pra
prapra
pragmagmagmagma (95e 8), è proprio in ragione della consapevolezza che l’Eternità è essenzialmente
diversa da un perdurare infinito, che, a rigore, non esclude, come ‘giustamente’ osservava
Cebète, l’eventuale cessazione dell’esistenza. Il retroterra teoretico di questa convinzione si esprime nel fatto che il Tempo nella prospettiva platonica, resa esplicita nel Timeo, è una realta ontologicamente derivata, e non esiste necessariamente per sempre.
Perciò, che nessuna fra due letture alternative del Proemio che si oppongono all’esistenza di un’Eternità atemporale sia sostenibile, lo si può provare indugiando nell’analisi dei nessi logici che il filosofo delinea in queste brevi ma cruciali battute: per quanto concerne il sensibile, che l’
ajeiv
non possa essere preso per un sinonimo di ‘eternamente’, è dimostrato dal fatto che il concetto di diveniente non contempla esclusivamente il generarsi, bensì anche il corrompersi, essendo appunto ungignovmenon kai; ajpolluvmenon
(28a 3); il183 ‘sempre’ allude dunque verosimilmente al carattere ‘incessante’ del divenire fenomenico,
che, per tutto l’arco della propria esistenza temporale, nasce e muore costantemente, senza perciò implicare per forza che questo suo
givgnesqai
debba proseguire ad infinitum. L’ajeivajeivajeivajeiv
permette anzi al filosofo, ad uno sguardo più attento, di sottolineare la dipendenza della continuità della generazione dalla continuità della dimensione temporale in cui essa necessariamente si esplica.
Per quanto riguarda l’Intelligibile invece, l’
ajeivajeivajeivajeiv
funge da contrassegno di un modo di esistere completamente privo di tratti processuali,gegegegevvvvnesinesinesinnnn nesi
oujk ejvcooujk ejvcooujk ejvconoujk ejvco
appunto (27d 6), e dunque invariante rispetto a quelcrovnoı
da intendersi precisamente come trascorrere senza sosta dell’essere nel non essere e viceversa, che come nel Fedone permetteva di asserire l’oujdevpote kata; taujta; ejvcein
deipolla; oJratav
, così nel Timeo autorizza a parlare delgignovmenon
, più sinteticamente, come di unoujdevpote ojvn
(28a 1). Alla luce di queste considerazioni testuali, che fanno emergere il significato ben distinto attribuito da Platone all’avverbioajeiajeivvvvajeiajei
nelle due circostanze, l’ombra della qualifica dell’oujsiva mediante un’eternità illusoria, di tipo durativo, sembrerebbe scacciata: questa divergenza semantica costituisce infatti il segno più evidente del valore ontologico e non temporale dell’avverbio, che consente di sottolineare, rispettivamente, l’equivalenza fra l’ojvn
e l’ojvntwı
ojvn
, quella fra ilgignovmenon
e l’ojvntwı oujdevpote ojvn
. In questa maniera, non sotanto si è ribadita l’esigenza di pensare l’Essere come al di là della successione temporale, bensì si è stroncata sul nascere la pretesa di affermare una ‘permanenza’ per il sensibile alternativa all’esistere apparente per un certo lasso di Tempo: l’aaajjjjeiaeieivvvvei
delgignovmenongignovmenongignovmenongignovmenon
, vista la struttura logica dell’argomentazione, in quanto rispecchia il suo ‘non essere mai veramente’, gli nega non soltanto l’Eternità, ma anche, per conseguenza, la dignità ontologica di Essere vero139.
139
Il più grande limite, intrinseco alla stragrande maggioranza dei tentativi di etichettare l’Aion come una sorta di durata, è da ricondurre a nostro avviso all’indifferenza mostrata rispetto al problema del rapporto fra Eterno ed Essere, inteso sia come l’Essere Ideale di cui l’Eternità è attributo, sia come l’Essere dell’Eternità stessa in quanto Intelligibile, poiché a prescindere da una più precisa determinazione di questo suo duplice
legame con l’oujsiva, è praticamente impossibile stabilire secondo quale accezione si debbano intendere
l’Atemporalità e la Permanenza proprie di ajiwvnajiwvnajiwvnajiwvn; in questo senso seguiamo completamente tre belle letture ‘classiche’ della nozione di Eterno, che invece a questo nesso hanno prestato molta più attenzione, pervenendo tutte, non a caso, a definirlo come gli compete, cioè ‘timeless’, o ‘zeitlos’ appunto. La prima è quella di R.D. Archer-Hind, in The Timaeus of Plato, 1888, p. 120, nota 6:
«This passage [37d 6-38a 2] leaves no doubt about the perfect clearness of Plato’s conception fo eternity distinguished from time. Eternity is quite another thing from everlasting duration: it is that which mevnei ejn
184 Volendo fare un piccolo esperimento concettuale, immaginando che Platone non si fosse servito dell’espressione ‘ajeiv’, domandando semplicemente tiv to; ojvn…, e tiv to; gignovmenon, ci si rende immediatamente conto che il senso del ragionamento, e soprattutto la comprensione della demarcazione fra i due ambiti oggettuali, non ne verrebbero
eJniv, it is apart from time and has nothing to do with succession. Time has been and shall be for everlasting, but
the infinity of its duration has nothing in common with eternity, for it is a succession. Plato, as he was certainly the first to form a real conception of immateriality, was probably the first who firmely grasped the notion of Eternity.»;
la seconda è quella di H.F. Cherniss, in Aristotle’s Criticism of Plato and the Academy, 1944, p. 212:
«Eternity for Plato is not temporal duration; it is not a measure but a mode of being. The eternal is that which truly and simply is, and this characteristic distinguishes it from all that is subject to change or process, from all that is sensitive and composite, from all that has a cause outside of itself [...]. The phenomenal world, involved in process as it is, cannot be called eternal; but the difference between it and the ideas in this respect is not one of duration, it is the difference between timeless being on the one hand and temporal duration on the other [...], between intelligible, stable, unambiguous reality and sensibile, shifting appearance.»;
la terza infine è quella di Taylor, cit., pp. 186-187:
«The thought is that only that which is aijwvnioı, ‘eternal’ in the sense that it knows no ‘passage’, is never ‘in the making’, can strictly be called ajivdioı, ‘everlasting’. But that which, though always ‘in the making’, endures through all time is in a secondary sense an approximation to the everlasting. The paravdeigma is not a thing ‘in the making’ at all; passage and succession have nothing to do with it; it has its being in aijwvn, eternity.». Si vedano infine anche Festugière, op.cit., p. 187, che sostiene una tesi analoga a partire dal significato, consolidatosi nelle fasi della speculazione letteraria e filosofica Greca anteriori a Platone, di Aion come ‘durata della vita’:
«Quand cette durée de vie est celle de l’aujtozw/on qui contient tous les Intelligibles immuables et qui est donc aussi immuable, l’aijwvn devient l’éternité au sens propre, l’éternel présent.». Il perdurare del cosmo, in qualunque modo lo si voglia intendere, va ritenuto dunque un prodotto ontologicamente derivato da questa condizione atemporale (cfr. pp. 187-188), ed Adolfo Levi, Il concetto del tempo, op.cit., che propone
un’assimilazione netta del platonico aijwvn con il nun parmenideo del Frammento 8, oltre a sottolineare la
continuità di fondo nella concezione platonica, della trascendenza eidetica rispetto a qualsivoglia influsso temporale:
«Questo testo [scil. il brano sulla genesi del tempo] riassume, si può dire, le concezioni fondamentali del pensiero platonico. Il mondo delle Idee è ancora una volta, e più esplicitamente che mai, posto fuori della successione temporale e collocato nell’è immutabile dell’eternità, come l’uno parmenideo era raccolto tutto nel
nun.» (p. 97).
Sull’Eternità senza principio, anteriore a qualsiasi determinazione temporale, Fraccaroli (op.cit., p. 81), cita alcuni toccanti versi di Dante (Par. XXIX, 16 sgg.):
In sua eternità, di tempo fuore,/Fuor d’ogni altro comprender, come i piacque,/S’aperse in novi amor l’eterno amore./Né prima quasi torpente si giacque,/Che né prima né poscia procedette/Lo discorrer di Dio sovra quest’acque.
185 minimamente inficiati140: dietro il ricorso all’accentuazione ‘sempre’, potrebbero dunque celarsi, oltre alle chiare finalità teoretiche già discusse, anche finalità didattiche, sulle quali ritorneremo fra pochissimo, e non da ultimo letterarie, dettate dalla volontà di conferire maggiore solennità e spessore metafisico a quello che deve fungere da esordio della trattazione Cosmogonica.
-Infine, per concludere con l’
ajei; kata; taujta; eijajei; kata; taujta; eijajei; kata; taujta; eijajei; kata; taujta; eij
nainainainai
oejvceinejvceinejvceinejvcein
, a riprova anche della sua coloritura atemporale, ci si può appellare ad un estratto del Politico, in cui lo Straniero, introdotto il mito dell’inversione del Tempo (cfr. 268d 5 sgg.), e cominciando a spiegare le ragioni teoriche dell’alternanza dei cicli cosmici, diceTo; kata; taujta; kai; wJsauvtw
To; kata; taujta; kai; wJsauvtwTo; kata; taujta; kai; wJsauvtw
To; kata; taujta; kai; wJsauvtwı ı ejvejvejvejvceinı ı
ceincein cein ajei; kai; taujto;n eijajei; kai; taujto;n eijajei; kai; taujto;n eijajei; kai; taujto;n eij
nainai toinainai
ı pavntwn
qeiotavtoiı proshvkei movnoiı,
swvmatoı de; fuvsiı ouj tauvthı thı tavxewı. (269d 5-7)Ciò che da queste battute salta prepotentemente agli occhi è l’assimilazione dell’Essere sempre nello stesso modo alla taujtovthıtaujtovthıtaujtovthıtaujtovthı. Compiendo tale passo concettuale, già intuibile in alcuni luoghi in cui il filosofo utilizzava questa formula divenutaci familiare per caratterizzare la condizione atemporale delle Idee, e soprattutto nella terza argomentazione del Fedone, in ragione degli stretti rapporti che l’
ajei; kata; taujta; ajei; kata; taujta; ejvceinajei; kata; taujta; ajei; kata; taujta; ejvceinejvceinejvcein
stabiliva qui con altrikoinavkoinavkoinavkoinav
eidetici, come con l’Unità o come pure, ad un livello meno percettibile, con laeJterovthı eJterovthıeJterovthı
eJterovthı, Platone ci indica direttamente la via da percorrere per arrivare ad una
determinazione precisa della natura dell’
aijwvn
: l’Aufhebung dell’ajeivajeivajeivajeiv
neltaujtovntaujtovntaujtovntaujtovn
suggerisce il passaggio ad una considerazione più approfondita dell’Eterno in relazione
ai Generi dell’Essere, in quanto mostra il carattere non esteriore di tale relazione. E nel
Politico, detto in termini dialettici, si comincia con la ricomprensione dell’Eternità nel
genere dell’Identico141.
140
Ci sembra che il ragionamento svolto complessivamente sul Proemio del Timeo possa fungere da obiezione valida alla posizione assunta da G. Vlastos, in Creation in the Timaeus: is it a Fiction?, 1964, p. 407 sgg., emblematica tra quelle similari che fanno leva sul conferimento dell’ajeiv al gignovmenon a sostegno dell’esistenza di una dimensione cosmologica precosmica che dovrebbe permettere di dimostrare la genesi temporale del cosmo sensibile. È stato osservato di recente da Francesco Fronterotta, nella sua edizione del
Timeo, 2003, che l’utilizzo dell’avverbio ajeiv in relazione al gignovmenon, va “riferito esclusivamente al perenne mutamento che impedisce a ciò che diviene di essere mai”, e che quindi esso non sia indicativo né del
fatto che il sensibile sia eterno, né del fatto che esso sia generato nel tempo (p. 177 nota72).
141
L’assimilazione dell’Eternità nell’Identità non implica tuttavia che l’aijwvn aijwvn aijwvn aijwvn debba stabilire una relazione esclusiva con questo genere sommo a discapito di altri. Ad ogni modo si entra qui nel merito di una questione
186 Di questo andamento nella trattazione platonica del concetto di Eterno rappresenta una tappa fondamentale anche un brano del Parmenide (da confrontare anche con l’
ajei; oj;n to; ajei; oj;n to; ajei; oj;n to; ajei; oj;n to;
aujtov
aujtovaujtov
aujtov
di 132c 6-7): in questo contesto l’anziano Eleata afferma che la rinuncia a concepire la realtà in termini Ideali equivarrebbe a non avere una direzione in cui rivolgere il Pensiero ed a distruggere del tutto il potere della scienza Dialettica:...oujde; oJ;poi trevyei th;n dianoia eJvxei, mh; ejwn