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kai; th~ı metabolh~ıkai; th~ı metabolh~ı

kai; th~ı metabolh~ı

(cfr. Phaedr. 245c 5 sgg. e Leg. X 894c 3 sgg.), soprassiede ontologicamente ad entrambe, consentendo da un lato l’alterna irruzione degli Opposti eidetici nel sensibile insieme al riconoscimento di essa da parte del Soggetto filosofante, e

111 dall’altro il passaggio extratemporale necessario all’attività pensante concepita come inerente all’Intelligibile stesso.90

.

Il concetto di mutamento poi, che nel primo dei due estratti sovraccitati della sesta deduzione viene ricondotto al moto come al proprio genere di appartenenza, del quale esso rappresenta una manifestazione puramente esteriore, funge ulteriormente da termine

di mediazione fra movimento ed alterazione, permettendo di concludere che l’

ajlloivwsiı

è essa stessa un’apparenza di moto; così si evince da un passo tratto dalla medesima deduzione e collocato esattamente tra i due precedenti:

«Così l’uno che non è appare muoversi e stare. (To; eJ;n ajvra, wJı ejvoiken, oujk oj;n eJvsthkev te kai; kinei~tai.) […] E se si muove, necessità vuole che si modifichi; in quanto infatti qualche cosa in qualche modo si muove, in tanto non è più come era prima, ma diversamente. (

Kai; mh;n eijvper ge kinei~tai, megavlh ajnavgkh aujtw~/ ajlloiou~sqai: oJvph/ oJvph/ oJvph/ oJvph/

ga;r ajvn ti kinhqh~/, kata; tosou~ton oujkevq jwJsauvtw

ga;r ajvn ti kinhqh~/, kata; tosou~ton oujkevq jwJsauvtwga;r ajvn ti kinhqh~/, kata; tosou~ton oujkevq jwJsauvtw

ga;r ajvn ti kinhqh~/, kata; tosou~ton oujkevq jwJsauvtwı ejvcei wJı ejvcei wJı ejvcei wJı ejvcei wJı eij~cen, ajll jeJtevrwı eij~cen, ajll jeJtevrwı eij~cen, ajll jeJtevrwı eij~cen, ajll jeJtevrwı.ı.ı.ı.

) […] Muovendosi dunque l’uno, anche si modifica. (Kinouvmenon dh; to; eJ;n kai; ajlloiou~tai.) […] E non muovendosi in nessun modo, in nessun modo si modificherà. (Kai; mh;n mhdamh/~ ge kinouvmenon oujdamh/~ aj;n ajlloioi~to.)» (162e 2-163a 4)

Il senso del legame fra Movimento e non essere delineato in questo passo del dialogo, che potrebbe suscitare alcuni dubbi rispetto al nostro tentativo di distinguere il crovnoı dalla kivnhsiı, anche con l’intento di provare indirettamente il carattere Intelligibile del Movimento, è lampante: tale nesso si regge sull’assunzione fatta inizialmente che l’Uno non sia, e che questo suo non essere, in quanto concepito come relativo, appunto perciò ‘sia non essere’, potendone quindi dedurre che l’Uno non sia quanto al proprio essere ed insieme che sia quanto al proprio non essere; ne consegue la possibilità di concludere in favore dell’esistenza di un’apparente alternanza fra i due.

90

Sulla relazione fra movimento e divenire, perché sarebbero diversi, e mutamento, cfr. anche Plotino,

Enneadi VI 3, 21.

Per un approccio differente, ma con un’impostazione per certi versi affine alla nostra nell’affrontare il Corollario, possiamo solo consigliare il bel saggio di Damir Barbarić, Anblick, Augenblick, Blitz. Ein

philosophischer Entwurf zum Seinsursprung, 1999. Alla splendida lettura del senso profondamente epistemologico da attribuire alla nozione di ejxaivfnhı fornita da Nicolai Hartmann nel suo Platos Logik…,

112 Abbiamo già accennato in precedenza, attraverso i vari richiami fatti sin qui soprattutto al libro V della Repubblica, al fatto che il tipico caso di un simile incessante trascorrere fra ojvn e mh; ojvn è esattamente quello dell’ambito fenomenico, e la dimostrazione più evidente della correttezza di questa interpretazione è riconoscibile dal ricorso nel brano del Parmenide al concetto di

ajlloivwsiı

in funzione di elemento mediatore nella derivazione del non essere dal Movimento.

Esiste tuttavia un legame più profondo fra

kivnhsiıkivnhsiıkivnhsiıkivnhsiı

e

mh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn

, di cui alcuni passaggi tratti specialmente dalla seconda deduzione della prima ipotesi del Parmenide rappresentano un limpido esempio: avendo stabilito che l’Uno che è sarà uno

eJvneJvneJvneJvn

-

oJvlonoJvlonoJvlonoJvlon

, e date le diverse opzioni derivanti dalle relazioni dialettiche fra i concetti di Unità, Totalità e dell’Essere parte di un tutto, è lecito asserire che l’Uno sarà sia in Quiete che in Moto, in Quiete in quanto permane sempre in se stesso, in Moto in quanto è sempre in altro da sé (145b- 146a); da questi passaggi risulta assai chiaro il fatto, sebbene sia sempre opportuno fare estrema attenzione nel tentativo di stabilire una gerarchia ontologica troppo rigida fra mevgista gevnh, tenendo invece bene a mente le indicazioni implicite che Platone fornisce in proposito (cfr. i suggerimenti metodologici sulla corretta modalità di costruzione delle ipotesi in Parm. 136a 4 sgg., e la successione in cui i Generi Sommi vengono introdotti, a partire dallo eJvn, dall’oujsiva e dai pollav in Soph. 242b 6 sgg.), che la

kivnhsiıkivnhsiıkivnhsiıkivnhsiı

non possa prescindere dalla

eJterovthıeJterovthıeJterovthıeJterovthı

(cfr. però appunto 146a sgg.).

Che l’evidenza di questo nesso comunque non implichi la negazione, ancora una volta, del carattere Intelligibile del Movimento, è provato, oltre che dall’esistenza di una sottile distinzione, che abbiamo tentato di mettere in luce almeno in parte nel corso della discussione, fra Diversità eidetica e sua manifestazione nell’ambito fenomenico, soprattutto dal fatto, per limitarsi ad un esempio eclatante, che l’Intelligenza,

nou~ınou~ınou~ınou~ı

o

frovnhfrovnhsiıfrovnhfrovnhsiısiısiı

, presuppone ad entrambi i livelli, quello Soggettivo relativo alla propria intima costituzione, e quello Oggettivo relativo alla natura degli Esseri da essa contemplati (cfr. Soph.), una mescolanza di

kivnhsiıkivnhsiıkivnhsiıkivnhsiı

,

stavsiıstavsiıstavsiıstavsiı

,

taujtovthıtaujtovthıtaujtovthıtaujtovthı

ed

eJterovthıeJterovthıeJterovthıeJterovthı

, come emerge chiaramente sia dalla concezione Dialettica dell’Intelletto sia nel Sofista (cfr. 248a 4 sgg.), che nelle Leggi (cfr. libro X, 897b 7 sgg.), che dalla descrizione della modalità con cui l’Anima cosmica genera in sé tanto l’

ejpisthvmhejpisthvmhejpisthvmhejpisthvmh

quanto la

pivstiı ajlhqhvpivstiı ajlhqhvpivstiı ajlhqhvpivstiı ajlhqhvıııı

, le due possibili forme di

gnwgnwgnwgnw



siısiısiısiı

strettamente dipendenti da quella mescolanza di generi sommi che costituisce la natura stessa della

yuchvyuchvyuchvyuchv

(Tim. 35a 1-37c 5).

Ciononostante ci si potrebbe chiedere se le delucidazioni platoniche costituiscano una prova sufficiente ad escludere del tutto la presenza di una qualche affezione temporale implicita

113 nella nozione di Movimento, considerando ad esempio la necessità di fare ricorso alle forme del

crovnoı

quando ci si trovi a dover descrivere il Moto di un oggetto qualsiasi: se una cosa infatti si muove, non solo viene ad essere in una relazione diversa da quella che aveva rispetto a se stessa quando era, poniamo, in quiete, e questo semplicemente per il fatto di passare dallo star ferma ‘prima’ al muoversi ‘poi’, come anche per il fatto di essere, quando lo spostamento è in corso, ‘prima’ in un luogo e ‘poi’ in un altro, bensì, più in generale, essa viene a non trovarsi più, e cioè, ‘non è’, dove ‘prima’ ‘era’, così come, perseverando nel suo movimento, verrà a trovarsi ‘poi’, ovvero ‘sarà’, dove ancora ‘non è’. Ne consegue la spontanea rappresentazione del Movimento come semplice negazione dell’Essere attraverso le forme del Tempo, negazione che, data la continuità intuibile sia della kivnhsiı che del crovnoı (cfr. Parm. 152a 3 sgg.), assume le sembianze della contraddizione, in quanto, stando al ragionamento precedente, dire che un oggetto si muove altro non significa se non dire che esso ‘è e non è contemporaneamente’. Un’argomentazione perfettamente analoga a quella appena svolta viene sviluppata dallo stesso Platone, stavolta nella prima deduzione della prima ipotesi del Parmenide, in cui all’Uno assolutamente inteso viene tolta, per via negationis, anche la possibilità dello spostamento per traslazione (cfr. 138d 2-139a 3).

Anche questi ulteriori elementi non autorizzano però a concludere in favore di un’assimilazione indifferenziata fra Movimento e Tempo: difatti mentre entrambi i ragionamenti sviluppati nella prima deduzione e volti a negare, in prima istanza, che l’Uno possa spostarsi mantenendosi entro i limiti di uno stesso luogo, e, secondariamente, che esso possa spostarsi da un luogo ad un altro, presuporrebbero che lo

eJvn

fosse una Totalità intrinsecamente articolata in parti, e perciò vengono rifiutati, è solamente nell’ipotetico caso del Moto di traslazione dell’Uno che viene coinvolto aggiuntivamente il fattore temporale (cfr. ). È plausibile che servendosi di questa sottile distinzione Platone voglia segnalarci la propria convinzione che il Moto circolare uniforme, il quale non a caso è proprio quello che più riflette l’attività del Pensiero (cfr. anche Tim. 34a 1-5), con tutti i limiti invalicabili pur sempre connessi all’esserne solamente un’immagine (cfr.Leg. X, 897d 8-e 6), non sia in realtà condizionato dal Tempo. In questa nobile specie di Movimento si coniugano infatti perfettamente ed agiscono in simultanea l’Essere in se stesso ed in Altro da sé (cfr. 137e-138b e 145b-e)91.

91

Da una prospettiva storico-filosofica l’origine di un atteggiamento estermamente critico nei confronti del

114 Tornando alle tre tappe del ragionamento svolto nella sesta deduzione del Parmenide, esse sono talmente cristalline e coerenti nella loro concatenazione da non richiedere più che qualche parola di sintesi: la concezione sottesa alle argomentazioni sviluppate nella sesta deduzione del Parmenide secondo la quale, sul piano ontologico, sia il mutamento in generale che quella modalità di esso cui Platone dà il nome di alterazione, altro non sono che una parvenza estenuata della

kivnhsiıkivnhsiıkivnhsiıkivnhsiı

, si riflette in ambito cronologico mostrando come il Tempo non sia affatto identico al Movimento tout court, ma si accompagni invece sempre a quella sola specie di esso in cui un essere apparente coesiste accanto ad un non

essere altrettanto apparente, fungendo da ‘sfondo’ concettuale per quel loro scambievole

passaggio che ha nome generarsi e corrompersi, o nascere e morire; basti osservare con quale nettezza venga suggellato, in 163a 6-b 5, il legame fra processo di alterazione e

tempo, non potendo quel

provteron eij~naiprovteron eij~naiprovteron eij~naiprovteron eij~nai

riferirsi ad altro che ad una anteriorità cronologica, al passato temporale, e costituendo perciò un indicatore chiave di quel ‘divenire diverso da sé’, dell’

ajllwiou~ntaiajllwiou~ntaiajllwiou~ntaiajllwiou~ntai

appunto, di un’entità sottoposta a generazione, come recitava il Fedone, in 78d 1-7 .

Ancora più fondamentale nell’ottica della presente riflessione sul legame esistente fra il crovnoı ed il modus existendi dei fainovmena, è osservare che il nesso istituito esplicitamente nella terza dimostrazione di Immortalità del Fedone, fra il non essere mai allo stesso modo e l’ajlloivwsiı del sensibile, poiché mentre il to; oJ; ejvsti ojvn è wJsauvtwı kata; taujta;...kai; oujdevpote oujdamh~/ oujdamw~ı ajlloivwsin oujdemivan ejndevcetai, i polla; oJratav, essendo

Unitarietà, va fatta risalire verosimilmente alla scuola Eleatica: tracce di una polemica piuttosto esplicita mirata a mettere in discussione sia l’esistenza della kivnhsiı e del crovnoı, che il loro carattere di entità continue, sono riconoscibili come minimo in due dei cosiddetti ‘paradossi’ di Zenone (argomenti dell’Achille e della freccia), perlomeno stando alle versioni che ce ne vengono tramandate da Aristotele nella Fisica (cfr. 233a 21 sgg., 239b 5 sgg., 250a 20 sgg., 263a 5 sgg.); riferimenti altrettanto espliciti alla necessità di negare

simultaneamente tanto il moto quanto il tempo per poter sostenere la realtà dello eJvn-ojvnsi trovano in Melisso (cfr. l’ajgevnhton e l’ajkivnhton del Fr. 8 D.-K. v. 2, e per quanto concerne l’implicarsi reciproco di gevnesiı,

crovnoı e mh; ejovn cfr. complessivamente i Fr. 1, 2 e 3); infine, senza voler entrare nel merito né degli esiti sensibilmente diversi cui la volontà di espungere le forme del tempo dalla statica dimensione dell’ejovn conduce i tre Eleati, né dell’imprescindibile confronto delle loro conclusioni con la concezione platonica del rapporto fra Essere, Eternità e tempo, che ci limiteremo a delineare nella conclusione di questo lavoro, diciamo che lo stesso procedimento concettuale viene adottato con una certa evidenza dal capostipite della scuola Parmenide, in quanto i ragionamenti volti nel Poema l’uno, esplicito, ad affermare la condizione extratemporale dell’ “è”

(cfr. Fr. 8 D.-K. vv. 5-7), e l’altro, desumibile, mirato invece ad evidenziarne l’immobilità (ibid. vv. 26-28), possono essere considerati perfettamente analoghi, in quanto mediati anche qui dalla negazione del crovnoı

115 invece oujvte aujta; auJtoi~ı oujvte ajllhvloiı oujdevpote...oujdamw~ı kata; taujtav debbono, per una stringente necessità logica, risultare appunto soggetti a quella specie di metabolhv (78d 4) che nella sfera degli eijvdh non trova posto (78d 5-e 4), è ribadito proprio nel Parmenide in 163a 1-2: quel mutamento dell’essere nel non essere e del non essere nell’essere, designato come un movimento estrinseco può identificarsi con l’alterazione proprio perché l’entità che si trova a subirlo viene a non essere più nello stesso modo, bensì diversa da se stessa rispetto al tempo,

oujkevq jwJsauvtwoujkevq jwJsauvtwı ejvcei wJı eij~cen, ajll jeJtevrwıoujkevq jwJsauvtwoujkevq jwJsauvtwı ejvcei wJı eij~cen, ajll jeJtevrwıı ejvcei wJı eij~cen, ajll jeJtevrwıı ejvcei wJı eij~cen, ajll jeJtevrwı

. L’

oujdevpote kata; tauta; oujdevpote kata; tauta; ejvceinoujdevpote kata; tauta; oujdevpote kata; tauta; ejvceinejvcein ejvcein

del Fedone si riconferma dunque come l’espressione più pura ed autentica della temporalità del sensibile, in perfetta simmetria con quell’

ajei; ajei; ajei; ajei;

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