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gegonevnai nugegonevnai nu

gegonevnai nu



nnnn

di 38a 5)135

. Inoltre va osservato che le forme del

crovnoı

, considerandole

134

Sulle finalità didattiche intrinseche sia alla distinzione fra temporale ed atemporale nel Fedone, che alla nozione stessa di Eternità, ci concentreremo nel capitolo successivo.

135

Nell’Eterno platonico il debito storico e teorico alla fondazione parmenidea di una teoria dell’Essere atemporale , per la quale si veda il Frammento 8, vv. 5-6, è consapevole e concettualmente palpabile, ma non si tratta qui di un presente del Tempo, al quale, se ci si concentrasse attentamente su quel confronto serrato con il Monismo Eleatico contenuto, insieme ad altre tematiche, nella seconda sezione del Parmenide, l’Essere-Uno parmenideo può risultare, nell’ottica Dialettica di Platone, logicamente ridotto (per l’assimilabilità del nun di Parmenide al mero ‘presente del Tempo’, cfr. di nuovo Tarán, op.cit., p. 49). Che Parmenide non sia pervenuto ad un’autentica concezione dell’Eternità lo sostiene anche Michael Theunissen nel suo Negative Theologie der Zeit, 1991, pp. 106-107: a partire da una riflessione sull’impiego fatto dall’Eleata ai versi 29-30 del Poema del verbo mevnei riferito all’ejovn, l’autore tende a escludere che Parmenide, sia che si accolga il testo tradito che reca un presente, sia che si segua invece la lezione suggerita da Hermann Fränkel che propone il futuro menei~, sia riuscito nell’intento di sottrarre del tutto l’Essere al flusso temporale, rimanendo vicino a quel concetto di Eternità formulato in maniera per certi versi analoga da Senofane, il quale avrebbe attribuito alla divinità una mera permanenza nel tempo. Theunissen giunge a tale conclusione basandosi su un confronto con il concetto platonico di Aion, definito dal filosofo come menw~n ejn

eJniv: il restare nell’Uno può assurgere a definizione di un autentico concetto di Eterno, che sia realmente

trascendente la dimensione temporale, in quanto viene inteso da Platone come un In-sich-selbst-Bleiben (Plotino lo assimilerebbe all’Identico di cui lo stesso Parmenide parlava). Al di là delle apparenti somiglianze fra le due concezioni, che farebbero anche pensare ad un voluto rievocare Parmenide, la ragione per cui secondo l’autore le caratteristiche dell’ajiwvn non si prestano a divenire attributi dell’ejovn eleatico, è che questo

174 in un’ottica duplice, e cioè sia ‘statica’, in quanto modi dell’essere, che ‘processuale’, in

quanto forme del divenire, vengono espunte dall’

aijwvnaijwvnaijwvnaijwvn

, di cui viene fatta menzione esplicita prima, in 37d 5 e d 6, e poco dopo, in 38a 8, esattamente grazie alla negazione che siano l’

ajivdioı oujsiva

e l’

ajei; kata; taujta; ejvcon

ad esserne affetti (cfr. 37e 3-38b3). Bisogna dunque prendere atto che la possibilità che l’

ajivdion eij



nai

e l’

ajei; kata; taujta;

ejvcein

, che si erano rivelati per degli analoghi concettuali dell’

aijwvnion eij



nai

, non siano completamente svincolati dalla nozione di durata, e perciò che non siano completamente esenti da sfumature temporali, va esclusa radicalmente136.

Essere non può concepirsi come una realtà che rimane in se stessa, mancando di qualunque determinazione positiva, non avendo una natura divina, e non essendo vivo:

«Parmenides kann bloß ein Verharren in der Zeit und kein zeitaufhebendes Bleiben ins Auge fassen, weil dieses sein müßte, was es für ihn nicht sein kann, ein In-sich-Bleiben als Leben des zuhöchst göttlichen Geistes.» (p. 107).

La sottile distinzione tesa a sottolineare nel Timeo il carattere ontologico e non temporale del platonico

ejvstin ejvstinejvstin

ejvstin, è stata colta con particolare sensibilità da interpreti come R. Patterson, nel suo On the Eternality of the

Platonic Forms, 1985, p. 30, che correttamente fa appunto notare come Platone, nel Timeo, per parlare della

dimensione temporale del presente, utilizzi l’espressione gegonevnai nu~n, che all’ejvstin dell’aijwvn viene piuttosto contrapposta, come W. Scheffel, che in Aspekte der platonischen Kosmologie, Leiden, 1976, p. 46, sottolinea la medesima distinzione, e ancora, come Taylor, cit., p. 188:

«It is not the ‘is’ which means ‘is at this moment’; in fact it is a ‘timeless present’, as the ‘gnomic aorist’ in Greek is a ‘timeless’ past. […] Properly is should only be said of that which does not ‘pass’ at all.»,

ed infine come E. Vollrath, cit., p. 263, e Gernot Böhme, op.cit., che ribadisce come il confronto con Parmenide abbia indotto Platone a rivedere la tradizionale partizione del crovnoı in tre forme, ed a distinguere

appunto fra un presente del Tempo (gegonevnaigegonevnaigegonevnaigegonevnai), divenire in cui il presente è continuamente tolto, ed un Presente ontologico (pp. 114-117).

136

Le interpretazioni che ruotano intorno al problema di quale significato si debba conferire al platonico Aion,

se di Eternità durativa o puntuale, e con quali conseguenze per quanto attiene alla sua effettiva capacità di

trascendere o meno la dimensione temporale, sono, ovviamente, divergenti: di un rovesciamento dell’esigenza interna alla metafisica di fondazione di una Eternità atemporale (zeitlose Ewigkeit), di una “nicht-aionische

Ewigkeit”, in una Allzeitlichkeit, cioè in una sorta di Eternità del Tempo (Ewigkeit der Zeit) parla M. Theunissen, op.cit., p. 309 sgg.. Platone ricadrebbe, pur avendo l’intenzione di caratterizzare le Idee come extratemporali, in una loro rappresentazione cronologica, a causa del suo impiego dell’espressione ‘sempre’,

ajeiv, che, insiste l’autore, è un avverbio di tempo. Anche il permanere di Aion nell’Unità non rappresenterebbe

una soluzione soddisfacente, in quanto da un lato riproporrebbe, nel battere l’accento sulla presenza dell’Essere, quell’assoluta negazione del Tempo che già si era incontrata in Parmenide, entrando in contrasto con la rappresentazione dell’Eternità che non può darsi alla coscienza altrimenti che nella forma di una durata infinita, e dall’altro non ne garantirebbe l’extratemporalità, in quanto il mevnei è chiaro indizio di uno stare nell’Uno “in der Länge der Zeit” (p. 105). Alle evidenti contraddizioni implicite in questa posizione (cfr. anche

175

quanto abbiamo riportato nella nota precedente), l’autore parrebbe offrire una soluzione nel precisare il proprio intento di porre una distinzione fra ajivdioı oujsiva, che come Essere delle Idee non solo non è Vita, ma piuttosto il suo contrario, ed aijwvn (rimanda al ragionamento svolto a p. 309, e sopra citato, dal quale non pare si evinca la ragione per cui le Idee sarebbero -o dovrebbero essere?, e a causa della presenza o in assenza del termine ajeiv?- prive di vita). Per cui gli vien da chiedersi se in fondo si possa affatto attribuire a Platone una concezione dell’Eternità (idem).

Dal suo esame filologico della terminologia impiegata da Platone per esprimere le varie forme di durata, T.M. Robinson, in The Timaeus on Types of Duration, 1986, conclude invece, giustamente, che aijwvnion, così come il suo sinonimo diaiwvnion, indica decisamente la aeternitas, perciò è “time-transcendent” (p. 150). Problematica da accettare ci sembra purtroppo la sua convinzione che ajivdioı stia per contro ad indicare una forma di esistenza misurabile temporalmente, una sempiternitas (idem): infatti anche ammesso che questa distinzione valesse nel caso in cui gli “dèi eterni” di 37d 7 non fossero le Idee (essendo Robinson convinto che ciò che pensa e si muove, Demiurgo incluso, non sia Eterno esattamente nello stesso senso in cui lo sono gli

eijvdh, coerentemente alle tesi sostenute in Plato’s Psychology, 1970, p. 69 sgg. in merito alla generazione

dell’Anima anche a prescindere dal suo legame col corpo, e precisamente per il fatto di includere la kivnhsiı che invece l’Eternità escluderebbe da sé, p. 145), come si spiega allora l’ ajivdioıoujsiva di cui oltre a tutto solo l’ejvstin si può predicare? La medesima domanda va rivolta anche a G. Böhme, op.cit., 1996, che in prima istanza sostiene anche lui la distinzione, meno sottile che in Robinson, fra ajivdioı (unione di Anima e corpo divini che in teoria il Demiurgo può sciogliere), ed aijwvnioı (p. 69-77), non però per concedere ad Aion un’esistenza trascendente il tempo, bensì per ribadire il suo carattere di durata, che le proverrebbe proprio dall’identificarsi con l’Idea della Vita, chiamando direttamente in causa Plotino (p. 84 sgg.). L’invito di L. Tarán, op.cit., 1979, a cercare di lasciarsi guidare dal contesto in cui Platone utilizza determinati termini per

poter determinare il loro significato, considerando il rifiuto del filosofo, in più occasioni ribadito, a vincolarsi ad una terminologia rigida (cfr. Men., 87 b-c, Resp. 533d-e, Theaet. 184b-c, Pol. 261e, Leg., 864a-b),

continua a sembrarci più che mai di buon senso (p. 44). La polemica di Tarán è tesa a difendere la teoria che Platone sia davvero pervenuto a concepire un’Eternità atemporale (“the timeless and tenseless ‘is’”, p.45), contro i tentativi di J. Whittaker, The Eternity of the Platonic Forms, 1968, e di G.E.L. Owen, Plato and

Parmenides on the Timeless Present, 1966, del primo, di dimostrare che Platone innanzitutto userebbe indiscriminatamente i termini ajiwvn, aijwvnioı, ajivdioı ed ajeiv, per le Idee, per il cosmo sensibile e per i corpi celesti (p.138), e secondariamente, che la scorrettezza rilevata dal filosofo nell’attribuire l’era ed il sarà all’Essenza eterna non è affatto condizione sufficiente a escludere che Platone concepisse il durare (dell’Eterno inteso nel suo permanere), in quanto tale, come processo (p.141), posizione che ci pare confutarsi da sé semplicemente rileggendo il testo; il secondo, pur concedendo, a differenza di Whittaker, che almeno il filosofo abbia afferrato il concetto di Eternità (p.335), ne ribadisce però l’inconsistenza, anche a causa di queste presunte incertezze linguistiche (p. 333). Ben articolata ci sembra di nuovo l’argomentazione di R. Patterson, cit., pp. 37-43 che ritiene più opportuno attribuire la sempiternitas (everlastingness), al cosmo

sensibile, in quanto questo esiste “per tutto il tempo”, mentre il modus di esistenza del Modello Intelligibile è da intendersi come un “all at once” (variante dell’aeternitas), poiché ciò che si estende in durata non può, alla luce dell’analisi della concezione platonica del divenire, considerarsi del tutto immune dal rischio di mutamento. Patterson si trova però in difficoltà di fronte alla concezione dell’Eternità come ‘permanenza’

176 È opportuno comunque, per maggiore chiarezza, fornire ancora qualche esempio a testimonianza dell’assenza, nei concetti sinonimi dell’Eternità nel Timeo, di un’inclinazione al ‘perdurare nel tempo’:

-Partendo dall’

ajivdion ajivdion eijajivdion ajivdion eijeijeij



nainainainai

, ci si può appellare ad un breve ed emblematico passaggio del

Filebo, in cui, al termine dell’esame di quelle Realtà che vengono presentate come determinazioni essenziali della natura del Bene, Misura,

mevtronmevtronmevtronmevtron

o

metriovthımetriovthımetriovthımetriovthı

, Bellezza e Proporzione,

kavlloıkavlloıkavlloıkavlloı

e

suvmmetronsuvmmetronsuvmmetronsuvmmetron

, e Verità,

ajlhvqeiaajlhvqeiaajlhvqeiaajlhvqeia

(cfr. 64d 9 sgg.), si decide si stabilire sulla base di queste quale dei due stili di vita, fra quello improntato alla hJdonhv e quello conforme a frovnhsiı e nouı, sia degno di ritenersi il più vicino all’

ajgaqovnajgaqovnajgaqovnajgaqovn

,

Pavnth/ dh; fhvseiı...uJpov te ajggevlwn pevmpwn kai; parousi fravzwn, wJı hJdonh; kthma oujk ejvsti prwton oujd jauj deuvteron,

ajlla; prw



ton mevn ph/ peri; memememevvvvtrotrotrotronnnn kai;

to; mevtrion kai; kaivrion kai; pavnta oJpovsa crh; toiau



ta nomivzein, th;n th;n th;n th;n

†;

ajivdionajivdionajivdionajivdion

hJ/rh

hJ/rhhJ/rh

hJ/rh



sqai.sqai.sqai.sqai.

(66a 4-8)

Il

mevtronmevtronmevtronmevtron

, uno dei ‘volti’ del Bene (cfr. anche Resp. VI 504c 1-505b 3), viene considerato qui, accanto ad altre entità altrettanto nobili, come un degno appartenente all’Eterna natura. Non sono necessarie più che poche parole per ricordare la celeberrima caratterizzazione dell’ajgaqou ijdeva nel libro VI della Repubblica: il Bene è descritto qui come origine e fondamento ontologico e gnoseologico dell’Intelligibile nel suo complesso, in quanto causa dell’Essere, dell’Essenza, della conoscibilità degli

eijvdheijvdheijvdheijvdh

e del loro essere conosciuti -

Kai; toi



ı gignwskomevnoiı toivnun mh; movnon to; gignwvskesqaito; gignwvskesqaito; gignwvskesqaito; gignwvskesqai

favnai uJpo; tou



ajgaqou



parei



nai, ajlla; kai; to; eijto; eijto; eijto; eij



nai te kai; th;n oujsivannai te kai; th;n oujsivan uJp nai te kai; th;n oujsivannai te kai; th;n oujsivan

jejkeivnou aujtoi



ı prosei



nai...

, 509b 6-8- poiché è causa di Scienza,

ejpisthvmnejpisthvmnejpisthvmnejpisthvmn

, e Verità,

ajlhvqeia

ajlhvqeiaajlhvqeia

ajlhvqeia

(cfr. 508e 1-509a 5); è chiaro che se a ciò che è

ejpevkeina thejpevkeina thejpevkeina thejpevkeina th



ı ousivaı, ı ousivaı, ı ousivaı, ı ousivaı,

espressa nel Fedone, che ripresenta ai suoi occhi la prospettiva di una continuità nell’esistenza delle Idee, e viene perciò indotto a vedere questa prima formulazione della atemporalità eidetica come il frutto di un pensiero platonico non ancora del tutto maturo, in assenza di una precisa concezione della distinzione fra Tempo ed Eterno che farebbe la sua comparsa solo nel Timeo. Una sorta di compromesso per uscire dalle difficoltà è quello tentato da D. O’Brien, Temps et éternité dans la philosophie grecque, 1985, pp.63-64, che suggerisce, contro la posizione tradizionale di Cherniss e Taylor (cfr. infra), di contrapporre una durata temporale, ad una ‘durata atemporale’, ipotesi suggestiva, sulla quale però l’autore non concede purtroppo ulteriori chiarimenti.

177

presbeiva

presbeivapresbeiva

presbeiva//// kai; dunavmei uJperevconkai; dunavmei uJperevconkai; dunavmei uJperevconkai; dunavmei uJperevcontovıtovıtovıtovı

(509 b9-10), fosse lecito attribuire l’Eternità137,

questa non potrebbe avere che i lineamenti di una trascendenza assoluta rispetto al tempo,

...oujk oujsiva...oujk oujsiva...oujk oujsiva...oujk oujsivaı ojvntoı ojvntoı ojvntoı touı ojvntoı touı touı tou



ajgaqouajgajgajgaqouaqouaqou



............

, 509b 8-9.

-Per quanto riguarda l’

ajqavnatonajqavnatonajqavnatonajqavnaton eijeijeijeij



nainainainai

, sebbene questa nozione non venga menzionata esplicitamente in qualita di sostitutivo dell’ajiwvn nel brano centrato sulla genesi di crovnoı nel Timeo, possiamo rifarci ad un passo del Fedone, in cui Socrate al termine del suo bel monologo autobiografico, ed apprestandosi a descrivere il suo

deuvteroı ploudeuvteroı ploudeuvteroı ploudeuvteroı plou



ıııı

alla ricerca della “Vera Causa”, critica tutti coloro che non sono stati capaci di vedere nel Bene l’autentico reggitore del tutto ed il fine di ogni agire,

th;n de; tou wJı oiJovn te bevltista aujta; teqhnai duvnamin ouJvtw nun keisqai, tauvthn oujvte zhtousin oujvte tina; oijvontai daimonivan ijscu;n ejvcein, ajlla;

hJgou



ntai touvtou

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