crovnoucrovnou
crovnou
che l’assimilazione fra Essere ed essere temporale del Parmenide esigeva, rappresenta piuttosto il sigillo dell’ojvntwı ojvnojvntwı ojvnojvntwı ojvnojvntwı ojvn118.Per concludere su questo tema desideriamo mettere in luce una fra le difficoltà ermeneutiche cui si va necessariamente incontro nel mettere a confronto soprattutto il Timeo ed il Parmenide rispetto alla relazione fra ojvn e crovnoı, ed alla quale vogliamo cominciare a cercare di dare una soluzione: in Parm. 152b 2-5, nell’affermare il passaggio del divenire nell’Essere mediante l’incontro del diveniente con il nu~n, Platone sembra dire esattamente l’opposto di quanto sostenuto invece in Tim. 38a 8-b3, dove è massimamente evidente la
118
Che il presente del Tempo non goda di uno statuto privilegiato rispetto alle altre due dimensioni del crovnoı costituisce uno dei punti nodali di divergenza entro le concezioni eleatica e platonica dei rapporti fra Essere e
Tempo, come ha compreso con grande finezza Leonardo Tarán, nel suo Perpetual Duration and Atemporal
Eternity in Parmenides and Plato, 1979, p. 49: l’impiego del nu~n nel fr. 8, 5 del Poema parmenideo, è proprio la prova che l’assolutezza dell’ejvstin eleatico ha bisogno di essere supportata da una determinazione di ordine temporale, la quale fa sì che, a differenza che nel caso del “tensless is” impiegato da Platone in Tim. 37e 6, l’“è” parmenideo denoti solamente l’indicativo presente del verbo essere, e non il contrassegno del
149 convinzione del filosofo dell’erroneità insita, sia sul piano linguistico che su quello ontologico, nel tentativo di combinare il givgnesqai del gignovmenon con l’eij~nai secondo le tre possibilità offerte dalle forme del Tempo.
Sono varie le ragioni, alcune delle quali merita delineare sin d’ora, che possono essere addotte a riprova della non contraddittorietà fra le concezioni esposte nei due dialoghi intorno ai rapporti fra generazione ed Essere: intanto abbiamo potuto verificare che la distinzione posta nel Parmenide fra il givgnesqai e l’eij~nai viene verosimilmente accentuata per svelarne l’infondatezza, in quanto ciascun gignovmenon, in ogni momento del suo apparire, ‘è e diviene’, il che significa, dal punto di vista della sua conformazione, che il suo stesso Essere è un divenire, detto altrimenti, che il suo Essere è un essere temporale, così come il Tempo dal canto suo, per via della sua natura continua, si estrinseca come gevnesiı in ciascuna delle sue espressioni; secondariamente è bene sottolineare il fatto che il presupposto, del quale non vogliamo approfondire immediatamente le motivazioni, da cui l’analisi del modus existendi dell’Uno che è prende le mosse nel Parmenide, è esattamente l’identificazione fra l’oujsiva ed il crovnoı, mentre l’assunto su cui si regge l’intera narrazione della Creazione del Tempo a partire suo paradigma nel Timeo è appunto l’asserzione della trascendenza dell’Essere Eterno rispetto al sensibile temporale già formulata in maniera programmatica all’esordio della trattazione cosmologica in 27d 5-28a 4; in terzo luogo, tornando agli spunti che avevano dato il via a queste ultime riflessioni inerenti la non autonomia dell’ambito fenomenico, le ammonizioni platoniche del Timeo sembrano doversi leggere piuttosto come un invito a non lasciarsi sedurre dall’opinione che il sensibile sia in grado di fornire a se stesso le fondamenta della propria esistenza, indipendentemente dalla realtà Ideale di cui in effetti esso non cessa mai di riproporre solamente un’immagine sbiadita. Questa pista ci aveva appunto condotto a leggere dietro alla problematica ora contrapposizione, ora assimilazione, fra
gevnesiı
edeij~nai
espressa nel Fedone, nel Parmenide e nel Timeo, la costante presenza della teoria delle Idee concepite comeaijtivai
della generazione e della corruzione. Tuttavia è opportuno ribadire ancora una volta che il modo di relazionarsi delgigigigignovmenongnovmenongnovmenongnovmenon
alla Causalità eidetica, non è quello di un passare risolutivo del divenire nell’Essere, che implicherebbe tra l’altro un’identità non rintracciabile nella speculazione platonica fragevnesigevnesigevnesigevnesiıııı
e puromh; ojvnmh; ojvnmh; ojvnmh; ojvn
, quanto piuttosto quello di approssimarsi all’Ideale soltanto attraverso l’alternarsi incessante dell’essere e del non essere che in esso restano pur sempre esclusivamente apparenza.Si comincia così ad intuire sin d’ora come, ragionando induttivamente, il sensibile riesca a mantenere un legame ed un certo grado di somiglianza con l’Intelligibile proprio grazie
150 alla sua temporalità, che garantisce al suo trascorrere di non estinguersi semplicemente
fuggendo via, e questo proprio perché il suo passare, il crovcrovcrovcrovnoınoınoınoı è un’immagine dell’Eternità,…eijkw; d jejpenovei kinhtovn tina aijweijkw; d jejpenovei kinhtovn tina aijweijkw; d jejpenovei kinhtovn tina aijweijkw; d jejpenovei kinhtovn tina aijwnonononoıııı............Tim. 37d 5119.
Per finire torniamo brevemente a riflettere sulla dicotomia ontologica delineata nel terzo argomento del Fedone, dalla quale avevamo preso le mosse con l’intenzione di convalidare la tesi della dipendenza delle caratteristiche dei gignovmena dal loro ‘non essere mai allo stesso modo né rispetto a se stessi né agli altri’, qualora si accolga l’ipotesi che l’oujdevpote kata; taujta; ejvcein esprima la loro temporalità, il che sarebbe in perfetta simmetria con la
deducibilità degli attributi comuni agli
eijvdheijvdheijvdheijvdh
dal loro Essere eterni.Il testo tratto dal discorso di Diotima nel Simposio (207d 4-e 1), dove il Tempo in cui la cosiddetta ‘vita’ di un sensibile si svolge -ejn wJ~/...zh~n kalei~tai- veniva messo esplicitamente in relazione all’intrinseca disidentità, vista innanzitutto entro il rapporto che ogni vivente instaura con se stesso -oujdevpote ta; aujta; ejvcwn ejn auJtw~/-, in quanto è l’osservazione del fenomeno nell’arco della propria esistenza a svelarne la natura di diveniente -nevoı ajei; gignovmenoı, ta; de; ajpolluvı- non solo conferma la dipendenza dall’incostanza del fenomeno, della propria disunità, e dunque dell’intrinseca polimorfia e composizione, della divisibilità e del mutamento per alterazione, conseguenze che nel Fedone sono in parte rese esplicite ed in parte sottintese, ma ne fornisce anche la ragione primaria: questa risiede nella natura corporea120 dell’ambito delle apparenze, come si
119
Così leggeva il passo Taylor, op.cit., p. 187:
«The thought is that only that which is aijwvnioı, ‘eternal’ in the sense that it knows no ‘passage’, is never ‘in the making’, can strictly be called ajivdioı, ‘everlasting’. But that which, though always ‘in the making’, endures through all time is in a secondary sense an approximation to the everlasting. […] The sensible world is a thing of passage, but it never passes away; its passage fills all time, and, of course, the formal laws of its structure remain the same throughout. So it really is a moving or passing ‘image’ of the truly abiding […].».
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A sentire la presenza di un fondamento irrazionale entro la dicotomia ontologica del Fedone, donde il persistere di un dualismo di base, nonostante il riconoscimento da parte di Platone del sensibile accanto all’Intelligibile come eijdoı, era Natorp, Platon, op.cit., pp 118-119. Bisogna però vedere se la concezione platonica del corporeo giustifichi nello specifico un’interpretazione dualista: per il carattere non necessariamente ‘materiale’ del swma basti qui rimandare al concetto di swmatweidevı sia nel Fedone, 81b c, c 4, e 1, 83d 5, 86a 2, che nel Timeo, 31b 4, 36b 9, ed al fatto che la totalità sensibile risulta complessivamente generata, in Tim. 53b 5, eijvdesiv te kai; ajriqmoieijvdesiv te kai; ajriqmoieijvdesiv te kai; ajriqmoieijvdesiv te kai; ajriqmoiıııı. È interessante ricordare che lo stesso Hegel, non prendeva affatto di mira la differenza ontologica posta nel Fedone come se essa potesse essere l’espressione di un
dualismo radicale fra materia e Spirito, mettendo anzi in guardia dalle due principali interpretazioni erronee dell’Idea, la prima delle quali consiste proprio nel non cogliere il fenomeno come pura ‘ombra’, inducendo necessariamente ad una fallace duplicazione di mondi (cfr. le Lezioni sulla storia della Filosofia, op.cit., pp.
151 inferisce dalle ultime parole di Diotima nel passo preso in esame, in cui la sacerdotessa specifica di che tipo siano quelle parti in cui l’essere vivente si modifica col trascorrere del tempo,
...kai; kata; ta;ı trivcaı kai; savrka kai; ojsta~ kai; aiJ~ma kai; suvmpan to;
sw~ma.
Sostanzialmente equivalente è la conclusione che si deve trarre anche dalla terza prova in favore dell’Immortalità del Fedone, nelle cui battute finali gli enti che si presentano come oujdamw~ı kata; taujtav vengono assimilati agli oggetti percepibili attraverso i sensi:Oujkou~n touvtwn me;n kaj;n aJvyaio kaj;n ijvdoiı kaj;n tai~ı ajvllaiı aijsqhvsesin aijvsqoio,
tw~n de; kata; taujta; ejcovntwn oujk ejvstin oJvtw/ pot jaj;n ajvllw/ ejpilavboio hj; tw~/ th~ı dianoivaı logismw~/, ajvll jejvstin ajidh~ ta; toiau~ta kai; oujc oJratav… (79a 1-4)
Grazie alla sussunzione della nozione di aijsqhtovn nel concetto di oJratovn, è possibile concludere in favore dell’appartenenza rispettivamente del
sw~ma
al visibile, e dell’Anima all’altra specie, quella dell’Invisibile, dell’ajide;ıajide;ıajide;ıajide;ı
eij~doıeij~doıeij~doıeij~doı
:JOmoiovteronJOmoiovteronJOmoiovteronJOmoiovteron
[kai; kai; kai; kai;
suggenevsteron
suggenevsteronsuggenevsteron
suggenevsteron
, 79b 4-5]ajvra yuch; swvmatovı ejstin tw~/ ajidei~, to; de; tw~/ oJratw~/ajvra yuch; swvmatovı ejstin tw~/ ajidei~, to; de; tw~/ oJratw~/ajvra yuch; swvmatovı ejstin tw~/ ajidei~, to; de; tw~/ oJratw~/ajvra yuch; swvmatovı ejstin tw~/ ajidei~, to; de; tw~/ oJratw~/
, 79b 16-17. Che l’uso del comparativo di maggioranza non implichi necessariamente una reticenza da parte di Platone ad esprimersi in favore di una totale assimilazione del corpo alla specie visibile (e logica vorrebbe che lo stesso ragionamento valesse per layuchvyuchvyuchvyuchv
rispetto agli
eijvdheijvdheijvdheijvdh
), è provato ad esempio da un passaggio tratto dal Timeo, in cui viene illustrato il perché il Demiurgo abbia utilizzato gli elementi di fuoco e terra nella composizione del corpo cosmico: la ragione è che la natura corporea deve essere visibile e tangibile,Swmatoeide;ı de; dh; kai; oJrato;n aJptovn te dei~ to; genovmenon eij~nai,
cwrisqe;n de; puro;ı oujde;n ajvn pote oJrato;n gevnoito, oujde; aJpto;n ajvneu tino;ı stereou~, stereo;n181-185). Si tenga infine presente che in un eccezionale passo tratto dalle Leggi, il filosofo sostiene la tesi dell’Identità dell’uomo con l’Anima, già nota dall’Alcibiade Primo (cfr. 129b 1 sgg.), dichiarando che il corpo non è altro che una sua “immagine”, che essa si porta semplicemente dietro sino alla sua separazione
da esso:
peivqesqai d jejsti; tw/ nomoqevth/ crew;n tav te ajvlla kai; levgonti yuch;n swvmatoı eijnai to; pan
diafevrousan, ejn aujtwejn aujtwejn aujtwejn aujtw/ te tw/ te tw/ te tw/ te tw/ bivw/ to parecovmenon hJmw/ bivw/ to parecovmenon hJmw/ bivw/ to parecovmenon hJmw/ bivw/ to parecovmenon hJmwn eJvkaston toun eJvkaston toun eJvkaston toun eJvkaston tout jeijt jeijt jeijt jeijnai mhde;n ajll jhj; th;n nai mhde;n ajll jhj; th;n nai mhde;n ajll jhj; th;n nai mhde;n ajll jhj; th;n yuchvn, to; de; sw
yuchvn, to; de; swyuchvn, to; de; sw
yuchvn, to; de; swma ijndallovmenon hJmwma ijndallovmenon hJmwma ijndallovmenon hJmwma ijndallovmenon hJmwn eJkavstoin eJkavstoin eJkavstoin eJkavstoiı eJvpesqaiı eJvpesqai,,,, kai; teleuthsavntwn levgesqai kalwı eJvpesqaiı eJvpesqai kalwkalwkalwı ı ı ı eijvdwla eij
eijvdwla eijeijvdwla eij
eijvdwla eijnai ta; twnai ta; twnai ta; twnai ta; twn nekrwn nekrwn nekrwn nekrwn swvmata,n swvmata,n swvmata,n swvmata, to;n de; ojvnta hJmwto;n de; ojvnta hJmwto;n de; ojvnta hJmwto;n de; ojvnta hJmwn eJvkaston ojvntwn eJvkaston ojvntwn eJvkaston ojvntwn eJvkaston ojvntwı, ajqavnaton eijı, ajqavnaton eijı, ajqavnaton eijı, ajqavnaton eijnai yuch;n nai yuch;n nai yuch;n nai yuch;n ejponomazovmenon, para; qeou;
ejponomazovmenon, para; qeou;ejponomazovmenon, para; qeou;
152 de; oujk ajvneu gh~ı: ojvqen ejk puro;ı kai; gh~ı to; tou~ panto;ı ajrcovmenoı sunistavnai sw~ma oJ qeo;ı ejpoivei. (31b 4-8)
È utile rifarsi infine ad un breve estratto del Politico, in cui è proprio la componente corporea ad essere messa esplicitamente in relazione alla disidentità del sensibile: