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fanno risuonare presso il tuo glorioso santuario Fonte: P.Lond 733.

Metro: combinazione di misure dattiliche, preponderanti, con sequenze gliconiche, trocaiche e coriambiche1. In particolare: gliconeo acefalo (v. 1); tetrametro dattilico ipercataletto (v. 2);

pentametro dattilico catalettico in syllabam (v. 3); dimetro trocaico con tribraco in prima sede (v. 4); prassilleo II, ovvero tetrametro dattilico brachicatalettico + baccheo (v. 5); pentametro dattilico catalettico in disyllabum (v. 6); dimetro dattilico preceduto da due unità brevi + coriambo (v. 7); coriambo + metron giambico (v. 8); cretico + spondeo (vv. 9, 11); adonio (v. 10); adonio + ferecrateo acefalo (v. 12).

Dai dati interni forniti da questo ditirambo, è possibile desumere che la performance ebbe luogo a Delfi, quasi certamente durante i mesi invernali, in cui si diceva che Apollo soggiornasse presso gli Iperborei2. I primi versi lasciano intendere, al di là dei problemi testuali dipendenti dallo stato di

conservazione del papiro londinese, l'incrocio di tre campi semantici ben noti al pubblico che assiste alla performance: la navigazione, con i correlati concetti del viaggio e del commercio, il canto ed il mondo floreale. Il poeta di Ceo, che più volte nei suoi componimenti indulge a concretizzare la sua poesia, fino a personificarla3, in una sola strofe del nostro ditirambo (vv. 1-12) ricama una ricca e

complessa associazione di immagini attorno ad un tema centrale, e molto battuto, della letteratura arcaica, quello dell'ispirazione poetica. Se, come tutta la critica è concorde ad accettare, l'oggetto

accettata in traduzione, va ricordato che in Bacchilide a`du,j è attestato soltanto in composti aggettivali (cf. a`dueph,j in IV, v. 7), mentre h`du,j compare in fr. 21 M., v. 5. Cf. Gerber 1984, ss.vv., pp. 5 e 97. L'integrazione del v. 8 è strettamente correlata con il corrispondente verso della seconda strofe (v. 20), il quale pone molti dubbî di ordine metrico, testuale e stilistico, che è possibile sciogliere soltanto con la combinazione di un'espunzione (di ko,rai t v) e di un'integrazione (di d v), come proponeva Maas. Si veda, su quest'ultimo intervento, Maehler 1997, pp. 162-163 (= Maehler 2004, p. 170) e 2003, p. 57. Conseguentemente alle correzioni maasiane del verso 20, Maehler propone per il v. 8, anche se soltanto in sede di commento (1997, p. 159 = 2004, p. 168), la correzione pri.n to,#d v, da noi accolta in traduzione, ed edita mantenendo la lacuna nel testo (2003, p. 56). Differente l'interpretazione che Sevieri 2010, pp. 38-40 applica al testo e al metro dei vv. 8 e 20, integrando il primo verso in altro modo (pri.n a'n evj patri,#dñ) e conservando per il secondo il testo tràdito.

1 Vd. schema in Maehler 2003, pp. 55-56.

2 Cf. Pickard-Cambridge 19622, pp. 27-28 (Dithyramb n° XV), Maehler 2004, pp. 164-165, che tuttavia ricorda

anche la tesi (di Kamerbeek) secondo cui questo ditirambo potrebbe essere stato eseguito ad Atene. La tradizione secondo cui Apollo tornasse a Delfi dopo un periodo invernale trascorso presso gli Iperborei, è riferita da Plutarco in de E apud Delphos, 388e-389c. Cf., a riguardo, Maehler 1997, pp. 149-150, Sevieri 2010, p. 84 (con altri importanti riferimenti bibliografici).

inviato dalla Musa Urania a Bacchilide è una o`lka,j (v. 2), ovvero una nave da carico, a cui si riferirebbero l'aggettivo cruse,an e il participio congiunto ge,mousan, è lecito pensare che Bacchilide voglia spingersi ad descrivere, nella forma di una elegantissima metafora, il viaggio che conduce questo ditirambo dalla Musa al luogo di esecuzione, ovvero, con tutta probabilità, Delfi, passando attraverso Bacchilide. "L'invio del canto" è tema caro a Pindaro e a Bacchilide, per la facilità icastica che il processo dell'ispirazione e della composizione poetica può assumere (si pensi alla metafora del magnete nello Ione platonico), ma anche per le immagini che l'attività di Berufsdichter, nel V secolo a.C., può suggerire1. La metafora della "nave piena di canti" è declinata assecondando

le esigenze del genere poetico ditirambico. Infatti, mentre nei versi di Bacchilide il trasporto per mare avviene dalla fonte sacra (la Pieria) al sacro luogo di esecuzione del ditirambo (Delfi), con riferimenti a dei (Urania, Apollo) e ad altri personaggi della mitologia (Eracle, Iole, Deianira, v.15 sgg.), nella poesia epinicia i toni divengono più personalistici: nella Nemea V (483 a.C.)2, ad

esempio, Pindaro immagina che la fama di Pitea di Egina, vincitore nel pancrazio, si diffonda dalla sua isola di origine verso tutti gli evmpo,ria greci, caricata su navi come mercanzia gloriosa per lui e per la sua patria. Si vedano i versi iniziali di questo epinicio (Pi. N. V, vv. 1-5):

Ouvk avndriantopoio,j eivm v( w[st v evlinu,sonta evrga,& zesqai avga,lmat v evp v auvta/j baqmi,doj e`stao,t v\ avll v evpi. pa,saj

o`lka,doj e;n t v avka,tw|( glukei/ v avoida,( stei/c v avp v Aivgi,naj diagge,llois v( o[ti La,mpwnoj ui`o.j Puqe,aj euvrusqenh,j ni,kh Nemei,oij pagkrati,ou ste,fanon Non scultore io sono, tale da foggiare statue immobili che su di un piedistallo stanno ritte; ma su ogni

nave da carico e in (ogni) nave leggera, o dolce canto, parti da Egina annunciando che

il forte figlio di Lampon, Pitea,

vince ai giochi nemei la corona del pancrazio

In questi versi, Pindaro crea un complesso gioco di metafore: il poeta non è un artista che genera statue mute e immobili, ma il creatore di una glukei/a avoidh, in grado di prendere il mare, imbarcandosi su una pesante nave mercantile o su un agile battello3, e diffondere, alla maniera di un

kh/rux4, la notizia del suo stesso contenuto (la vittoria di Pitea di Egina) agli abitanti del bacino

mediterraneo. Alla staticità dei simulacri Pindaro oppone la vitalità del canto, che per le sue stesse

1 Cf. lo studio di Tedeschi 1985.

2 La Nemea V fu composta per la stessa vittoria per la quale Bacchilide compose l'Epinicio XIII. Maehler 1982, II, pp. 250-251 riporta gli elementi utili per la datazione della vittoria dell'egineta Pitea, senza tuttavia riuscire a fornire una data certa.

3 Secondo Maehler 1997, p. 156 vi sarebbe una leggera differenza fra la metafora delle navi in Pindaro e quella della o`lka,j in Bacchilide: nel primo caso, si alluderebbe alle navi per rendere più chiara l'immagine del "trasporto del canto"; nel secondo, invece, la nave da carico sarebbe un espediente retorico per esprimere l'idea dell'"abbondanza di canti" che le Muse hanno inviato al poeta.

4 L'immagine dell'araldo è associata da Bacchilide ai canti (avoidai,) che proclameranno agli stessi Egineti la vittoria del loro compatriota Pitea (XIII, vv. 228-231, cf. p. 158). La vicinanza fra questa immagine e quella dell' avoidh, pindarica che solca il mare per diffondere la gloria di Pitea agli altri popoli potrebbe essere stata determinata da un tentativo di emulazione fra i due poeti, che componendo per la stessa occasione (la vittoria che Pitea di Egina ottenne nel pancrazio ai giochi nemei, forse nel 483 a.C.), potrebbero aver impiegato la medesima associazione avoidh, - kh/rux. Poiché è difficile stabilire se l'epinicio bacchilideo abbia preceduto nel tempo la Nemea V di Pindaro, o viceversa, possiamo soltanto limitarci a sottolineare il rapporto di interrelazione fra i due testi, e più particolarmente fra le due metafore, senza stabilire quale delle due costituisca l'immagine che l'altro poeta avrebbe voluto variare.

dinamiche di composizione, esecuzione e trasmissione, si associa facilmente all'immagine di un viaggiatore per mare.

Come si è accennato, l'idea espressa da Bacchilide nel Ditirambo II differisce da quella pindarica soprattutto per il tipo di rotta intrapresa dalla "nave degli inni", la quale non è destinata a diffondere la fama del laudando, come in Pindaro, ma parte dal luogo d'origine dell'ispirazione poetica, la Pieria, per raggiungere Delfi, luogo della performance. La diversità di rotte è data dalla destinazione del canto. Mentre il punto focale del discorso retorico di Pindaro è la lode epinicia di un essere umano, la sequenza narrativa di Bacchilide esalta il valore cultuale del ditirambo. In entrambi i casi, soltanto le Muse possono garantire che la nave arriverà a destinazione. Urania, che sembra essere la principale ispiratrice di Bacchilide1, in questi versi veste i panni di un armatore che

dall'alto del suo trono istoriato (cf. evu<qronoj) dà l'ordine di caricare (cf. ge,mw) su una nave preziosa e immortale – da qui l'aggettivo cru,seoj2 - i canti da ella ispirati, che per la loro origine sono

immortali. Gli u[mnoi, nella metafora navale, acquistano concretezza, figurando con efficacia il peso di una mercanzia tanto importante quanto poco visibile.

La lacuna al v. 4 può essere sanata con due possibili termini che, a prescindere dai problemi metrici, bene si integrano nel contesto dal punto di vista contenutistico: poluf#a,twn o avqan#a,twn3. La prima

integrazione, accolta da Maehler 2003, p. 56, permetterebbe di associare gli inni alle nozioni – molto familiari alla poesia arcaica - di varietà e di molteplicità dei canti, garanzia dell'onniscienza delle Muse, da cui proviene l'ispirazione artistica; la seconda, invece, da noi accolta in traduzione, dà più risonanza al carattere divino degli inni, che in quanto ispirati da Urania conferiscono immortalità a sé stessi, a chi li canta, e all'oggetto del canto.

I primi quattro cola a noi pervenuti di questo ditirambo sollecitano due tipi di sensazione nell'uditorio, uno percepito durante la performance, l'altro immaginato grazie alla fantasi,a aivsqhtikh,. Mentre infatti il pubblico ascolta i suoni e vede gli schemi circolari del coro ditirambico, Bacchilide desta nei partecipanti dell'evento artistico la vista immaginata di una o`lka,j d'oro che dalla Pieria (Pier#i,aqenñ, v. 3), regione costiera della Macedonia, salperebbe alla volta della costa locrese, sul Golfo Maliaco, da cui successivamente i canti verrebbero trasportati – logicamente per via terrestre - fino al santuario focese di Delfi4. Questo itinerario non doveva risultare difficile da

immaginare per un uditorio abituato ai pellegrinaggi nei santuarî più noti della grecità, fra cui quello di Delfi, è bene ricordarlo, spiccava per importanza cultuale e per afflusso di viaggiatori. Una nave da carico rappresenta il mezzo più veloce per trasportare una mercanzia, sebbene metaforica, dalla Macedonia alla Focide, almeno fino al Golfo Maliaco. L'accostamento metaforico o`lka.j u[mnwn affonda le sue radici nella stretta relazione, ben nota al Berufsdichter, che intercorre fra l'idea del canto epinicio e quella del viaggio, e conseguentemente delle strade e delle rotte che il componimento, talvolta insieme al poeta, compie per raggiungere la committenza5. Uno dei primi

1 Cf. B. IV, v. 8; V, vv. 13-14; VI, vv. 10-11. Cf. commento a B. Ep. VI, vv. 10-16, p. 155 sgg.

2 La preziosità dell'oro, garanzia di imperitura luminosità e metafora di ciò che di più divino si possa offrire, è ricordata dallo stesso Bacchilide nell'epinicio in onore di Ierone vincitore con il carro a Olimpia (III, vv. 17-18). Il munifico tiranno di Siracusa, in quell'occasione, contribuì ad arricchire il santuario pitico di Apollo, in cui riluceva l'oro dei bei tripodi offerti al dio.

3 Vd. supra, p. 121 n° 1. La proposta alternativa di Jebb era a`brwt#a,twn, che, sebbene sia possibile dal punto di vista contenutistico, stride con il ritmo dattilico del verso, secondo l'interpretazione che ne dà Kenyon 1897, p. 146. 4 Se per questo ditirambo si immagina una esecuzione ad Atene (Kamerbeek), la o`lka,j di Urania farebbe

direttamente rotta dalla Pieria al Pireo. Per visualizzare meglio le coordinate degli itinerarî qui brevemente descritti, cf. Talbert 2000, pp. 50 (Pieria), 55 (Locride, Focide), 58 (Attica).

5 Limitatamente a Bacchilide, cf. V, vv. 31-33 (tw.j nu/n kai. ÉevËmoi. muri,a pa,nta| ke,leuqoj | u`mete,ran avreta,n | u`mnei/n( ktl)) e 196-197 (euvkle,a keleu,qou glw/ssan ouvñΖ – ∪ – | pe,mpein `Ie,rwni), con il commento di Maehler 1982, II, pp.

96-97 e 123. Si vedano anche B. X, vv. 51-52 (ti, makra.n gÎl#w/Îs#san ivqu,saj evlau,nw | evkñto.j o`dou/*) e XIX, vv. 1-14 (Pa,resti muri,a ke,leuqoj | avmbrosi,wn mele,wn | ktl)), in cui per altro il poeta fa ricorso anche ai topoi del "dono delle Muse" e del "tessere canti". Per quest'ultimo passo, cf. Maehler 1997, pp. 249-253 (= 2004, pp. 210-212). Fondamentale contributo al tema metaforico delle "vie dei canti" è O. Becker, Das Bild des Weges (in Hermes-

esempî dell'associazione fra il canto e il viaggio per mare potrebbe trovarsi nell'ode che Ibico compose per Policrate di Samo (fr. S151 PMGF, vv. 23-24):

kai. ta. me.În a;nÐ Moi,sai seësofiëÎsÐmëe,nai eu= ~Elikwnëi,dÎejÐ eëvmbai,en † lo,gwÎià e le Muse, che di ciò sono edotte,

le Eliconie potrebbero bene imbarcarsi nel discorso (?)

Questi versi seguono il rifiuto da parte di Ibico di trattare i temi del ciclo troiano, e più in particolare l'argomento rappresentato da tutti quei celebri eroi che le navi «cave, dai molti chiodi» condussero a Troia (vv. 17-19). Stando alle integrazioni del papiro proposte da Page (19834, p. 144) e accolte da

Davies (1991, p. 242, che tuttavia appone una crux davanti a lo,gwÎi, invalidando questa integrazione per motivi metrici), soltanto le Muse Eliconie, poiché esperte, potrebbero rivelare tutti i dettagli della Guerra di Troia e inserirli nella narrazione (vv. 23-24). Ragioni di ordine grammaticale e sintattico, oltre che papirologico e metrico, fanno di questi ultimi due versi una vexata quaestio1. Rimane tuttavia indubbio, qui, il richiamo alla navigazione. Ibico metterebbe in

luce l'analogia fra un nocchiero che, imbarcandosi, guida una nave attraverso infinite rotte, e le Muse che, esperte di tutto ciò che è vero o simile al vero, permettono alla poesia di trattare qualsiasi argomento esse desiderino. Anche per l'ode a Policrate, è bene sottolinearlo, il poeta dipende dalla committenza di un signore, in questo caso il tiranno di Samo (famosa per la sua flotta), così come avviene per l'epinicio pindarico. Per il ditirambo bacchilideo, l'idea della navigazione può essere suggerita non direttamente dalle caratteristiche della committenza - Delfi non è sul mare, anche se non lontana -, ma indirettamente, dal viaggio che il poeta o un suo messaggero avrebbe compiuto per portare i suoi preziosi inni a destinazione. La metafora del viaggio può, in qualche modo, tradire il ricordo – o la proiezione - del viaggio reale che la poesia ha compiuto per recarsi a Delfi, luogo della committenza e della performance.

Calliope conduce il poeta per diverse vie. Vd. B. V, vv. 176-178: leukw,lene Kallio,pa( | sta/son euvpoi,hton a[rma | auvtou/\, e cf. Sevieri 2007, pp. 188-189. Si accorda con la medesima metafora della Musa-auriga (o meglio della Musa-timoniera) l'incipit dell'Epinicio XII di Bacchilide: `Wsei. kubernh,taj sofo,j( u`mnoa,nas&| s v eu;qune Kleioi/ | nu/n fre,naj a`mete,raj. Un uso metaforico simile del termine o`do,j, al limite fra il senso di "strada", quello di "rotta" e quello di "piano, progetto", è in B. XVII, v. 89. Lo stesso Bacchilide ricorre alla metafora della "via della felicità" in fr. 11 (Pros.) Maehl. Per un commento a questa espressione, cf. Maehler 1997, pp. 311-312 (= 2004, pp. 235- 236).

1 Dal punto di vista metrico, l'ultima parola del verso 24 (lo,gw|), ammesso che inizi con le lettere log (Page 19834, p.

145 riporta in apparato le altre possibili letture, lopÎ oppure loiÎ), è incompatibile con il metro dattilico dei primi due versi della strofe. Non è inoltre possibile supporre una correptio poiché la prima parola del verso seguente (v. 25) è qnato,j, anche se la lettura di questo, come precisa Davies 1991a, pp. 242-243, è tutt'altro che certa. Per quanto

attiene all'interpretazione grammaticale, gli studiosi divergono sul significato del verbo evmbai,nw. Molti commentatori, da Del Grande 1957, p. 192 a Wilkinson 2013, p. 74, intendono il pronome dimostrativo sostantivato ta, dipendente da evmbai,nw, ammettendo un uso transitivo raro per questo verbo, con il significato transitivo di "trattare" o riflessivo di "imbarcarsi in" + l'accusativo. Conseguentemente, Del Grande traduce (pp. 192-193): «Questi eventi certo le dotte Muse eliconie potrebbero trattare nel racconto (ovvero, con la <loro> parola)», mentre Wilkinson (p. 52): «On these events might the skilled Heliconian Muses embark...» la quale lascia fra punti di sospensione il locus desperatus di fine v. 24. La traduzione di Wilkinson può essere ambigua, in quanto il verbo inglese to embark può avere sia il valore transitivo sia quello intransitivo. Il verbo evmbai,nw, tuttavia, ha spesso il senso causativo: "far entrare, caricare", e più specificatamente su una nave, come in Hom. Od. XI, v. 4. Noi preferiamo considerare il neutro sostantivato ta, come accusativo di limitazione retto dal participio sesofisme,nai, e interpretare il verbo evmbai,nw in senso riflessivo, e lo,gw| come dativo di movimento. Il significato dell'espressione è dunque "imbarcarsi nel discorso". Dal punto di vista metrico e papirologico, si dovrebbe ammettere la correptio di LOGWI e l'aporia del termine qnato,j al verso 25. Corroborano la nostra interpretazione, almeno dal punto di vista contenutistico, i due passi Hom. Il. II, vv. 484-493 ed Hes. Op., vv. 656-662. Le Muse, dunque, non si "imbarcherebbero negli eventi" né "tratterebbero gli eventi", ma, esperte degli argomenti rifiutati da Ibico, potrebbero raccontarli "imbarcandosi nel discorso".

Tornando alla metafora della o`lka,j, va ricordato che altri due autori arcaici, secondo alcune fonti dirette ma frammentarie, e alcune fonti indirette, avrebbero fatto riferimento a questo termine1. Il

primo è Alcmane, per il quale un papiro (P.Oxy. 2387, fr. 3, col. III, v. 98 = fr. 3 col. III PMGF, v. 98) e delle glosse (Diogenian. in Cyr. in cod. Coisl. 394 ap. Reitzenstein, Ind. Lect. Rost. 1890/91, p. 6 = fr. 142 PMGF; Hsch. s.v. `Olka,j, n° 579, II, p. 752 Latte) attestano l'uso di o`lka,j, non è chiaro se per designare un usignolo o, secondo la correzione di Latte al passo di Esichio, la voce delle sirene2. In entrambi i casi, non è possibile affermare se tale termine sia stato impiegato da

Alcmane in senso metaforico o letterale3. Il secondo poeta in questione è Simonide di Ceo, citato da

Imerio di Prusa (IV sec. d.C.). Nell'orazione XLVII, il retore illustra al suo destinatario Basilio il contesto culturale (e soprattutto cultuale) delle Panatenee, che, come recita il titolo stesso dell'orazione4, si tenevano a quel tempo all'inizio della primavera5. Al paragrafo 12 (or. XLVII, 117-

123, pp. 194-195 Colonna) Imerio menziona la processione della tradizionale trireme Panaqh,naia, che i sacerdoti e le sacerdotesse ateniesi portavano in giro per la città, dal Dipylon all'Acropoli, trasportandola «come su un mare senza onde» (106-107), ovvero per mezzo di una struttura dotata di ruote (112-115). Nel paragrafo che segue, Imerio ricorda l'esecuzione rituale di una perduta w|vdh, simonidea (117-123 = Simon. fr. 535 PMG):

lu,sei de. th/j new.j w|vdh. ta. pei,smata( h]n i`ero.j prosa|,dousin vAqhnai/oi coro,j( kalou/ntej evpi. to. ska,foj to.n a;nemon( parei/nai, te auvto.n kai. th|/ qewri,di sumpe,tesqai) o` de,( evpignou.j oi=mai th.n Kei,an w|vdh,n( h]n Simwni,dhj auvtw|/ prosh/|se meta. th.n qa,lattan( avkolouqei/ me.n euvqu.j toi/j me,lesi( polu.j de. pneu,saj kata. pru,mnhj ou;rioj evlau,nei th.n o`lka,da tw|/ pneu,mati)

scioglierà gli ormeggi una w|vdh, da nave, che degli Ateniesi, in sacro coro, cantano invocando il vento in direzione dello scafo, perché esso sia presente e voli insieme alla nave sacra (qewri,j). Ed esso, riconoscendo, come io credo, la wv|dh, cea che Simonide cantava accordandosi con lui [oppure: cantava per lui] in mezzo al mare, segue immediatamente i canti, e soffiando molto da poppa, favorevole, spinge la nave (o`lka,j) con il suo soffio.

Anche ammettendo che questo passo (in particolare da avkolouqei/ a pneu,mati) sia una parafrasi della wv|dh, simonidea (ipotesi di Maehler), nessun elemento sembra suggerire un uso metaforico di o`lka,j, ovvero di "nave da carico del canto"6. Imerio, al contrario, si limita a ricordare la w|vdh, che Simonide

avrebbe cantato in mezzo al mare7, con l'intento di imitare il suono del vento o con quello di

incantarlo (cf. le possibili sfumature dell'espressione h]n Simwni,dhj auvtw|/ prosh/|se meta. th.n qa,lattan) perché cambiasse la sua direzione8.

La metafora bacchilidea della o`lka.j u[mnwn, per riassumere, trae origine dall'immaginario collettivo del mondo arcaico, ma trova un solo parallelo esplicito nella letteratura lirica, ovvero Pi. N. V, v. 2. I versi di Ibico, e la metafora delle Muse che si imbarcano, hanno in comune con i passi di Pindaro e Bacchilide soltanto l'intreccio fra il campo semantico poetico e la terminologia nautica. I riferimenti

1 Cf. Maehler 1997, pp. 156-157.

2 Cf. Hsch. s.v. `Olka,j, n° 579, II, p. 752 Latte, con la correzione dello stesso Latte (del tràdito ahdwn eirhnh in avoida. Seirh,nwn). Cf., su questo argomento, Calame 1983, pp. 604-605.

3 Su questo argomento, cf. Maehler 1997, p. 156, che in riferimento ai passi di Alcmane scrive: «Die Metapher vom

Lastschiff der Lieder scheint bereits bei Alkman greifbar».

4 Cf. Colonna 1951, p. 189: Eivj Basi,leion Panaqhnai,oij avrcome,nou tou/ e;aroj.

5 Il contesto stagionale in cui si tenevano queste feste ateniesi è, tuttavia, dibattuto. Cf. Penella 2007, pp. 253-254 n° 182.

6 Anche per questo passo, vd. Maehler 1997, p. 157: «Auch Simonides scheint die Metapher gebraucht zu haben,

soweit man der Paraphrase des Himerios trauen kann».

7 Oppure, con Penella 2007, p. 257, «after [singing to] the sea», dopo aver cantato all'indirizzo del mare. Per questa interpretazione in senso brachilogico, cf. Panella ibid. n° 192.

8 Per le caratteristiche del rombo del vento, così come veniva inteso dall'orecchio greco, cf. analisi di Simon. fr. 595 PMG, p. 78 sgg.

di Alcmane e di Simonide alla o`lka,j sono del tutto incerti, soprattutto sul piano semantico e del contesto compositivo. Queste considerazioni lasciano emergere l'originalità di Bacchilide e di Pindaro, e la loro capacità di modulare, a partire dagli elementi della cultura comune al loro uditorio, nuove quanto perspicue figurae. In altri due passi Bacchilide allude, in maniera più o meno velata, alla metafora del viaggio della poesia per mare. Si ricordi dapprima l'incipit dell'Epinicio XII (vv. 1-4):

`

Wsei. kubernh,taj sofo,j( u`mnoa,nas& Come un esperto timoniere,

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