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un'eco divina di donne del sacro grido annuale

Fonte: P.Oxy. 2165, fr. 1, col. II 9-32.

Metro: asclepiadeo minore (v. 18), ipponatteo (v. 19), asclepiadeo minore acefalo (v. 20).

La duttilità dell'"io poetico" nella poesia arcaica e le potenzialità enunciative ed esecutive del simposio caratterizzano questi versi, che furono probabilmente cantati da un e`tai/roj o da un kh/rux a cui Alceo inviò il suo "messaggio"1, perché fosse cantato dinnanzi ai membri della sua e`tairei,a

rimasti a Mitilene. Nelle sei strofi di cui si compone il fr. 130b V., Alceo comunica ai suoi compagni, rivolgendosi in particolare ad un certo Agesilaide (v. 4), il dolore del suo esilio e la nostalgia per la terra dei suoi padri (v. 5). La condizione di esule lo ha allontanato dalla vita politica della sua po,lij2. Egli, che attualmente dice di condurre una vita campestre (v. 2)3, esprime il

desiderio di assistere all'assemblea e al consiglio di Mitilene, ricordati attraverso il riferimento implicito al sonoro richiamo dell'araldo e della sa,lpigx, che lo stesso poeta desidererebbe udire (vv. 3-5)4, provando un sentimento di "nostalgia acustica"5:

ivme,rrwn avgo,raj a;kousai karñuñÎzo#me,naj w= $VA%gesilai<da ÉðË

kai. bñÎo,#lñlñaj\

Dopo una sezione gnomica (v. 11 sgg.), il poeta volge a descrivere il luogo in cui vive, mentre allo stesso tempo i suoi compagni, riuniti a simposio a Mitilene (v. 16 sgg.), danno voce al suo messaggio di esule, udendo le sue miserie. Gli e`tai/roi, diversamente dal poeta, hanno la possibilità di udire ancora il richiamo dell'assemblea, e di parteciparvi: l'udire questo suono è metonimia del partecipare alla stessa vita politica. Il poeta, da parte sua, ricorda e desidera attraverso il suo orecchio mentale. In termini simili, l'"io poetico" di Alcmane desidera udire voci di fanciulle, presumibilmente assenti in fr. 3, col. I PMGF, vv. 1-4:

Mw,sai vOl#umpia,dej peri, me fre,naj

1 Per questa ipotesi esegetica, che trova conferme anche negli autori antichi (cf. Alc. fr. 401B V.), vd. Liberman 1999, p. XXVI sgg.

2 È probabile che anche il fr. 129 V. faccia riferimento al medesimo esilio, ed al medesimo luogo sacro (v. 2) in cui il poeta invocherebbe gli dèi (vv. 11-12) di farlo tornare in patria. Cf. Nagy 1993, pp. 224-225.

3 Questo elemento sarebbe la spia di un sentimento di emarginazione in Alceo, e non un tentativo di ridicolizzare la propria situazione. Cf. Nagy ibid., p. 223.

4 Per la funzione di richiamo che questo strumento assolveva, cf. A. Eu., vv. 567-568, B. XVIII, v. 3. Cf. West 1992a,

pp. 118-119.

i`me,rw| ne,a#j avoida/j pi,mplat v\ ivqu,#w d v avkou,sai( parsenhi<#aj ovpo,j1

Il luogo in cui Alceo vive esule, «tenendo i piedi lontano dai mali» (v. 16: oi;khmi kÎa,#kwn e;ktoj e;cwn po,daj) si trova nell'isola di Lesbo, e sembra essere noto a tutti per i suoi concorsi, in cui delle fanciulle sono giudicate in base alla loro bellezza fisica (v. 17: LÎesbi,#adej krinno,menai fu,an). Queste graziose partecipanti sono "visualizzate" nel loro incedere, nel loro accompagnarsi con lo strascico dei loro abiti (v. 18: pw,lent v evlkesi,peploi). A questa descrizione, che Alceo "pone sotto gli occhi" del suo lontano uditorio, suscitando il piacere di immaginare le forme e la grazia delle belle fanciulle, il poeta aggiunge la caratterizzazione sonora del contesto in cui vive2. I citati vv. 18-

20 sembrano voler ricreare nella fantasi,a dell' e`tairei,a di Alceo la sensazione di udire ciò che anche il poeta ode nella sua terra d'esilio. L'espressione assomma in soli tre versi termini che definiscono le caratteristiche di un canto/grido di donne, probabilmente eseguito durante i concorsi di bellezza. È possibile, con Robert 1969, pp. 312-315, che il maka,rwn evj te,mÎe#noj qe,wn che Alceo menziona al v. 13 sia da individuare nel santuario lesbio di Era, a cui fa riferimento un importante epigramma anonimo dell'Antologia Palatina (IX, 189)3. È difficile stabilire le coordinate

topografiche di questo santuario4; più semplice è invece dimostrare che la divinità a cui erano

dedicate le celebrazioni, con i relativi concorsi di bellezza e l'esecuzione di inni, si identifica nella dea Era5. Lo sfondo di una cerimonia sacrale in cui alla bellezza fisica si accompagnava una forma

di espressione sonora, e in cui la presenza femminile era preponderante6, chiarisce il contesto ed il

significato dei versi in analisi: con grande ricchezza linguistica ed allo stesso tempo con molta precisione, Alceo descrive le sensazioni provate nel suo luogo d'asilo, facendo ricorso alla propria fantasi,a visuale e sonora per rimembrarle e descriverle, e a quelle del suo uditorio perché possa immaginarle.

Il verbo bre,mw, come il corradicale termine bro,moj7, esprime la forza di risonanza di un suono,

specialmente se percepito a distanza. Di origine etimologica incerta (quasi certamente onomatopeica)8, esso può designare il risuonare del mare e del vento in Omero9, o il risuonare di

armi e di uomini nella tragedia attica10. Il verbo bre,mw può anche indicare il risuonare di strumenti

1 Le integrazioni e l'interpretazione grammaticale sono di Page 1959. Vd. apparato in Davies 1991a, pp. 38-39. Per il

concetto di "nostalgia acustica", cf. anche l'iscrizione di Cecilia Trebulla sul Colosso di Memnone, ep. 92 Bernand. 2 Sulla possibile individuazione di questo luogo sono state avanzate diverse ipotesi. Cf. Liberman 1999, p. 216, n°

138.

3 In questo epigramma non si fa esplicito riferimento a concorsi di bellezza, ma la componente orchestico-corale è un elemento preponderante.

4 Cf. Robert 1969, pp. 312-313, il quale propenderebbe per una collocazione vicino al monte Pileo, nell'attuale piana di Mesa, e non invece sul monte stesso, come sosteneva Tümpel nel 1891. Anche Gallavotti 1962, pp. 45, 104 sgg. concorda nel vedere nel te,menoj dei versi di Alceo l'Heraion del monte Pileo. Per il valore anche politico di questo santuario, che nel nome richiamerebbe la centralità geografica e politica che avrebbe assunto nell'isola di Lesbo, cf. l'utile sintesi delle argomentazioni in Nagy 1993, p. 221.

5 Il riferimento letterario più palmare della presenza di questo culto nell'isola è in Saffo, fr. 17 V., v. 2. Cf. Robert 1969, pp. 313-314, e Liberman 1999, p. 61, n° 127. Per i concorsi femminili (kallistei/a) a cui Alceo fa riferimento, cf. anche Rösler 1980, pp. 282-284. Teofrasto, in Ath. XIII, 610a (fr. 112 W.) conferma la fama dei concorsi di bellezza femminile che si tenevano a Lesbo. Altro riferimento ai kallistei/a che si tenevano a Lesbo in onore di Era è lo Schol. Vet. A ad Hom. Il. IX, v. 129, II, p. 425 Erbse.

6 Nagy 1993, pp. 222-223 sottolinea il legame fra la sacralità, la bellezza e gli elementi orchestico-musicali in questo tipo di manifestazioni, portando a confronto AP IX, 189.

7 Cf. p. 108.

8 Cf. Chantraine s.v. Bre,mw, p. 185, che lo traduce con "gronder" = "rimbombare", e Frisk s.v. Bre,mw, pp. 264-265. 9 Cf. alcuni esempî in Hom. Il. II, v. 210, IV, v. 425, B. XVII, v. 76-77 (ba&|ru,bromon pe,lagoj) e S. Ant., v. 592 per il

rimbombo del mare; Hom. Il. XIV, v. 399, Ar. Th., v. 998 per il rimbombo del vento. Cf. commento a Simon. fr. 595 PMG, p. 78 sgg.

musicali, come in Pindaro (N. XI, v. 7)1, in cui per zeugma esso ha come soggetti la lu,ra e la avoidh,:

lu,ra de, sfi bre,metai kai. avoida,. Escludendo quest'ultimo, insieme ad altri pochi casi, i passi in cui il risuonare di strumenti o di voci sia espresso da questo verbo sono molto rari. Non si tratta di un tecnicismo, ma di un verbo generico che esprime la sensazione uditiva di chi, soprattutto a distanza, percepisce un suono senza apprezzarlo dal punto di vista estetico. Non a caso, il suono che Alceo cerca di "ricreare" nella mente dei suoi lontani ascoltatori, nonché il soggetto del verbo, posto in posizione enfatica, viene espresso con il termine hvcw,: questa eco descrive genericamente un suono le cui caratteristiche, foniche ed estetiche, sono definite nel seguito della sequenza verbale, ed in particolare al v. 20 (vd. infra), tenendo alta la concentrazione dell'uditorio. È utile ricordare, infatti, che l'attesa e la tensione di ascoltatori che non hanno sotto gli occhi il testo della performance - come invece oggi può accadere, ad esempio, a chi ascolti un'aria d'opera avendo a disposizione la traccia scritta del libretto o dei sopratitoli – sono accresciute da una sequenza enunciativa in cui l'emittente procede per gradi per definire l'oggetto del suo discorso. In questo caso, fino al v. 19, i convitati amici di Alceo immaginerebbero soltanto un'«eco femminile che risuona»2. L'aggettivo

qespe,sioj, in questo contesto, non ha la semplice funzione di epithetus ornans, ma descrive la sensazione che questa eco ha destato in Alceo, che la ricorda per averla vissuta direttamente. Fra i suoni considerati sacri nella Grecia arcaica vi era certamente il canto. Nell'Iliade il canto di Tamiri è definito qespe,sioj: egli, depositario di un dono così sacro, per il dissacrante suo atteggiamento nei confronti delle Muse perse la avoidh.n qespesi,hn insieme all'arte del citareggiare (Hom. Il. II, vv. 597-600):

steu/to ga.r euvco,menoj nikhse,men( ei; per a;n auvtai. Mou/sai avei,doien( kou/rai Dio.j aivgio,coio\

ai` de. colwsa,menai phro.n qe,san( auvta.r avoidh.n qespesi,hn avfe,lonto kai. evkle,laqon kiqaristu,n\

vantandosi assicurava che avrebbe vinto (nel canto), fossero anche state le stesse Muse a cantare, le figlie dell'egioco Zeus.

E quelle adiratesi lo fecero mutilo, e il canto

divino gli tolsero e gli fecero dimenticare l'arte della cetra.

L'aggettivo qespe,sioj definisce le Sirene proprio in un contesto in cui Ulisse espone ai suoi compagni la necessità di doverne "stornare il canto" (Hom. Od. XII, vv. 158-159: Seirh,nwn ))) qespesia,wn Õ fqo,ggon avleu,asqai); in altri casi, riferito ad un'eco, esso esprime il brivido che si prova ad udirla, come in Hom. Il. VIII, vv. 158-1593:

umane. Per quest'ultima categoria, cf. anche Pi. P. XI, v. 30, o` de. camhla. pne,wn a;fanton bre,mei: «chi ha il fiato umile, rumoreggia nell'ombra» (trad. di Gentili 20125, p. 301).

1 Cf. anche Pae.Delph. 20 P.-W., r. 14 (ligu. de. lwtoo.j bre,mwn), ed E. Ba., vv. 160-161: lwto.j o[tan euvke,ladoj Õ i`ero.j i`era. pai,gmata bre,mh|.

2 Importante il legame fra il verbo bre,mw e l'idea di eco espressa da Esichio con la chiosa bre,metai\ hvcei/, n° 1090, I, p. 345 Latte.

3 Cf. altri passi omerici in cui l'aggettivo qespe,sioj accompagna suoni e sentimenti di paura, o di terrore: Hom. Il. XVI, vv. 294-295 (toi. de. fo,bhqen Õ Trw/ej qespesi,w| o`ma,dw|), XVII, v. 118 (qespe,sion ga,r sfin fo,bon e;mbale Foi/boj vApo,llwn), XVIII, v. 149 (qespesi,w| avlalhtw|/ u`f v [Ektoroj avndrofo,noio), Od. III, vv. 149-150 (oi` d v avno,rousan evu?knh,midej vAcaioi. | hvch/| qespesi,h|), XI, v. 43 (qespesi,h| ivach|/\ evme. de. clwro.n de,oj h[|rei). Cf. Gentili 1966, p. 44. Diversamente dal significato da noi proposto, Page 1955, p. 199, intende qespe,sioj in senso estetico (wondrous = meraviglioso) e così traduce i vv. 18-20 del frammento alcaico: «and all around there rings the

wondrous sound of the loud holy cry of women every year». Simile la traduzione di Liberman 1999, p. 64: «résonne l'écho merveilleux de l'annuel cri sacré des femmes». Gallavotti 19572, p. 144 traduce invece: «e intorno risuona

l'eco infinita del sacro grido annuale delle donne». Una connotazione meno sacrale, e più letteraria, dell'aggettivo qespe,sioj è forse da preferire per Pi. N. IX, v. 7, in cui l'aggettivo definisce il canto di lode di un'azione meritevole, contrapposto al silenzio dell'oblio.

evpi. de. Trw/ej te kai. [Ektwr hvch|/ qespesi,h| be,lea stono,enta ce,onto)

i Troiani ed Ettore con terribile eco riversavano lugubri colpi.

Mentre con l'aggettivo qespe,sioj richiama il valore ancestrale e, soprattutto, la sensazione di brivido suscitata dall'eco, al v. 20 Alceo descrive i suoni delle cerimonie a cui ha assistito facendo riferimento a valori culturali e acustici. La successione graduale dei termini uditivi è costruita secondo un procedimento di definizione, tipico di una cultura orale in cui l'attesa di ciò che verrà udito successivamente incrementa il piacere e accresce l'attenzione.

L'aggettivo i`ero,j specifica il carattere sacrale, di "conforme al rito"1, che caratterizzava il suono

udito da Alceo. Come ha dimostrato Gentili 1966, pp. 37-62, soprattutto nel periodo arcaico non si può parlare di sinonimia degli aggettivi che definiscono i varî aspetti del sacro, come a`gno,j, i`ero,j, e semno,j:

La ricchezza del vocabolario religioso, della quale poté peculiarmente disporre la lingua greca, esprimeva la varietà di significati e colorazioni che accompagnò presso i greci l'idea del sacro; significati e colorazioni riflettenti non solo la natura ambivalente del sacro, ma anche l'evolversi dello spirito religioso dell'uomo greco da Omero al IV sec.; in concreto le diverse connotazioni, i diversi contesti, le diverse situazioni temporali e locali nelle quali quei termini erano pronunciati2.

Il termine sonoro specifico, fatto attendere dai due versi 18 e 19, giunge dopo l'epiteto i`ero,j. Si tratta della ovlolugh,, grido acuto che nella percezione reale, come nella rievocazione dei versi di Alceo, è preceduta dal diffondersi della sua eco. Fraenkel 19784, pp. 296-297 ricorda che il

corradicale verbo ovlolu,zein (così come ovlolugmo,j) non è legato all'idea di suono o di melodia, ma esprime quel grido – quasi sempre femminile - che veniva lanciato nel corso di cerimonie religiose, e in particolare, dopo l'invocazione iniziale agli dei, o proprio nel momento in cui si colpiva a morte la vittima sacrificale3. L'epos omerico dà un chiaro esempio di questa pratica, contestualmente ad un

rito offerto alla dea Atena (Hom. Od. III, vv. 447-452):

auvta.r evpei, r` v eu;xanto kai. ouvlocu,taj proba,lonto( ma dopo che pregarono e gettarono la mola, auvti,ka Ne,storoj ui`o,j( u`pe,rqumoj Qrasumh,dhj( subito il figlio di Nestore, il coraggioso Trasimede, h;lasen a;gci sta,j\ pe,lekuj d v avpe,koye te,nontaj ritto lì accanto, colpì; l'ascia tagliò i tendini,

auvceni,ouj( lu/sen de. boo.j me,noj\ ai` d v ovlo,luxan del collo, e sciolse la forza della giovenca. Gridarono qugate,rej te nuoi, te kai. aivdoi,h para,koitij le figlie e le nuore e la moglie onorata

Ne,storoj( Euvrudi,kh( pre,sba Klume,noio qugatrw/n) di Nestore, Euridice, la maggiore delle figlie di Climeno.

Dalle descrizioni letterarie si desume che l' ovlolugh, era un suono breve, secco e risonante, con una grande forza di propagazione; un grido molto forte, tale da far rabbrividire chi lo avesse udito. La secchezza e l'incisività di questo suono potrebbero anche riflettere le caratteristiche del colpo di ascia scagliata sul collo dell'animale sacrificale, come si legge nei versi omerici evocati. Alla brevità della ovlolugh, alluderebbe, secondo Fraenkel, il v. 1137 dell'Oreste euripideo, in cui la

1 Trad. di Gentili 1966, p. 44, secondo cui, tuttavia, in questi versi «non la sacrale solennità dell'evento è qui posta in primo piano, ma la presenza delle protagoniste, le belle donne di Lesbo, che sfilano avvolte nei lunghi pepli. Il poeta si limita soltanto a indicare la ritualità della cerimonia al suo culmine con la menzione del grido rituale delle donne» (n° 40).

2 Gentili ibid., p. 39.

3 Contesto rituale può essere considerato anche quello della nascita di Apollo, in h.Ap., v. 119, in cui è detto che tutte le dee che assistettero Leto emisero un' ovlolugh, non appena il dio venne alla luce: evk d v e;qore pro. fo,wsde( qeai. d v ovlo,luxan a[pasai.

successione immediata del grido e del fuoco acceso per gli dèi esprimerebbero il ritmo incalzante del rito:

ovlolugmo.j e;stai( pu/r t v avna,yousin qeoi/j

Si considerino, infine, gli accorgimenti formali che contribuiscono a "ricreare" nella mente dell'uditorio il grido annuale che Alceo ha vissuto direttamente e che vuole riportare ai suoi compagni lontani. Non sarà sfuggito alle orecchie dei convitati il chiasmo che, seppure con l'interposizione di gunai,kwn fra i due sintagmi, forma la disposizione a;cw – qespesi,a i;raj– – ovlolu,gaj (vv. 19-20). In questa successione, molto ricca dal punto di vista semantico, gli elementi di definizione sonora (Son.) e quelli che esprimono l'ambientazione sacrale (Sacr.) si incrociano, come risulta dallo schema seguente:

Son. (a;cw) Sacr. (qespesi,a) Sacr. (i;raj) Son. (ovlolu,gaj)

Inoltre, all'uditorio di Alceo non deve essere sfuggita la forte presenza del genere femminile nei sei termini dei vv. 19-20:

a;cw qespesi,a gunai,kwn i;raÎs ov#lolu,gaj evniausi,aj

Non è del tutto agevole esprimere, in una traduzione italiana fluente, questo susseguirsi di sei termini tutti di genere femminile. Possiamo immaginare, tuttavia, che la rievocazione dei concorsi e dei canti di fanciulle risuonasse anche nella scelta lessicale, oltre che in quelle sintattica e ritmico- metrica, di Alceo. La situazione di solitudine porta il poeta a desiderare, con un'abile metonimia sonora, l' avgora, e la boulh, della sua città patria. Questo atteggiamento mentale è presente non soltanto in ciò che egli desidera, ma anche in quello che egli vive e che vorrebbe condividere con i compagni, ovvero la festa annuale insieme alle sue scene di bellezza, e alla sua sfera sonoro-sacrale. Con questi versi, Alceo invia a Mitilene non soltanto un messaggio di nostalgia, ma anche una vivida testimonianza di immagini e, soprattutto, di suoni1. Un confronto fra il frammento alcaico e i

versi in cui Saffo esprime il desiderio di vedere Anattoria assente (fr. 16 V., vv. 17-20) mette in luce i diversi atteggiamenti mentali che, nel periodo arcaico, il desiderio di un oggetto assente poteva suscitare. Alceo sembra «ridotto ad ascoltare il grido delle Lesbie nelle annuali gare di bellezza, un suono certo meno gratificante di quello che bandisce l' avgora,. Alceo non ha con sé un amico, non può consolarsi cantandogli dal vivo sulla cetra la sua storia, come fa Achille con Patroclo (Hom. Il. IX, v. 186 sgg.), ma ascolta forzatamente quella delle belle signore lesbie, provando una nostalgia acustica equivalente e polare a quella visiva di Saffo, che vorrebbe «vedere» l'amabile incedere della splendida Anattoria piuttosto che i carri dei Lidi e di fanti in armi»2.

In calce a questa analisi, e con particolare riferimento al significato di qespe,sioj, appare utile richiamare alcuni versi dell'Inno omerico a Hermes, il cui significato è stato brillantemente discusso da Cantilena 1993, pp. 115-127. Dopo aver trovato la tartaruga ed averne svuotato il guscio, il dio Hermes ottiene la prima lira (vv. 24, 41-51). Subito dopo ne saggia le corde ottenute con l'ausilio di un plettro, ottenendo un suono che ha attirato l'interesse della critica, e che è al centro dell'intervento del citato studioso (vv. 53-55):

1 Si potrebbe parlare di una "cartolina sonora" che Alceo invia ai suoi amici di Mitilene. La medesima tipologia di suoni, canti ed echi ricorre anche nel frammento saffico 44 V., v. 24 sgg., in cui l'accumulazione di termini musicali fa da sfondo alla gioia delle nozze di Ettore e Andromaca. Cf. il relativo commento a p. 39 sgg.

plh,ktrw| evpeirh,tize kata. me,roj\ h` d v u`po. ceiro.j smerdale,on kona,bhse\ qeo.j d v u`po. kalo.n a;eiden evx auvtoscedi,hj peirw,menoj(

con un plettro provò corda per corda; e quella (scil. h` ce,luj) sotto la sua mano

risuonò qualcosa di terribile; e il dio a quell'accompagnamento cantava stupendamente cimentandosi nell'improvvisazione,

L'espressione smerdale,on kona,bhse è stata spiegata in varî modi. Dopo un'attenta analisi delle varie interpretazioni e, soprattutto, dei diversi usi dell'aggettivo, Cantilena dà la sua lettura del passo (pp. 121-122):

va ricordato che un solo significato si attaglia a tutti gli usi che di smerdale,oj sono fatti nell'epica arcaica, e questo è "che incute paura". La terra romba paurosamente sotto il passaggio dell'esercito o per la nascita di Athena, così come pauroso è il fracasso delle navi spezzate dai macigni e l'urlo dei guerrieri o il gemito dei morenti. In tutti questi esempi smerdale,on non ha la funzione di precisare la qualità del ko,naboj da un punto di vista acustico, ma indica l'effetto di paura prodotto sugli astanti1.

Tant'è vero che l'aggettivo è predicabile anche di realtà non sonore, ma visive: i due leoni di S 579 sono "spaventosi", come la squallida dimora di Hades in U 65; pauroso è lo sguardo del serpente in C 95 o quello del dio Helios in H.Hom. XXXI 9, e lo sono sia le teste di Skylla in m 91, sia l'aspetto di Odysseus tutto coperto di alghe in z 137. Sono gradi diversi di paura, ma questo è il significato dell'espressione. Non ci può quindi essere dubbio che esso andrà riconosciuto anche in H.Herm. in riferimento all'effetto del primo suono della lira. Ma che cosa c'è di spaventoso in esso? La risposta è semplice. Questo suono è "pauroso" proprio perché precedentemente inaudito.

Questa spiegazione dell'aggettivo smerdale,oj può essere accostata alla nostra analisi di qespe,sioj2.

Entrambi gli aggettivi non arricchiscono il significato del nome a cui si riferiscono in senso estetico, ma richiamano sensazioni fisico-psichiche legate ad un'immagine o, come nel frammento di Alceo e

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