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Fonte: Ath. V, 180e(I. 414 Kaibel).

Metro: dattilico.

I frammenti di Alcmane (14a, 27 e 30 PMGF) e altri dello stesso Stesicoro (240 e 278 PMGF), insieme agli incipit dell'Odissea e della Teogonia, mostrano come fosse costante nella poesia arcaica il ricorso all'invocazione iniziale della Musa (vd. infra). Queste divinità che tutto conoscono e che sempre sono presenti (Hom. Il. II, v. 485)1, possono narrare al poeta tutti gli eventi, fin da

quando era il Caos (Hes. Th., vv. 114-116). Non stupisce che alla Musa, come riporta Ateneo, Stesicoro abbia attribuito l'epiteto avrcesi,molpoj2, composto dal valore pregnante, che riunisce in un

solo termine i suoi ruoli di iniziatrice della poesia, quello di cantatrice e quello di danzatrice3. Il

composto è un hapax assoluto nella letteratura greca. Sebbene il verbo a;rcw / a;rcesqai sia soltanto evocato all'interno dell'epiteto, e non coniugato in una forma esplicita, il suo significato evoca con forza il ruolo fondamentale della Musa nella cultura greca arcaica: ella, che tutto sa perché tutto ricorda – essendo figlia di Mnhmosu,nh -, dà avvio al canto, assolvendo il suo ruolo di ispiratrice della creazione artistica. Non è da escludere, inoltre, che questo epiteto si trovasse in un contesto proemiale, data l'importanza e la pertinenza a questo genere del verbo a;rcw / a;rcesqai4. L'avvio del

canto, se non intrapreso dalla stessa divinità, è ad ogni modo da essa dipendente, secondo la cultura arcaica5. Fra i lirici, molti esempî sono offerti dai frammenti di Alcmane. In Alcm. fr. 14a PMGF, ad

esempio, il poeta definisce la Musa «eterna cantatrice» e la invoca perché inizi a cantare per le vergini del suo coro:

Mw/s v a;ge( Mw/sa li,gha polummele.j aive.n avoide me,loj

neocmo.n a;rce parse,noij avei,dhn6

In questi versi l'avvio del canto è anche associato alle nozioni di pluralità (polummelh,j) e di novità (neocmo,j), poiché ogni canto si ricollega alla tradizione, variandola e aggiungendo nuovi elementi al tessuto narrativo ed alla forma espositiva. Nei valori di pluralità e di novità risiede anche il piacere della poesia, che insegna qualcosa di nuovo riprendendo ciò che è noto all'uditorio. Le origini della Musa sono ricordate da Alcmane nell'invocazione, probabilmente proemiale, del fr. 28 PMGF:

1 Per una discussione sul valore di questo verso, cf. Lanata 1963, p. 5.

2 Davies-Finglass 2014, p. 567 sostengono l'ipotesi, già formulata da West, secondo cui il poeta si sarebbe espresso invocando la dea con il suo epiteto nella seguente maniera: avrcesi,molpe qea,. Cf. ibid. per un elenco di nomi composti, per la costruzione lessicale simili a avrcesi,molpoj.

3 Cf., per il significato di molph,, legato allo stesso tempo alla sfera dei suoni e degli schemi orchestici, Davies- Finglass ibid., p. 31.

4 Cf. Aloni 1992, p. 112 sgg.

5 La Musa dà avvio non soltanto ai canti e alle danze, ma anche alle parole e ai discorsi. Cf. B. XV, v. 47 (Mou/sa( ti,j prw/toj lo,gwn a=rcen dikai,wn*). Per i richiami omerici di questo verso, cf. Maehler 1997, p. 142.

6 Calame 1983, p. 49 (= fr. 4 Calame) legge aivena,oide. Messe a parte le differenze formali e contenutistiche fra questo epiteto e avrcesi,molpoj, vi sarebbe tuttavia fra i due una complementarità: l'uno ricorderebbe (con un'associazione adv. + sost.) il valore della continuità dell'ispirazione, l'altro (verb. + sost.) l'avvio alla poesia da parte delle Muse. Cf. commento relativo ad Alcm. fr. 14a PMGF, p. 15 sgg.

Mw/sa Dio.j qu,gater li,g v avei,somai wvrani,afi

Alla qualità della voce della Musa ispiratrice, e alle sue proprietà estetico-sonore e di persuasione, si richiama invece l'incipit poetico di Alcm. fr. 30 PMGF:

a` Mw/sa ke,klag v a` li,gha Shrh,n1

La presenza della divinità intesa non come ispiratrice ma come argomento di canto, è attestata in Alcm. fr. 29 PMGF:

evgw.n d v avei,somai evk Dio.j avrcome,na)

Qui l' "io poetico", che nei versi precedenti certamente si sarà affidato all'ispirazione imprescindibile delle Muse, dichiara di voler iniziare a cantare "da Zeus". Anche in Alcm. fr. 10b PMGF, vv. 8-11 è possibile leggere, al di là delle incertezze testuali, una richiesta del coro al proprio corego Agesidamo di dare inizio al canto, con un forte richiamo al genere proemiale:

tu. dÎ)))#lñaij a;rce tai/j Du& mai,Înais# TundaridaieñnañÎ esaÎ #en aivcmai si&

ofile.j coÎ#rage. `Aghsi,dame

Il riferimento alla materia divina, in questo caso, è ai Tindaridi, ovvero ai Dioscuri, ed è possibile ipotizzare che un riferimento alla Musa, ovvero all'ispirazione divina, fosse presente nei versi precedenti, fra le molte lacune del papiro (P.Oxy. 2506, fr. 5, col. II), o che le Muse fossero invocate in un proemio a questi versi, i quali quindi costituirebbero il canto vero e proprio2. In un celebre

passo omerico, Odisseo esalta le doti dell'aedo per eccellenza, Demodoco, ricordando che a istruirlo è la Musa, figlia di Zeus, o Apollo (Od. VIII, vv. 487-488):

Dhmo,dok v( e;xoca dh, se brotw/n aivni,zom v a`pa,ntwn\ h' se, ge Mou/s v evdi,daxe( Dio.j pa,i?j( h' se, g v vApo,llwn) Demodoco, al di sopra di tutti i mortali, te lodo:

o la Musa, figlia di Zeus, ti istruì, o Apollo3.

Poco dopo, è sottolineata l'intimità del cantore con la divinità, che dà avvio al canto e che del canto stesso è tema di inizio (Od. VIII, v. 499)4:

1 Cf. commento a questo frammento, p. 136 sgg. Molte altre simili espressioni presso i lirici richiamano il ruolo della Musa ispiratrice, insieme a quello del verbo a;rcw esprimente l'inizio del canto: Stesich. fr. 278 PMGF, Pi. N. III, vv. 10-11. Altri riferimenti in De Martino-Vox 1996, I, p. 282.

2 Cf. Aloni 1992, p. 118: «in questo caso (...) è il corego e non la Musa a essere invitato a cantare l' avrca, del canto. O ci troviamo di fronte a una esecuzione in cui si alternano canto corale e canto del corego, oppure il proemio spetta qui al coro, mentre il corego esegue la oi;mh, in questo caso una narrazione delle vicende dei Dioscuri».

3 Ai vv. 496-498 Odisseo chiede a Demodoco di cantare le vicende del cavallo di Troia, promettendogli che, se narrerà nel modo giusto (kata. moi/ran), egli dirà a tutti gli uomini che il suo canto proviene da un dio benevolo. In questo modo Omero allude alla legittimità di un aedo, che può provenire soltanto da un dio, il quale è l'unico a concedere l'ispirazione.

4 Hainsworth 1982, p. 290 chiarisce i motivi, grammaticali e stilistici, per cui si deve preferire la lettura «ispirato, cominciò dal dio», accettata anche da Privitera 1982 nella relativa traduzione (p. 131), a quella alternativa «ispirato dal dio, cominciò».

\ o` d v o`rmhqei.j qeou/ h;rceto egli, ispirato, cominciava dal dio

In Omero, e ancora nell'Odissea (IV), si trova un passo emblematico per la definizione dell'idea di "avvio della mousikh,", in cui non soltanto è confermato lo stretto legame fra il poeta e il divino, ma è messa anche in luce l'importanza che l'elemento orchestico assume nell'economia della performance musicale: la molph,, evocata nell'epiteto stesicoreo, conserva per tutto il periodo arcaico il significato unitario di musica e danza1. All'inizio del canto IV si apre alla vista di Telemaco e di

Pisistrato la scena della fastosa reggia di Menelao a Sparta. In questo contesto, Omero indugia nella descrizione di una festa nuziale, a cui non mancano elementi essenziali quali il canto del divino aedo, l'accompagnamento della fo,rmigx e la danza dei saltimbanchi (Od. IV, vv. 15-19):

w]j oi` me.n dai,nunto kaq v u`yerefe.j me,ga dw/ma gei,tonej hvde. e;tai Menela,ou kudali,moio(

terpo,menoi\ meta. de, sfin evme,lpeto qei/oj avoido.j formi,zwn\ doiw. de. kuristhth/re kat v auvtou.j molph/j evxa,rcontej evdi,neuon kata. me,ssouj)

così essi banchettavano nella grande sala dall'alto soffitto, i vicini e i parenti di Menelao glorioso,

provando piacere; insieme a loro cantava il divino aedo suonando la fo,rmigx; e due saltimbanchi fra loro cominciando la danza volteggiavano al centro2.

Questa descrizione suggerisce alla fantasia dell'uditorio un complesso di sensazioni mentali, che potrebbero aver accompagnato sensazioni realmente vissute durante la performance dell'esecutore dei versi omerici. Più in particolare, in pochi versi Omero evoca sia immagini (sala dall'alto soffitto, l'inizio della danza dei saltimbanchi) che suoni (il canto dell'aedo ed il suono della fo,rmigx) afferenti al contesto esecutivo. Come i partecipanti al banchetto di Menelao, così anche l'uditorio di questi versi si diletta (cf. verbo te,rpomai) ad ascoltare e ad immaginare scene e visioni suggerite dal poeta. L'idea di inizio, nel caso della danza dei saltimbanchi, richiama negli spettatori – reali o immaginarî -, l'emozione di vedere e di sentire il nascere di una performance ricca di schemi orchestici e di evoluzioni sonore. I concetti, differenti ma correlati, del piacere, del canto ispirato dal dio, dell'accompagnamento strumentale e dell'avvio alla performance sono altrettanto presenti nei tre versi di Alcm. fr. 27 PMGF:

Mw/s v a;ge Kallio,pa qu,gater Dio.j a;rc v evratw/n «epe,wn, evpi. d v i[meron u[mnw| kai. cari,enta ti,qh coro,n) Orsù Musa, Calliope, figlia di Zeus da' inizio alle amate parole, e desiderio aggiungi al canto, e una danza graziosa3.

In questo tipo di incipit sarebbe possibile immaginare l'uso dell'epiteto avrcesi,molpoj, con cui Stesicoro avrebbe voluto ricordare l'importanza dell'ispirazione divina, ed allo stesso tempo il piacere della musica e della danza, elementi dipendenti dalla volontà e dalla benevolenza della

1 Vd. Chantraine s.v. Me,lpw, p. 658. 2 Cf. Hom. Il. XVIII, vv. 603-606.

3 Cf. il commento a questi versi in Calame 1983, pp. 462-465. Secondo Aloni 1992, p. 118, questi versi potrebbero appartenere ad un proemio.

Musa nei confronti del poeta. Dalla dea, infatti, prende avvio quell'insieme di ritmo, canto, contenuto testuale e schemi orchestici a cui i Greci danno il nome di mousikh,. È possibile, ma non condiviso da tutta la critica, che l'edizione alessandrina di Alcmane cominciasse con la seguente epiclesi ad Apollo (fr. 1 Calame)1:

crusoko,mañ filo,molte2

A prescindere dal posto che potrebbe avere occupato questo frammento nella raccolta ellenistica dei componimenti di Alcmane, il carattere dell'intonazione farebbe pensare ai versi iniziali di un carme corale – verisimilmente un partenio. L'associazione dei due epiteti doppî, uno visivo, l'altro visivo- sonoro, ricorda che, insieme alle Muse, il poeta poteva invocare anche il dio amante della molph,3.

Che quest'ultima attività, musicale e motoria, fosse amata da Apollo, insieme ai giochi, è ricordato dallo stesso Stesicoro in fr. 232 PMGF, v. 2:

paigmosu,naj ÉteË filei/ molpa,j t v VApo,llwn

Ogni qualvolta il poeta lo richieda, le Muse ed Apollo provvedono con la loro ispirazione a dare inizio alla poesia, al ritmo delle danze ed alla musicalità del verso. In un certo senso, è possibile affermare che l'ispirazione divina del canto e della musica costituisce l'impulso ad una forma di sacra celebrazione della vita. Per queste ragioni, Stesicoro e gli altri poeti fanno riferimento ad Apollo ed alle Muse, ricordando nelle invocazioni il loro fondamentale ruolo di guidare la poesia ed il canto fin dal delicato momento del suo inizio.

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