrare che tutto ciò che ‘nel sensibile’ vi è di Reale è Idea, e che indipendentemente da questa nulla gli

appartiene (ancora Tim., 52c 2-3:

...wJı eijkovni mevn, ejpeivper oujd jaujto; tou~to ejf jwJ~/

gevgonen eJauth~ı ejstin,...

); il

gennhtovn

si fa avanti sempre solamente come “fantasma di un altro” (52c 3:

...eJtevrou dev tinoı ajei; fevretai favntasma,...

). È evidente dunque che la possibilità stessa di considerare l’ambito fenomenico nel suo insieme quale esso appare, cioè appunto come sensibile, generato, immagine di un paradigma eidetico, riposa globalmente su un fondamento Ideale, proprio perché al di fuori dell’Idea nulla esiste

64

Una conoscenza dell’ambito fenomenico Platone, a parer nostro, non la esclude affatto (cfr. Parm 133a 11 sgg., e, per le due definizioni di Dialettica, l’una esplicita, in Soph 253d 1 sgg., l’altra implicita, in Resp. V, 476c 2-d 4), ma l’unica dimensione in cui questa si può realizzare è quella dello ‘sguardo retrospettivo’ di chi

sia stato preliminarmente in grado di pervenire al mevgiston mavqhmamevgiston mavqhmamevgiston mavqhmamevgiston mavqhma (cfr. Resp. VII, 520c 1-6, in cui si asserisce che coloro che hanno contemplato il Vero sono in grado, una volta rientrati nella Caverna, di conoscere le ombre meglio di coloro che non ne siano mai usciti).

71 realmente, che è la medesima ragione per cui anche un’entità ‘atipica’ come la cwvra deve necessariamente venir ricompresa nell’Intelligibile assegnandole il nome di eij~doı, a dispetto dell’assenza di corrispondenza fra il nome ed il contenuto della cosa, essendo la cwvra, in quanto assolutamente priva di morfhv, ciò che di più lontano dall’ijdeva si possa concepire. Quanto emerge dallo straordinario e complesso brano di Tim. 51e 6-52d 1, è di fatto l’esito di una applicazione pienamente coerente della teoria delle Idee concepite quali vere ‘cause della generazione e della corruzione’, così come Platone l’aveva delineata proprio nel Fedone (95e 8 sgg.,

...Ouj fau~lon p...Ouj fau~lon p...Ouj fau~lon pra~gma...zhtei~...Ouj fau~lon pra~gma...zhtei~ra~gma...zhtei~ra~gma...zhtei~ı: oJvlwı: oJvlwı ga;r dei~ peri; genevsewı: oJvlwı: oJvlwı ga;r dei~ peri; genevsewı ga;r dei~ peri; genevsewı ı ga;r dei~ peri; genevsewı ı ı

Outline

Documenti correlati